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Votare non è mai un gesto neutro. Dietro ogni "sì" o "no" si celano valori, esperienze, visioni del mondo. Dopo il dibattito sulla cittadinanza e le tutele crescenti, è ora il momento di affrontare unadelle questioni più sentite in ambito lavorativo: la disciplina dei licenziamenti nelle piccole imprese.

 

di  Monica Vendrame

Il secondo quesito del referendum dell’8 e 9 giugno 2025 propone di abrogare parzialmente l'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che disciplina l'indennità spettante ai lavoratori licenziati senza giusta causa o giustificato motivo nelle imprese con meno di 16 dipendenti.

 


Dopo il dibattito sulla cittadinanza, è ora il momento di affrontare una delle questioni più sentite in ambito lavorativo: la disciplina dei licenziamenti illegittimi.

 

di  Monica Vendrame

Il primo quesito del referendum dell’8 e 9 giugno 2025 propone di abrogare il Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23, introdotto con il Jobs Act, che ha modificato la gestione dei licenziamenti nel contratto a tutele crescenti.

Votare “Sì” significa voler abrogare questa normativa e tornare alle tutele precedenti,
Votare “No” significa mantenere la disciplina attuale.

 

 

di  Monica Vendrame 


Votare non è mai un gesto neutro. Dietro ogni “sì” o “no” si nascondono valori, paure, esperienze.
In vista dei referendum dell’8 e 9 giugno 2025, vale la pena esaminare ogni quesito con attenzione e spirito critico.
Il primo che analizziamo riguarda la cittadinanza italiana, una questione che tocca l’identità profonda del Paese e il rapporto tra accoglienza e appartenenza.

Uno dei sei referendum abrogativi propone di modificare la legge n. 91 del 1992, riducendo da 10 a 5 anni il tempo minimo di residenza legale in Italia richiesto a uno straniero extracomunitario per ottenere la cittadinanza italiana.

Attualmente, per presentare domanda di naturalizzazione, è necessario aver vissuto nel Paese per almeno dieci anni, in modo continuativo e regolare. Il referendum mira ad abrogare questa soglia, dimezzando l’attesa.
La norma vigente fu concepita in un’Italia diversa, ancora prevalentemente terra di emigrazione. Oggi lo scenario è cambiato: l’Italia è un Paese di immigrazione, con milioni di persone che vivono stabilmente sul territorio.

Ottenere la cittadinanza resta tuttavia un percorso complesso, lungo e spesso frustrante, anche per chi lavora, paga le tasse e cresce figli italiani.
Il dibattito non si esaurisce in una questione di anni, ma investe il concetto stesso di integrazione.
Molti cittadini italiani, specie nei grandi centri urbani, osservano una realtà dove la convivenza non è sempre armoniosa.
In città come Genova, non è raro imbattersi in comunità chiuse, simboli religiosi estremi e scarso uso della lingua italiana. Questo genera insofferenza e perplessità, soprattutto quando non si intravede un vero desiderio di far parte della società italiana.Per questo, c'è chi ritiene corretto mantenere i dieci anni, come soglia minima per valutare il grado di integrazione effettiva.
Il quesito solleva una domanda centrale: che cosa significa essere italiani? È sufficiente risiedere in Italia per un certo periodo o serve qualcosa di più? Il diritto alla cittadinanza comporta doveri oltre che diritti. Non tutti gli stranieri residenti sembrano pronti ad abbracciare le regole, i valori e la cultura del Paese che li ospita.
Allo stesso tempo, però, esistono persone pienamente integrate che da anni attendono un riconoscimento formale del loro legame con l’Italia.
Si calcola che oltre 2,5 milioni di persone potrebbero beneficiare della modifica, tra cui circa 500.000 minori.
Il referendum non garantisce automaticamente la cittadinanza, ma rende più breve il tempo minimo per farne richiesta, lasciando invariati i criteri qualitativi (assenza di reati, conoscenza della lingua, reddito).
Il quesito sulla cittadinanza non divide in modo netto tra destra e sinistra, ma tra due idee diverse di comunità:

Chi vuole tutelare l’identità nazionale e i suoi valori condivisi,
Chi vede nella cittadinanza uno strumento per promuovere l’inclusione.
La decisione, in fondo, riguarda che tipo di Paese vogliamo essere: più prudente o più aperto? Più identitario o più pluralista?
Il voto è una risposta, ma prima ancora, è un’occasione per interrogarsi.

 

 

Addio stiva, benvenuta cabina

 

di  Monica Vendrame

A partire dal 12 maggio, l’Enac rivoluziona le regole del volo: tutti gli animali domestici – anche quelli di taglia media o grande – potranno viaggiare accanto ai loro umani, trasformando per sempre l’esperienza dei viaggi aerei con gli amici pelosi. Niente più separazioni dolorose o stive pressurizzate: ora si vola insieme, nello stesso scomparto... e magari con vista nuvole.

 

Città del Vaticano, 8 maggio 2025

 

di Monica Vendrame 

Un pomeriggio tiepido di primavera, la piazza di San Pietro gremita di fedeli col fiato sospeso, e poi quel segno che tutto il mondo cattolico attendeva: la fumata bianca. Dopo quattro scrutini, i cardinali riuniti in Conclave hanno eletto il nuovo Vescovo di Roma. Si chiama Robert Francis Prevost, è statunitense, e ha scelto il nome di Leone XIV. Per la prima volta in oltre duemila anni, la guida della Chiesa arriva dagli Stati Uniti d’America.

Nato a Chicago nel 1955, religioso agostiniano, Leone XIV ha costruito la sua vocazione lontano dai riflettori. Dopo le lauree in matematica e filosofia, ha scelto la strada del sacerdozio, con una formazione solida a Roma e un lungo servizio missionario in Perù, dove ha vissuto a contatto con le comunità più semplici. Non un uomo di curia, ma un pastore che ha imparato il linguaggio del popolo.

La sua ascesa, tuttavia, non è passata inosservata. Francesco lo volle in Vaticano come prefetto per i Vescovi, un ruolo chiave nei delicati equilibri della Chiesa. Il cardinalato arrivò nel 2023, confermando la fiducia nei suoi confronti.

L’elezione di Leone XIV segna una svolta, non solo per la provenienza geografica. È un messaggio forte per una Chiesa che guarda sempre più al Sud del mondo, al dialogo interculturale, alla sfida di una fede che cammina tra le periferie del pianeta e quelle dell’anima.

Il nuovo Papa si è affacciato alla Loggia centrale di San Pietro poco dopo le 18. Indossava una semplice talare bianca, il volto emozionato ma fermo. Il suo primo saluto è stato sobrio, accompagnato da una richiesta di preghiera per il predecessore e per il popolo di Dio: «Iniziamo questo cammino insieme, come fratelli».

 

 

La scelta del nome, Leone, richiama pontificati di grande forza e riforma. Il più celebre fu Leone Magno, nel V secolo, artefice del consolidamento del primato romano. Più vicino a noi, Leone XIII fu il Papa del dialogo con la modernità, autore dell’enciclica Rerum Novarum. È un nome che non lascia indifferenti: dice coraggio, visione, autorità spirituale. E il numero XIV segna la continuità in un’epoca di transizione.

Nel volto di Leone XIV si è colta un'espressione che trascende l’evento storico. Si intravede la possibilità concreta che la Chiesa possa tornare ad ascoltare i cuori prima delle ideologie. Un Papa giunto da lontano, ma non estraneo; con le mani segnate dal lavoro missionario più che dai velluti vaticani.

Forse è proprio questa la figura di cui si avvertiva il bisogno: una guida capace di stare in mezzo alla gente, di comunicare più con i gesti che con i documenti, e di ricordare che il Vangelo, prima ancora di essere dottrina, è presenza viva, incarnata, vicina.

 

 

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