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COSENZA - Tra le pagine di un libro, che ha l’odore inconfondibile della carta appena stampata e dell’incostro dal profumo misto della polpa del legno, note erbose e di vaniglia, si scoprono fotografie che ancora oggi attendono di essere ammirate dall’occhio attento dell’osservatore. Le pagine di "Conosci Cosenza - Itinerario guidato nella città storica” di Piero Carbone portano il lettore a compiere un viaggio attraverso: piazze,vie, edifici pubblici, chiese, fiumi, ponti, case nobiliari, monumenti. Così la bella Cosenza, sonnecchiante e troppo spesso dimenticata, abbandonata ma che aspetta solo di risplendere come il sole dopo un temporale, patria di personaggi illustri come Bernardino Telesio, si riscopre attraverso scatti fotografici che rispolverano antichi ricordi storici nonché aneddoti e leggende che la rendono un piccolo scrigno prezioso ricco di gioielli rari che aspetta di arricchire culturalmente chi voglia guardarla e conoscerla.
L'autore, il giornalista Piero Carbone, corrispondente del “Quotidiano della Calabria” e redattore de “ La Voce del Savuto”, scrive il volume con entusiasmo e passione, portando nel cuore in particolare la straordinaria “Cosenza vecchia”. “È tutta Cosenza vecchia che amo, dal vicolo più nascosto, alle vie più note. Far conoscere la città antica è fondamentale per non far disperdere un patrimonio che a causa dei mancati interventi delle istituzioni preposte a sessant'anni ad oggi rischia seriamente di essere cancellato”.
Il lavoro è stato curato da “Atlantide – Centro studi nazionale per le arti e la letteratura” e da “Serigrafisud edizioni”, con il progetto grafico di Franco Mazzulla, finito di stampare presso la Universal Book.
La guida è composta da cinquantotto pagine, con testo corredato da più di cento foto ed itinerante che accompagna, passo dopo passo, il visitatore alla scoperta della città antica, scritto in maniera semplice e scorrevole.
«La sua realizzazione – spiega Carbone – è il risultato di un percorso di conoscenza e documentazione maturato negli anni attraverso la partecipazione a diverse visite guidate nella città antica, motivato dall'amore e dal senso di appartenenza legati al luogo di nascita. Un lavoro che vuole offrire un primo contatto in favore di quanti vogliano conoscere la parte più bella di Cosenza: ricca di storia, archeologia, arte e cultura. Un filo conduttore che si inserisce tra vicoli, piazze, chiese e monumenti. Un itinerario guidato, utile allo studente, al cittadino, al turista, che invita a scoprire una città nella città, perchè la Cosenza distesa sul colle Pancrazio (altri sei colli la cingono: Triglio, Mussano, Venneri, Gramazio, Guarassano,Torrevetere) fino al margine dei fiumi Crati e Busento, è un gioiello separato dalla città nuova».
Attendendo che l'emergenza sanitaria, causa Covid-19 e la pandemia in corso si allenti permettendo ai visitatori di affollare di nuovo i luoghi della città dei Bruzi e che la preziosa guida di Carbone possa essere presentata in pubblico, si può prenotare il prezioso volume inviando un'email a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. .
Il volume di Carbone fa parte di un progetto al quale il giornalista sta lavorando e che sta muovendo i primi passi e prevede in primis una integrazione della guida in lingua inglese.

 

 L'autore, Piero Carbone

 

 

La donna al centro di un convegno internazionale organizzato da Michelangelo La Luna dell’Università del Rhode Island

 

di Antonietta Malito

Si è svolto ieri pomeriggio un interessante evento dedicato all’International Women’s Day, incentrato su come la donna è rappresentata nelle opere di Dacia Maraini.
Organizzata e moderata da Michelangelo La Luna, docente dell’Università del Rhode Island, la videoconferenza, a cui ha partecipato la nota scrittrice, è stata trasmessa sulla piattaforma Zoom e ha coinvolto diversi studiosi della Maraini, di varie parti del mondo. Tra i temi trattati: i diritti delle donne, il femminicidio, diversità e inclusione, prostituzione minorile, sorellanza, femminismo, sessualità. L’appuntamento culturale e sociale ha anticipato di qualche giorno la Giornata internazionale dei diritti della donna, che ricorre l’8 marzo. 

Studiosi di tutto il mondo hanno intervistato la scrittrice italiana 

L’evento, che si è svolto a partire dalle ore 18.15 fino alle 21, ha coinvolto anche il Presidente della University of Rhode Island, David Dooley, e l’Associate Dean Nedra Reynolds. Dacia Maraini ha risposto alle domande che le sono state poste dai numerosi ospiti, rappresentanti di università sparse in tutto il mondo. Oltre al professore La Luna, organizzatore e moderatore, sono intervenuti quindici studiosi della Maraini e traduttori delle sue opere: Sole Anatrone (Vassar College), Esther Basile (Istituto Filosofico di Napoli), Juan Carlos De Miguel y Canuto (Università di Valencia), Laura Fortini (Università degli Studi Roma Tre), Ombretta Frau (Mount Holyoke College), Tommasina Gabriele (Wheaton College), Patrizia Guida (LUM University), Genni Gunn (autore e traduttore), Antonella Olson (Università del Texas a Austin), Angela Pitassi (UCONN), Maurizio Rebaudengo (Convitto Nazionale "Umberto I"), Dagmar Reichardt (Latvian Academy of Culture LAC), Adele Sanna (Università della California, Los Angeles), Lisa Sarti (BMCC, CUNY), Jane Tylus (Università di Yale).


Il femminicidio al centro del dibattito 

Uno dei temi più discussi è stato il femminicidio, fenomeno tristemente aumentato durante la pandemia. L’autrice ha ricordato, prendendolo a esempio, l’omicio premeditato di Clara Ceccarella, una donna di Genova che aveva pagato il suo funerale una settimana prima che il suo aguzzino la uccidesse. Dacia Maraini ha rimarcato l’importanza di una cultura che educhi al rispetto delle donne e di una legge che le tuteli pienamente, fin dal primo episodio di violenza.

Michelangelo La Luna: “Dobbiamo continuare a lanciare messaggi come questo” 

La Luna, docente di Lingua e Letteratura Italiana presso il Dipartimento di lingue moderne e classiche dell’Università del Rhode Island (Stati Uniti) dal 2003, è curatore di sette volumi su Dacia Maraini. Di questo evento, il quarto che ha organizzato finora, ha detto: “È un momento molto importante che bisogna portare avanti, perché solo diffondendo un messaggio forte possiamo cambiare il mondo. C’è ancora tanto bisogno di uguaglianza, di parità, di coscienza della differenza di genere, di rispetto. Il nostro pianeta è ancora troppo infangato, insanguinato. Dobbiamo fare di tutto per continuare a lanciare messaggi come questo, non solo per la donna ma per il bene comune, per poter vivere insieme in un pianeta migliore”.

Dacia Maraini, sempre dalla parte delle donne

Dacia Maraini (Fiesole, 1936) è una delle più apprezzate scrittrici italiane. Nei suoi libri tratta grandi temi sociali: la condizione delle donne, le violenze che subiscono in famiglia, nella società e sul lavoro. Tra i più conosciuti: L’età del malessere (1963, Premio Internazionale degli Editori “Formentor”); La lunga vita di Marianna Ucria (1990, Premio Campiello), Bagheria (1993); Voci (1994, vincitore di molti premi letterari); Buio (1999, vincitore del Premio Strega). La scrittrice, che è anche poetessa, saggista, drammaturga e sceneggiatrice, si è occupata con successo di teatro, scrivendo più di trenta opere teatrali, molte delle quali vengono ancora oggi rappresentate in Europa e in America.

  

Nella foto di copertina, il prof. Michelangelo La Luna e la scrittrice Dacia Maraini 

 

 

RENDE (Cosenza) - “Fiabe appese all’albero del mondo” edito da La Caravella editrice, è l’ultima fatica letteraria di una scrittrice, alquanto feconda, quale è Anna Laura Cittadino. Dopo aver dato alla stampa sei volumi di successo tra cui ricordiamo: Pane per l’anima, La colpa di scrivere, Pensavo di vivere cent’anni, Caterina e Beta la stellina, I bucaneve di Ravensbrùck e Screaming, Anna Laura Cittadino torna in libreria con una raccolta di tre fiabe rivolte alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria.

 

Ancora una volta il Parco Archeologico di Pompei non smette di stupire: i ricercatori e gli archeologi che quotidianamente studiano ed esplorano la città sepolta da lava e cenere durante l’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, descritta da Plinio il Giovane in due famose lettere a Tacito.
L’ultimo regalo degli Scavi di Pompei è il ritrovamento di due corpi pressoché intatti: si tratterebbe di due uomini, uno schiavo ed il suo padrone; il primo, infatti, sembrerebbe già prostrato dalla fatica dei lavori pesanti a cui è sottoposto, mentre il secondo – un uomo di circa 40 anni – è invece avvolto in un pesante mantello di lana, che evidenzierebbe la sua condizione agiata, probabilmente una persona di alto ceto sociale.
La scoperta è davvero eccezionale, perché per la prima volta, dopo 150 anni dal primo impiego della tecnica, è stato possibile realizzare non solo dei calchi perfettamente riusciti dei corpi, ma anche indagare e documentare con nuove tecnologie gli oggetti che avevano con sé nell’attimo in cui sono stati investiti e uccisi dai vapori bollenti dell’eruzione.
Entusiasta del ritrovamento Massimo Osanna, Direttore del Parco Archeologico di Pompei, che da anni segue con meticolosa attenzione e passione tutti gli scavi effettuati per riportare alla luce le testimonianze storiche di quello che è considerato uno dei più preziosi documenti per la vulcanologia.
I due corpi perfettamente conservati sono stati ritrovati nella villa Suburbana di Civita Giuliana, una grande domus alla periferia di Pompei, distrutta dall’eruzione, che già nel 2018 regalò un’altra grande scoperta: i resti di un cavallo, bardato e pronto probabilmente per fuggire dalla cenere e dalla lava.
Queste scoperte che affascinano i ricercatori e gli studiosi delle aree della città richiamano ogni anno centinaia e centinaia di visitatori provenienti da tutti gli angoli della Terra: Pompei è pertanto uno dei siti più importanti del mondo dal punto di vista archeologico e storico, eccezionale patrimonio dell’umanità.

 

 

PORDENONE - L’ultimo libro di poesia di Alessandro Canzian, Il Condominio S.I.M., evidenzia uno sguardo in qualche misura espressionista sulla vita, in cui “l’urlo”, declinato in tutte le sue sfumature è trait d’union fra i vari personaggi e rappresenta l’estrinsecazione più autentica degli individui che entrano in scena, tutti accomunati da un’esistenza vissuta al limite dell’assurdo, dell’insensatezza, del disincanto mal celato.
I condomini paiono individui privi di centro, personalità ondeggianti, irresolute, suggestionabili, morbosamente attratte dalla vita, tuttavia incapaci di vivere appieno.
Olga esiste in quanto pensata dal narratore di questa storia in versi, secondo la lezione del “cogito ergo sum” di Cartesio, il quale afferma che quanto percepiamo in modo chiaro e distinto è vero, e anche Olga, concepita nella mente dal narratore, lo è. Ha “il seno grande”, dettaglio che assume una rilevanza particolare nella descrizione della donna e sembra determinarla in modo esasperato, distorcendone quasi l’immagine. L’autore racconta: “l’ho sentita urlare / appesa alle mani di qualcuno” e in questa immagine riesce a dirci in modo mirabile come Olga cerchi così l’oblio alla miseria della propria esistenza e anche a se stessa.
Molto interessante è l’uso che Canzian fa dell’enjambement in tutto il suo libro: “Il nome non ha importanza / nel trascorso del racconto, il / dolore è pari al suo piacere”. Lo scopo non è quasi mai quello di prolungare il verso in liaison con il successivo, ma di spezzarlo, di infrangerne drammaticamente il ritmo per rendere evidente la frammentazione interiore dei personaggi in scena e dell’io lirico stesso, che è ben evidenziata “nelle fessure” di Olga, le quali rimandano a quelle ferite profonde che la vita lascia, mai del tutto sanate, ma attraverso cui, a volte, può anche entrare la luce.
Olga “Balla coi piedi scalzi, lo / smalto rosso e un’unghia rotta. / La vita ritirata come un ragno”: l’unghia rotta, l’imperfezione esteriore è correlativo oggettivo di una disarmonia interiore e l’immagine del ragno rimanda a un inconscio oseremmo dire kafkiano. Ad accentuare il tutto in questi versi è l’allitterazione della “r”, che diventa elemento distorsivo anche sotto il profilo del suono.
Nell’opera di Canzian va in parte superata la propettiva puramente esistenziale e intimista per sottolineare forse anche una certa intenzione di critica sociale. Partendo da una prospettiva psicanalitica si può evidenziare come certi effetti umoristici e ironici che si creano in questo libro siano inestricabilmente legati ad una visione di questo tipo.
Nel modello freudiano il Witz è uno di quei fenomeni che seguono un percorso ben preciso all’interno dell’economia psichica soggettiva. Si tratta di una formazione dell’inconscio, la cui funzione è quella di una sorta di scarica energetica che avviene tramite il “disvelamento” del materiale inconscio rimosso. Nel saggio del 1905, Der Witz und seine Beziehung zum Unbewussten, Freud spiega che nel non-senso della battuta rappresentazioni diverse vengono condensate in un’unica espressione che ha come effetto il rilascio di quell’ energia che altrimenti sarebbe stata impiegata nella repressione e nella censura del materiale inconscio: il Witz, il sogno, l’opera estetica, scavalcano le resistenze del pensiero rappresentativo cosciente, rivelando il rimosso e possono assumere perciò stesso un valore sociale e produrre un effetto di senso ulteriore. Nell’opera di Canzian più che il senso del comico, tuttavia, riscontriamo una intensa vena umoristica che, come afferma Freud nel saggio Der Humor del 1928, ride del principio di realtà, delle inquietudini che attraversano l’Io, ma è un riso diverso da quello del motto di spirito, in quanto il Super-io ha qui una funzione difensiva, di protezione dall’angoscia; il riso è, diremmo, più simile a un sorriso amaro.
Tra le inquietudini che permeano l’uomo ritroviamo in queste poesie il senso del tempo che trascorre inesorabile e vuoto. Il grigiore della quotidianità toglie la voglia di vivere, consuma, conduce l’individuo a perdere contatto con se stesso. Olga urla durante l’amplesso anche perché in quell’urlo riesce a riconoscersi ancora in vita.
Anche la solitudine e l’incomunicabilità si evidenziano come elementi caratteristici nelle vite dei vari personaggi, perché il condominio non è nient’altro che un microcosmo.
Le ragnatele nell’armadio” di Olga richiamano un po’ lo scarafaggio kafkiano e quando ritorna a casa questa si trasforma quasi in un bozzolo protettivo. Il suo farsi “ragno” rappresenta lo stato di frattura con il mondo esterno che non la comprende. La sua metamorfosi è una ribellione, per quanto passiva, verso quanto la vita porta con sé di ingiusto, di inaccettabile sul piano della dignità umana, così come lo scarafaggio corrisponde per Kafka alla triste e squallida routine della razionalità quotidiana.
In Carlo “tutto ciò che è trattenuto / alla fine esplode” nel sogno grazie alla sua funzione psicanalitica di rimozione. Anche per lui ritorna l’amara constatazione di un’esistenza spesso priva di senso e così “butta / le immondizie la sera, come / la vita, una volta alla settimana”. Carlo attraverso i fazzoletti che lascia sparsi per casa, pregni di lacrime o dei suoi umori, racconta la propria storia, lascia un segno tangibile di sé. I libri sono l’unica presenza di senso in una casa vuota di vita, piena di lattine che tradiscono il vizio di bere, sintomo evidente del suo malessere esistenziale. “Misurano cinque passi le sue / felicità – se si può parlare / di felicità quando si hanno / i calzini sporchi e gli occhi / bucati, dall’ultima lavatrice-“: la felicità è fatta di attimi che si perdono nel buio dell’inconscio e l’occhio bucato richiama l’oblò della lavatrice con un effetto espressionistico di reminescenza pascoliana (“l’occhio esterrefatto”), con un evidente effetto di deformazione della realtà.
L’individuo è isolato dallo sguardo del poeta nella sua incolmabile solitudine e transitorietà: “gli uomini amano l’effimero, ciò che esiste e poi scompare. / Non siamo fatti per restare” e, nella sospensione che contraddistingue l’esistenza, “è inutile attendere l’attesa”.
Carlo vive una vita come anestetizzato, incapace di sentire sia il bene che il male, in una superficiale medietà che diventa opprimente grigiore: “in attesa / di qualcosa che non passa. / I giorni lunghi del male / non li ha nemmeno sentiti “ e la vita vera è oltre.
Anna ha un amore / sconfinato per se stessa” tuttavia “cammina spesso / di notte nella stanza. / Conta i passi ticchettando / l’intonaco dei giorni” perché anche la sua vita è insoddisfacente e banale come l’intonaco bianco di una parete e qualcosa nel suo intimo la tormenta. Nella sua borsetta Anna porta “un pacco di cerotti per / quando ci si fa male nella vita”, ma a volte grida la sua rabbia, il suo dolore. Poi però parla come se niente fosse, cerca di nascondere il vuoto che ha la forma della mancanza e in realtà non si può dissimulare.

 

 

Anche i bambini urlano, come gli adulti del palazzo: nel gioco si allenano a diventare grandi.
Giulia: “è bizzarra questa Giulia che / guardo ma non conosco. / Le calze scure, i tacchi / appena un poco alti e / i capelli arricciati come polvere. / Giulia oggi è un melograno.” Rappresenta l’incapacità di comunicare che caratterizza gli odierni rapporti umani (“come quando ci si deve incontrare ma non si riesce”) e l’impossibilità di poter conoscere e comprendere appieno qualcuno perché gli uomini sono misteri anche a loro stessi (“È altrettanto terribile capirla totalmente”).
Silvio “non sapeva / che ogni passo è una caduta”, non era pronto ad affrontare la vita costellata di ostacoli e non riusciva a prendere le distanze da un amore insano. Un inetto, che “urlava” la sua mancanza di volitività. “Il tempo che ci è dato / non coincide con la vita” che per Silvio è trascorsa deludente e mediocre, incapace com’è stato di instaurare un vero rapporto con la propria donna poiché non riusciva a entrare veramente in contatto nemmeno con se stesso.
Alberto ha due figli, ma solo uno va a trovarlo: attraversare l’uscio di casa sua significa perdonare i suoi errori e comprendere che un uomo può chiedere scusa senza mai riuscire veramente a farlo. Anziano e vedovo ha vissuto le molteplici esperienze di un emigrante, dopo quelle di giovane assetato di vita, ma ha fallito nei rapporti familiari, come padre, e con la moglie ha convissuto condividendo tutto ciò che c’è di quotidiano, ma niente di davvero intimo.
Alina, la donna che fa le pulizie nel condominio, “direbbe che sono giovane / e non so che siamo tutti uguali / chiusa la porta di casa”, afferma il narratore, toccando il punto focale del racconto sul condominio che mette in luce come tutti gli individui si dibattano negli stessi errori e problematiche. Alina “sa che / è sempre bagnato da qualche parte / e non si può tornare indietro”: ha la saggezza di chi ha vissuto una vita che non ha regalato nulla.
Aldo vive in uno degli appartamenti più piccoli, di solito destinati agli immigrati “come / chi è stato buttato fuori casa” dalla moglie che ha tradito. “Ha un odore buono, Aldo, / di vent’anni di matrimonio e / un’amante che gli voleva bene.” La sua figura ci riporta a un’amara realtà, quella del fallimento del matrimonio, sempre più diffusa, che si abbatte sugli uomini strappandoli da una quotidianità monotona e rassicurante.
Il “mondo è uno, uno e uguale”: così conclude il narratore la storia, questo spaccato di vita che si delinea come una sorta di geografia interiore.

Le poesie trovano unità strutturale nella cornice che è costituita proprio dal condominio e nei temi che accomunano le diverse storie. Il linguaggio è volutamente piano, narrativo, ma caratterizzato da un ritmo fortemente spezzato in cui trapela la tensione emotiva sottesa.

E’ libro da leggere e meditare con attenzione, che coinvolge per la sua verità e aderenza alla vita, condizione questa ineludibile affinché si possa parlare di vera poesia.

 

 

 

 

 Nasce a Tortora dall’intesa tra l’Istituto Professionale “Antonio Gabriele” e il Centro di Formazione CSP di Nocera Inferiore, ente accreditato della Regione Campania, la nuova sede universitaria e sede d’esame di uno dei principali atenei online d'Italia, l’università telematica eCampus. 

Già attivo dal mese di Gennaio, il polo di Via Panoramica al Porto sarà il punto di snodo per docenti, figure professionali e aspiranti studenti delle principali facoltà universitarie. Giurisprudenza, Economia, Lettere, Psicologia, Ingegneria sono i cinque indirizzi presso i quali è possibile iscriversi e sostenere gli esami, seguiti passo passo dai tutor universitari grazie anche al supporto della segreteria amministrativa della Cooperativa Sociale Evolutio Tempore.

 

“La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua.”

83 anni fa ci lasciava Gabriele D'Annunzio, autore simbolo del Decadentismo e dell'Estetismo italiano.

Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara, il 12 marzo 1863, sotto il segno dei Pesci, e morì a Gardone Riviera, il 1º marzo del 1938.

Terzo di cinque figli, visse un'infanzia abbastanza serena e si distinse per intelligenza e vivacità.

La madre si chiamava Luisa de Benedictis (1839-1917) ed era dotata di fine sensibilità; dal padre, Francesco Paolo Rapagnetta D'Annunzio (1831-1893) (il quale aveva acquisito nel 1851 il cognome D'Annunzio da un ricco parente che lo adottò, lo zio Antonio D'Annunzio), Gabriele ereditò il temperamento acceso, sanguigno, la passione per le donne e anche, purtroppo, la disinvoltura nel contrarre debiti, che portarono la famiglia da una condizione agiata a una difficile situazione economica. 

Scrittore, poeta, drammaturgo, politico, giornalista e patriota italiano, dal 1924 insignito dal Re Vittorio Emanuele III del titolo di Principe di Montenevoso, cantore dell'Italia umbertina, chiamato anche "l'Immaginifico", rivestì un ruolo importantissimo nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924.

Influenzò così tanto gli usi e i costumi nell'Italia del suo tempo che il periodo in cui visse, più tardi, fu definito, appunto, dannunzianesimo.

Una delle espressioni che spesso accompagnano il nome di D’Annunzio è “vivere inimitabile”: questa frase venne inventata dallo stesso poeta e, in effetti, riassume benissimo la sua vita, ricche di esperienze, che non può essere imitata.

Con il suo famosissimo romanzo Il Piacere, si fece portavoce di un Estetismo che, oltre a essere un movimento letterario, era un atteggiamento: prevedeva che si vivesse sempre a contatto con il Bello, con il lusso, con le opere d’arte; che si vestisse elegantissimi e che si parlasse di argomenti elevati, disprezzando spesso le masse e il popolo incolto.

La vita che il poeta condusse a Roma lo sommerse di debiti, così, anche per scappare ai creditori, cominciò un periodo di spostamenti in Italia. Fu nella romantica città lagunare di Venezia che conobbe colei che diventerà il grande amore della sua vita, la bellissima attrice Eleonora Duse. Con lei D'Annunzio viaggiò e scrisse tantissimo, ispirato dalla donna. 

Questo è anche il periodo della sua vita in cui, leggendo Nietzsche,
D'Annunzio arrivò a fare suo il concetto di superuomo che sembrava essere un proseguimento naturale del suo Estetismo: il superuomo infatti è colui che si distacca da ogni convenzione sociale, che rinasce come spirito libero contro le severe restrizioni del vivere civile e quindi della società.

È questo anche il tempo in cui egli cominciò a scrivere opere per il teatro, in cui compose il romanzo Il Fuoco e divenne deputato del Regno d’Italia; in questa veste lottò affinché, durante la Prima Guerra Mondiale, il nostro Paese entrasse in guerra.

Partecipò direttamente al conflitto, anche in alcune battaglie aeree e per un periodo, in seguito alle ferite riportate, perse la vista ad un occhio scrivendo quello che fu il romanzo della sua convalescenza, Il Notturno.

Il 3 marzo 1901 inaugurò con Ettore Ferrari, Gran Maestro della massoneria del Grande Oriente d'Italia, l'Università Popolare di Milano, nella sede di via Ugo Foscolo, dove pronunciò il discorso inaugurale e dove, successivamente, svolse un'attività di docenze e di lezioni culturali. L'amicizia con Ferrari aveva avvicinato il Vate alla "libera muratoria": D'Annunzio era infatti massone e 33º grado della Gran Loggia d'Italia degli Alam detta "di Piazza del Gesù".

In seguito al conflitto mondiale, e con l’ascesa di Mussolini, D’Annunzio si ritirò dalla vita politica e passò gli ultimi anni sulla villa sul lago di Garda (che diventerà poi il Vittoriale degli Italiani, un museo ancora oggi visitabile). Morì il primo del 1938, dopo una vita, effettivamente, inimitabile.

L’importanza della sua opera è tale che gli valse l’appellativo di Poeta Vate: un poeta in grado cioè di interpretare ed esprimere al meglio le tensioni e lo spirito del suo tempo storico.

Il soprannome il Vate (come fu detto anche Giosuè Carducci), cioè "poeta sacro, profeta" ben si adatta a Gabriele D'Annunzio, che ci ha lasciato liriche meravigliose. Fra le tante, ricordiamo "La pioggia nel pineto".