di Massimo Reina
C’è qualcosa di profondamente malato in un mondo che applaude, o al massimo tace, davanti a ciò che Israele è diventata: uno Stato di guerra permanente, un laboratorio d’impunità armata, un mostro nazista che si è vestito da vittima per giustificare qualunque atrocità.
Nella notte — mentre l’Occidente si trastullava con il solito tweet su Kyiv o sull’inflazione — Israele ha colpito ancora. Nome in codice: Rising Lion. Risultato: 78 morti, oltre 300 feriti, tra cui donne, bambini e civili qualunque, quelli che nella retorica degli esperti si chiamano “danni collaterali”. E in mezzo, l’ennesima decapitazione dei vertici militari iraniani, condotta chirurgicamente nei loro stessi bunker. Un'operazione che non nasce in un giorno: droni camuffati, spie infiltrate, agenti dormienti e collaboratori ad altissimo livello. Il marchio di fabbrica del Mossad.
Un film già visto. Prima con Hezbollah, poi con i leader di Hamas in trasferta diplomatica. Una macchina della morte perfetta, che agisce senza alcun mandato internazionale, senza processi, senza prove. Solo sentenze eseguite con il joystick.
La comunità internazionale? Zitta. L’ONU? Distratta. L’Europa? Complice o codarda. Gli Stati Uniti? Felici. In un’epoca in cui si può essere definiti "terroristi" per aver scritto un post, Israele si permette di colpire capitali straniere, abbattere edifici, assassinare comandanti e politici di altre nazioni come se giocasse a Risiko. E la chiamano “difesa preventiva”.
Ma difesa da cosa, esattamente? Dal fatto che l’Iran esista? Che esistano popoli, culture, religioni e confini che non si piegano all’idea di uno Stato che si crede intoccabile?
La verità — che fa paura dirla ma qualcuno dovrà pur farlo — è che oggi Israele è uno dei principali fattori d’instabilità geopolitica mondiale. Non l’unico, certo. Ma il più protetto, il più arrogante, il più blindato da un sistema che lo ha reso irresponsabile, letteralmente: non risponde a nessuno.
E attenzione: il prossimo obiettivo, secondo molti analisti che i governi fischiettano per non ascoltare, sarà l’Egitto. Perché al fondo di tutto c’è il progetto mai archiviato del Grande Israele, quello che va “dal Nilo all’Eufrate”, e che prevede un ridisegno integrale del Medio Oriente. Non è una teoria del complotto: è scritta in documenti, statuti, discorsi. Basta avere il coraggio di leggerli.
Nel frattempo, la stampa da talk show piange e si straccia le vesti solo per il referendum fallito sulla cittadinanza agli immigrati. Una manovra disperata, per allargare la base elettorale di un partito (il PD) ormai simile a una cooperativa in liquidazione, mentre centinaia di civili vengono uccisi ogni giorno sotto bombe che nessuno condanna perché cadono dalle “democrazie”.
E poi c’è l’assurdo: un Mossad capace di entrare nei bunker iraniani, ma non di vedere arrivare un attacco come quello del 7 ottobre da Hamas.
Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Ma forse no: forse l’hanno lasciato passare apposta. Per avere la scusa perfetta. Per fare quello che hanno sempre voluto fare: radere al suolo Gaza. Annettere il resto. Chiudere il dossier Palestina una volta per tutte.
E chi osa criticare? Viene bollato come antisemita. Come se l’orrore della Shoah avesse dato un lasciapassare eterno a chi oggi si comporta con una ferocia e un disprezzo per la vita umana degni delle stesse pagine nere della storia da cui dice di volersi proteggere.
Ma qui nessuno odia gli ebrei. Il punto è che il sionismo militarista di oggi ha preso in ostaggio anche loro, la loro memoria, la loro sofferenza. E l’ha trasformata in giustificazione per massacri quotidiani.
Israele si comporta come uno Stato sopra Dio, sopra la morale, sopra la legge.
Il problema è che un giorno, quando tutto questo finirà (perché ogni impero, ogni crimine impunito, prima o poi finisce), la storia non farà sconti a nessuno.
E allora, nessuno potrà più dire: “Non lo sapevamo.”