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di  Massimo Reina

Che spettacolo patetico. Davvero, non se ne vedeva uno così ben orchestrato dai tempi della guerra in Iraq. I leader dell’Unione Europea – quelli che non riescono a farsi eleggere nemmeno nei loro condomini, figurarsi nei loro Paesi – ormai si atteggiano a generali da cartone animato, agitando il pugno contro la Russia con la stessa autorevolezza con cui un chihuahua ringhia a un rottweiler.

 

Armi a Kiev, potere a Bruxelles: l'UE verso una deriva autoritaria? Il rischio di un'Europa sempre più lontana dai cittadini

 

di  Monica Vendrame 

La guerra in Ucraina ha messo a nudo molte fragilità dell’Europa, ma ha anche accelerato dinamiche che rischiano di stravolgere gli equilibri interni dell’Unione Europea. Tra queste, c’è il crescente ruolo della Commissione Europea in ambiti che tradizionalmente sono stati di stretta competenza degli Stati nazionali, come la difesa e la sicurezza. Il supporto militare a Kiev, spesso presentato come una scelta obbligata e senza alternative, sta diventando il pretesto per un’espansione del potere della Commissione che solleva non poche preoccupazioni.

 

 

di  Massimo Reina

La vicenda di Giulia Galiotto e della sua famiglia rappresenta l'ennesima dimostrazione di un sistema giudiziario e burocratico che troppo spesso appare sbilanciato a favore dei carnefici e spietato nei confronti delle vittime. Il caso lascia sgomenti: una giovane donna brutalmente assassinata dal marito, una condanna a 19 anni che si dissolve con una semilibertà nel 2022 e la fine della pena nel 2024, e infine, l'epilogo più surreale e indegno di tutti.

 

di  Ettore Jorio

Domani negli USA riprenderanno le trattative “commerciali” tra il leader ucraino, Volodymyr Zelens'kyj, e Donald Trump. Gli obiettivi principali sono due: uno è personale, e riguarda Zelens'kyj, che dovrà garantire il proprio futuro politico; l’altro è l’arricchimento in terre rare da parte degli USA, che vale due volte e mezzo i fondi della New Generation Eu che hanno finanziato il PNRR.

 

di  Massimo Reina 

Ah, la magistratura italiana! Sempre sul pezzo, sempre vigile, sempre pronta a colpire… quando serve. A chi? Ma è ovvio: a quelli sbagliati, ovvero quelli di destra. Perché se c’è una certezza granitica nella Repubblica Italiana, oltre alla disoccupazione e alle tasse record, è che la giustizia è indipendente. Certo, indipendente dalla logica, dal buon senso e, soprattutto, da qualunque governo non sia benedetto dalle correnti “giuste”.

Adesso, come abbiamo scritto in un precedente articolo, è il turno di Giorgia Meloni. La colpa, quella vera? Semplice: aver osato proporre una riforma della giustizia che toglie potere ai giudici politicizzati e mette un freno alle carriere costruite nelle segreterie di partito anziché nelle aule di tribunale.

La giustizia indipendente… dai governi sgraditi

Ora, se avete vissuto sulla Luna negli ultimi decenni, lasciate che vi aggiorni. In Italia non si fa politica contro la magistratura: è la magistratura che fa politica contro i governi non graditi. Lo ha imparato Berlusconi, che in vent’anni ha collezionato più processi di Al Capone, Osama Bin Laden e Totò Riina messi insieme. E ora, a quanto pare, tocca alla Meloni.

Perché parliamoci chiaro: se un governo propone una riforma della giustizia, in un paese normale si apre un dibattito. In Italia si apre un’indagine.

Eh sì, perché Meloni non ha semplicemente proposto di dimezzare i tempi della giustizia o di garantire processi più equi. No, no. Ha osato fare la cosa più impensabile: limitare il potere discrezionale delle toghe. Il che, tradotto, significa: niente più giudici che diventano star dei talk show, niente più pm che fanno campagna elettorale sotto la toga, niente più processi che durano vent’anni per poi finire in una bolla di sapone.