di Massimo Reina
C’è qualcosa di marcio, e non solo nel profondo sud. Anche a ovest, tra i grattacieli di Los Angeles che sanno di Hollywood e ipocrisia. Un battaglione di 500 Marines — non i boy scout, non i riservisti con la panza da birra, ma i Marines, quelli da “first in, last out” — è stato mobilitato per sedare rivolte urbane scoppiate con la scusa delle politiche anti-immigrazione. Rivolte che hanno come epicentro l’agenzia più odiata della burocrazia americana: ICE, l’Immigration and Customs Enforcement.
Che ci sia una crisi migratoria negli Stati Uniti è evidente. Che venga gestita con la grazia di un elefante su un campo minato, pure. Ma che la risposta della “sinistra” americana — quella del sorriso falso di Kamala Harris e dei tweet inclusivi di Alexandria Ocasio-Cortez — sia incendiare interi quartieri per difendere bande criminali e clandestini pluri-recidivi, è qualcosa che sfida ogni logica democratica. E morale.
Sì, avete capito bene: le rivolte non sono fatte da immigrati regolari, da padri di famiglia che sgobbano dieci ore al giorno e pagano le tasse. No. In prima linea ci sono gang armate, black bloc del barrio, tossici sobillati da comitati anarchici nati nei campus dove si legge più Chomsky che la Costituzione americana. Il bersaglio? Non solo la polizia federale, ma anche cittadini americani di origine ispanica, regolari e onesti, colpevoli solo di non essere abbastanza “radical” per i gusti del nuovo estremismo a stelle e strisce.
Una degenerazione, questa, fomentata da anni di retorica progressista su “frontiere aperte”, “giustizia riparativa” e “polizia cattiva sempre”. Una sinistra che confonde i confini con le barriere e i criminali con i martiri. Il risultato? Le stesse città che piangevano George Floyd ora sono diventate scenografie post-apocalittiche, dove la legge è solo un’opinione e l’ordine pubblico un ricordo lontano.
Nel vuoto lasciato dai sindaci progressisti, che giocano a fare i rivoluzionari su TikTok mentre la città brucia, ecco spuntare i Marines. Non la Guardia Nazionale, quella che si usa per l’uragano o la marcia del 4 luglio. No. I Marines. Per la prima volta mobilitati in territorio nazionale contro cittadini americani.
E qui, per quanto possa sembrare blasfemo dirlo, Donald Trump ha ragione. Ha ragione quando dice che l’America è sotto assedio. Ha ragione quando accusa le amministrazioni democratiche di aver coccolato il crimine organizzato in nome del politicamente corretto. Ha ragione quando parla di “guerra civile a bassa intensità”.
Certo, Trump è quello dei muri col Messico, dei tweet surreali alle 3 del mattino e del complotto dei brogli elettorali come se fosse un fan di QAnon. Ma è anche l’unico che oggi osa chiamare le cose con il loro nome. E se chi governa finge che tutto sia colpa del razzismo sistemico, mentre i latinos regolari vengono pestati dai latinos illegali, forse il vero razzismo è proprio lì, in quell’ipocrisia che difende i delinquenti in nome delle minoranze.
Cosa succederà ora? Il Pentagono non ha ancora chiarito le rules of engagement: cosa potranno fare i Marines se qualcuno lancia loro contro una molotov o una bottiglia? Dovranno porgere l’altra guancia o rispondere col fuoco? E in quel caso, chi sarà il prossimo a gridare allo Stato autoritario?
La verità è che l’America è un laboratorio in fiamme, e noi, in Europa, stiamo solo aspettando il prossimo esperimento sociale da importare. In fondo, l’Italia ha già i suoi imitatori: ci manca solo la sinistra che scende in piazza per difendere le gang.
E a quel punto, magari, anche da noi qualcuno invocherà i Marines.