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di  Massimo Reina

C’è un momento, nella storia, in cui il silenzio diventa complicità. Un punto esatto in cui voltarsi dall’altra parte non è più disattenzione, ma scelta politica, morale, umana. Oggi quel momento è arrivato. E porta un nome preciso: Israele.

Un Paese che un tempo invocava il diritto all’autodifesa, oggi esercita il diritto all’annientamento. Non solo dei suoi nemici, ma di chiunque si trovi tra il mirino e la prossima operazione. Non importa se si tratta di bambini, madri, medici, civili qualunque: tutti bersagli leciti in nome di una sicurezza che ormai ha il volto della vendetta.

L’ultima strage — 78 morti in Iran, centinaia di feriti, un’intera catena di comando dei Pasdaran decapitata in piena notte — non è un incidente, né un’azione difensiva. È un messaggio. È un assaggio di dominio, la replica perfetta di ciò che è già accaduto con Hamas, con Hezbollah, con la Siria, con la Palestina.
Solo che stavolta il nemico non è più un gruppo, ma uno Stato sovrano, una potenza regionale, e il campo di battaglia non è Gaza ma il cuore del Medio Oriente. E noi — Europa, Stati Uniti, Occidente intero — stiamo zitti. Anzi: applaudiamo.

Sembra Berlino, 1938. Quando Hitler si prendeva l’Austria e la Cecoslovacchia e tutti dicevano: “È un problema loro.” Quando le truppe del Reich marciavano, e tutti pensavano: “Finirà presto.” E invece l’appetito venne mangiando, e il mondo si svegliò con una guerra mondiale, 60 milioni di morti, e i forni crematori a ricordarci cos’è l’indifferenza travestita da diplomazia.

Oggi Israele agisce con la stessa impunità, con la stessa convinzione di essere intoccabile, moralmente e militarmente. La Shoah gli ha dato un credito di compassione infinita, ma quel credito è stato usato — e abusato — per costruire uno Stato che ha fatto dell’aggressione la sua lingua madre.

Chi lo ferma, adesso? Nessuno. Perché ogni critica è antisemitismo, ogni appello alla pace è “complicità con il terrorismo”, ogni denuncia viene bollata come propaganda.
Nel frattempo i raid si moltiplicano, le incursioni si estendono, e i confini della “sicurezza israeliana” si allargano come quelli del Terzo Reich: prima Gaza, poi Libano, poi Siria, adesso l’Iran, domani — forse — l’Egitto, la Giordania, chissà.

E quando tutto brucerà, diranno che non lo avevano previsto. Che nessuno poteva immaginare. Come nel 1945, quando improvvisamente tutti gli ex alleati del regime nazista scoprirono di “non sapere nulla”. Ma stavolta sappiamo. Tutti.
Sappiamo che Israele sta provocando, colonizzando, bombardando e uccidendo impunemente, e che lo sta facendo con il consenso tacito dei suoi protettori occidentali.
Sappiamo che una scintilla basta, in un Medio Oriente già surriscaldato, a trascinarci tutti in una guerra su scala globale. E non sarà più una guerra di droni, ma una guerra vera. Forse anche nucleare.

E allora sì, qualcuno dovrà rispondere. Perché il problema, oggi, non è più Israele contro Hamas. È Israele contro il mondo. E il mondo — se non vuole diventare complice — deve fermarlo.

Adesso. Prima che sia troppo tardi.
Per gli altri. Ma anche per noi.

 

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Info Autore
Massimo Reina
Author: Massimo Reina
Biografia:
Giornalista, scrittore e Social Media Editor, è stata una delle firme storiche di Multiplayer.it, ma in vent’anni di attività ha anche diretto il settimanale Il Ponte e scritto per diversi siti, quotidiani e periodici di videogiochi, cinema, società, viaggi e politica. Tra questi Microsoft Italia Tecnologia, Game Arena, Spaziogames, PlayStation Magazine, Kijiji, Movieplayer.it, ANSA, Sportitalia, TuttoJuve e Il Fatto Quotidiano. Adesso che ha la barba più bianca, ascolta e racconta storie, qualche volta lo fa con le parole, altre volte con i video. Collabora con il quotidiano siriano Syria News e il sito BianconeraNews, scrive per alcune testate indipendenti come La Voce agli italiani, e fa parte, tra le altre cose, dell'International Federation of Journalist e di Giornalisti Senza Frontiere. Con quest’ultimo editor internazionale è spesso impegnato in scenari di guerra come inviato, ed ha curato negli ultimi 10 anni una serie di reportage sui conflitti in corso in Siria, Libia, Libano, Iraq e Gaza.
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