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di Annamaria Emilia Verre

COSENZA - Cittadina dal fascino inconfondibile per bellezze naturali e tesori d’arte: RENDE.
E’ situata a 476 metri dal livello del mare e conta, ad oggi, 35.671 abitanti.
Ricca di storia e di cultura, Rende si estende lungo il corso occidentale del fiume Crati, fino alle Serre Cosentine, innalzandosi sulle colline, dove erge maestosamente la sua parte antica, fino a scendere a valle dove si estende, su vaste aree pianeggianti, la città moderna, sede dell’ Università della Calabria : l’UNICAL, uno dei più grandi Atenei d’Italia. Per effetto e a seguito del DPR 11 Marzo 2016,  Il Comune di Rende ha diritto, nei suoi atti ufficiali, di fregiarsi del titolo di città.

CENNI STORICI:

Le origini di Rende sono avvolte da diverse leggende. Dionisio di Alicarnasso narra che intorno all’ VIII Sec. a. C due, degli oltre cinquanta figli di Licaone, re degli Arcadi, Enotrio e Paucezio ,scontenti della loro eredità, abbandonarono il regno, accompagnati dalla loro sorella di nome Arintha, donna di ineguagliabile bellezza. Peucezio approdò sulla costa adriatica dell’Italia e diede alla terra che l’accolse il nome di Peucezia (attuale Puglia); Enotrio, insieme alla sorella, si spinse oltre ,navigando il mare, successivamente denominato Tirreno, precisamente nella zona dell’odierna San Lucido, per poi salire le montagne e approdare nella località attualmente nota come “Guardìula” (odierna Nogiano). A questa nuova conquista Enotrio diede il nome di “Aruntia”, poi successivamente chiamata “Arintha” in memoria della splendida sorella che, disgraziatamente, vi trovò la morte. Il corpo dell’austera regina venne rivestito di ornamenti di argento e oro ,e seppellito, con il suo tesoro, in una profonda caverna scavata nella vicina collina. Tale località, tramandata nel tempo col titolo di “Timpa di Arintha” (Tomba di Arintha), fu venerata dai discendenti di quel popolo, i quali presero il nome di Arinthani e poi Renditani, per successive modificazioni del toponimo. Altra leggenda vuole, invece, che i fratelli erano tre Vergiglio (al quale è dedicata una via nel centro storico) Enotrio e Paucezio, i quali, essendo in fuga, accompagnati dalla sorella Arintha, sbarcarono a San Lucido dall’alto Ionio e raggiunsero a piedi il borgo. Arintha, sfinita, arrivata ai pressi della “Guardiulìa” morì. A lei, attualmente, sono state dedicate alcune vie come “Via BellaArintha” meglio conosciuta come “Paramuru” nel centro storico (la tradizione vuole che,successivamente, per questa via si fermò anche San Francesco da Paola. Il Santo come era solito fare benedisse questo luogo). Al di là della leggenda, sono certe le origini enotrie della primitiva “Aruntia,” difatti della sua opulenza ne parlò ,nel ‘600, anche Ecateo da Mileto, nonché altri storici come Stabone, Lesbico, Bisanzio, solo per citarne alcuni. De Amato la ricorda così “Arintha, nun vulgo (Renda)dicta, Oenotrorum oppi dum, inter Emolam et Surdum amnes sublimi locatum. Terra undequaquae faecunda in suis oleribus, frugibusque(…).
Ebbe una lunga evoluzione storica che passò dal periodo dell’Impero Romano alle dominazioni Bizantine, Longobarde e Saracene, fino al periodo Normanno, Svevo, Angioino e Aragonese. Ognuno di queste culture lasciò nel territorio una loro impronta. Fu coinvolta dalle idee liberali della Rivoluzione Francese, fino a giungere poi, alla proclamazione del Regno d’Italia.
Tra l’800 e il ‘900 si presenta come un’area prevalentemente agricola - artigianale. Si producevano: grano, olive, fichi (i quali ad oggi alimentano un fiorente mercato del prodotto lavorato), i gelsi per la lavorazione della seta, i c.d. “setaiuli rennitani”, la quale seta, poi, veniva tessuta, con paziente lavoro, al telaio; la produzione e coltivazione del tabacco da parte del barone Giorgelli, torinese, trapiantato a Rende nei primi anni del ‘900; la lavorazione dell’argilla che ha fornito per anni la materia prima ai c.d. “Pignatari” coloro i quali lavoravano la ceramica. Rende era sede, anche, di una enorme fiera agricola, durande l’ultima decade di agosto, nella frazione Santo Stefano (allora di proprietà della famiglia patrizia dei Magdalone) nella quale si commerciavano animali come mucche, buoi, cavalli, asini, suini , ecc. Successivamente nascono le prime industrie come “La Liquirizia Zagarese”, otto fabbriche di laterizi, industrie del legno. Oggi, si può dire, che sempre più importante sta diventando il Parco industriale di Rende che raggruppa diverse aziende operanti in vari settori e ubicate nella zona industriale.
Originariamente tutto si svolgeva nella parte antica della città la quale era caratterizzata da diversi negozi, c.d.“botteghe” ,come la “Piccola standina”, gestite per lo più da gente del luogo. Negli anni ottanta e novanta, le amministrazioni comunali spostarono tutto a valle costruendo nuove piazze, parchi, musei e Chiese, trasformandola in una città moderna, caratterizzata dalle sue meravigliose aree verdi e, dal dicembre del 2011, sede del Municipio, in Parco Rossini, accanto alla Cattedrale di San Carlo Borromeo. Oggi Rende vanta un notevole piano regolatore e un terziario avanzato. La nascita dell’UNICAL rappresentò un ulteriore punto di forza e di sviluppo del territorio. La protettrice della città è L’Immacolata Concezione, si festeggia il 20 febbraio. Nell’occasione, tutta la comunità si riunisce sotto i festeggiamenti che culminano con la consegna delle Chiavi da parte del primo cittadino alla Santa Patrona, la cui figura è simbolo della salvezza della città e dei suoi abitanti dai forti terremoti avvenuti il 17 luglio 1767 ,il 12 febbraio 1854 e il 20 febbraio 1980. 

RENDE OGGI:

Città nobilissima per memorie millenarie, il Centro Storico di Rende oggi è divenuto un pittoresco Borgo Antico, propriamente detto “Borgo dei Musei”, un vero e proprio punto di attrazione culturale. Offre al visitatore, assieme ai suoi edifici monumentali pieni d’arte e di storia, numerose altre testimonianze artistiche che ricordano il suo passato e costituiscono una interessante e concreta documentazione. Da vedere: Museo Civico ospitato nel Palazzo Zagarese, impreziosito da diversi capolavori d’arte in prevalenza meridionale, dal ‘500 al ‘700. Nasce originariamente nel 1980 come museo del Folklore e successivamente fu arricchito da una bellissima pinacoteca dedicata ad Achille Capizzano con opere dello stesso e di altri artisti locali come Mattia Preti, Pascaletti ,Santanna, ma anche di altri grandi pittori del ‘900 come De Chirico, Guttuso, Balla, Carrà, Greco, Levi, Sironi e Viani. Nel Palazzo Zagarese vi è anche un laboratorio di liuteria; Museo Dell’Arti dell’Otto Novecento (MAON) ubicato nel settecentesco Palazzo Vitari. Museo d’Arte Contemporanea “Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona” collocato nel Castello. Museo di ceramica a Palazzo Bucarelli. Cinema Santa Chiara primo cinema della provincia di Cosenza. Castello Normanno detto “Gigante di Pietra” :imponente e altero spicca sulla collina del Vaglio. Fu fondato nel 1095 per ordine di Boemondo d’Altavilla. Le tre torri rappresentano lo stemma del Comune , probabilmente la loro prima comparsa come gonfalone comunale avvenne nel 1222 per l’inaugurazione del Duomo di Cosenza alla presenza di Federico II di Svevia. Tutt’ora nel Castello è possibile ammirare due stemmi araldici appartenenti a due famiglie succedutosi nella proprietà del castello: i Magdalone e gli Alarçon de Mendoza. Di fronte, in alto, è visibile lo stemma comunale, con sotto l’iscrizione: Urbs celebris, quondam sedes regalis, Arintha (Celebre città. Antica sede reale, Arintha). Il Castello, di proprietà del Comune dal 1922, è stato sede del Municipio fino al 2011. La tradizione vuole che il maniero fosse un tempo il luogo prescelto per i torbidi amori di una marchesa, si pensa appartenente alla famiglia dei Mendoza, la quale, dopo aver giaciuto con il bel giovanotto, oggetto delle sue brame, provvedeva di persona a disfarsene: prendendolo per mano ne guidava i passi verso un punto della stanza nel cui pavimento si trovava uno sportello ribaltabile e non appena il malcapitato vi metteva sopra il piede lo faceva precipitare in un buio e profondo pozzo. Di lei si narra ancora che durante le sue cavalcate, sulle terre laddove il cavallo si fermasse, divenissero di sua proprietà.
Rende, il cui sentimento religioso ha radici profonde,soprattutto dedita al culto mariano, è ricca di numerosi edifici sacri pieni di oggetti d’arte e di fede. Solo nel centro storico si possono ammirare : La Chiesa Matrice Parrocchiale di Santa Maria Maggiore (Duomo), Il Santuario di Costantinopoli, La Chiesa del Ritiro già Abazia di San Michele Arcangelo, La Chiesa del Rosario, Chiesa Dell’ Assunta comunemente conosciuta come “Riticieddru” , Chiesa di Maria SS della Neve, Chiesa della SS. Vergine della Pietà, Chiesa di Santa Lucia e Sant’Ippolito meglio conosciuta come “A chiesa i San Giuvanni” per la presenza di una bellissima Statua rappresentante San Giovanni Battista , Chiesa di San Francesco di Assisi o di Santa Maria delle Grazie già conventuale dei Minori Francescani Osservanti (oggi Convento delle Clarisse), Chiesa di Sant’Antonio Abate. Nelle contrade non molto distanti si possono ammirare La Chiesa si San Francesco da Paola, La Chiesa di San Rocco (C.da Rocchi), La Chiesa di Maria SS. Di Monserrato (Quattromiglia), La Chiesa di Maria SS. Della Consolazione (Santo Stefano e di Arcavacata). Edifici di struttura più moderna Il Santuario della Beata Vergine di Lourdes, La Chiesa di Sant’Agostino, La Chiesa di Sant’Antonio da Padova (Commenda), La Chiesa di San Giovanni Battista (Commenda), La Cattedrale di San Carlo Borromeo. Ancora nel centro storico risaltano interessanti dimore patrizie, rifatte nel secolo scorso, orgoglio e vanto di prestigiose casate, culle di personaggi famosi ch’ebbero un ruolo determinante negli avvenimenti della storia locale: i Magdalone, i Pastore, i Perugini, gli Zagaresi, tutti più o meno del ‘500 ,che conservano intatti molti portali scolpiti e balconate in ferro battuto. La centrale “Piazza degli Eroi” meglio nota come “U Seggiu”, i suoi vicoli particolarmente stretti e le arcate d’accesso. Lasciata alle spalle la parte più antica del Comune, si scende verso valle, ove si distende la città nuova. Ci si trova a spaziare in un contesto urbano molto diverso dal precedente col quale si pone un marcato contrasto tra una parte antica e una moderna. Si può ammirare Il Museo del Presente con il Belvedere delle arti e delle scienze, la “Sala Tokio” “il laboratorio dei pensieri” e internet cafè. Il “Metropolis” primo centro commerciale della Calabria, i diversi parchi tra cui il Parco Robinson, Parco Rossini, il Parco fluviale Emoli, le sue diverse aree verdi. Rende è conosciuta come città degli artisti, dando i natali a famosi pittori, scultori, musicisti del passato ma anche attuali, orgoglio dei rendesi. Diverse sono le compagnie teatrali che rappresentano egregiamente il territorio. Ricca anche nell’arte culinaria, diverse sono le ricette “rennitane” che si possono deliziosamente assaggiare nei vari ristoranti locali: “lagani e ciciari “(tagliatelle senza uovo), “fischietti e patati a ra tieddra”, “pipi chjini”, “majatica”, “cuddrurieddri” e diversi i dolci tipici “scaliddri” “turdiddri”, “Nginetti”, “Cuddruri” e tanti altri. Rende presenta diversi eventi, sicuramente fra i più importanti rientra Settembre Rendese una prestigiosa rassegna di musica e cultura che vede la presenza di grandi nomi dello spettacolo. Vanta, inoltre, di una notevole squadra calcistica.
La città di Rende definita da molti benpensanti la “Molinella del Sud” lascia nel visitatore un profondo sentimento di meraviglia e di incanto, nonché la voglia di tornare.

Bibliografia: Rende: usanze, tradizioni, costumi. G.Giraldi 

Foto tratte dal web

 

 

di Ivana Orlando

Alla domanda: “C'è una città, tra quelle che hai vissuto, in cui torneresti?”, ho sempre risposto che non mi mancavano i luoghi ma gli spazi. Quella porzione di nostalgia giacente su un intervallo tra forme, odori e momenti.
Sono nata a Torino, ricordo la piazzetta davanti casa mia. Sembrava immensa attraverso gli occhi di una bambina.
E i portici: lunghissimi, chilometrici. Imponenti colonne arcate di marmo fuoriuscenti dal suolo, cingevano il confine con la strada. La bellezza architettonica a misura d’uomo.
L’utilità dell’arte, non solo la sua concezione estetica e storica ma anche l’idea della forma architettonico che risponde alle esigenze dell’essere umano.
Un connubio di forme e di funzionalità che fanno di un’opera l’identità.

Lungo quello spazio, protetto dalla pioggia, dalle neve e dall’autovetture, mio padre mi portava per le prime lezioni di bici.
Infatti i portici furono costruiti in primis per permettere alla nobiltà di fare lunghe passeggiate al riparo dalla pioggia e dai raggi di sole estivi.
I nobili di allora e ora i cittadini piemontesi si trastullano, come tradizione, tra un passo e l’altro, nel prendersi un caffè, un pasticcino e buttar un occhio nelle vetrine dei negozi. Ogni tanto ci si sfiorava lo sguardo tra un passante e l’altro ma a porsi sempre al centro dell’attenzione, il protagonista era sempre il portico.
Un salotto all’aperto.
Sorreggeva le passeggiate come essere a braccetto con la storia.

Ti basta aver sorriso, aver lacrimato o gioito per dar forma e contenuto ad uno spazio.
(Ivana Orlando)

Nell’800 altri spazi porticati si aggiungono a quelli esistenti: piazza Vittorio Emanuele I (ora piazza Vittorio Veneto), poi piazza Carlo Felice, davanti alla stazione di Porta Nuova, e infine piazza Statuto.

I portici di corso Vittorio Emanuele II e corso Vinzaglio, delle vie Sacchi, Nizza, Roma, Cernaia e Pietro Micca, infine, costruiscono un anello pedonale che consente di collegare la stazione centrale di Porta Nuova e quella di Porta Susa.

 

 

Una bambina col cappottino rosso, cammina fra la folla appena rastrellata, sembra un'anima persa! Nessuno la guarda, o le da' la mano, però lei non se ne rende conto, alza la testa e ...va, coi ricci al vento.
La folla piena di paura, per l'incognita che ha davanti, è presa dall'ansia e ha già perso la sua umanità'!
Non guarda neanche quel cucciolo di donna, che cammina svelta, piena del coraggio che vien dall'incoscienza!
Non sa quel che l'aspetta, sorride a tutti, perfino ai crucchi! Quante bambine, dal cappotto rosso, ci sono oggi nel mondo, con incoscienza anche loro vanno sorridendo, finchè non incontrano il crucco di turno che le uccide!

 

 

Nel silenzio di una porta di metallo chiusa.
Le poche parole esalate nei respiri acri.
I monitoraggi cerebrali, fisici, divengono stanze senza finestre.
I vestiti fuori dal campo e, oltre il filo spinato, tanti pigiami a righe, fermi, privi di corpi.
Non puoi correggere la forma dei tuoi occhi e ne’ figliare una razza.
La follia retrocede la genialità, ma può divenire morte?
Quando il carnefice diventa vittima, vittima di se stesso e l’errore indossa la morte, una morte imprevista, vestita di uniformare. .
E se ne hai possesso…
la colpa potrà perdonarti?

Soprattutto nel finale, il regista ha saputo palesare la beffa fatale dei ruoli.
Lo scambio delle parti, attraverso degli indumenti, semplici indumenti ma che in se’ hanno delineato un destino.
Concludo con una citazione di lustre etica:
“Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.

 

 

In ogni stagione, nei vicoli dei paesi e delle città del Sud, nel silenzio della notte le pietre delle case, come diffusori di essenze, rilasciano pian piano antichi profumi.
L'odore dolce del mosto lasciato a maturare nelle botti, l'odore acre e pungente delle olive appena spremute e dell’olio nuovo che pizzica la gola, l'odore acidulo dei pomodori lasciati ad asciugare sotto il sole cocente delle estati del Sud, il profumo meraviglioso del ragù della domenica lasciato a sobbollire per ore nelle pentole in creta ereditate dalle nonne.
Nei vicoli questi odori raccontano le antiche tradizioni della nostra terra, i legami familiari indissolubili che il tempo non cancella ma rafforza, il ricordo di chi altrove vive, emigrato lontano da questa terra amara che non ha lavoro per tutti oppure di chi continua a vivere, lontano nel cielo stellato, oltre la vita.
Essenziali, puliti, evocativi, emozionanti: sono questi i profumi del Sud che amo!
Gli odori della terra e del mare, i profumi che legano chi resta e quelli impressi nella carne di chi va, di chi parte per un lungo viaggio e che, con nostalgia, attende il ritorno.
Le tradizioni del Sud le ritroviamo sempre nei versi dei poeti, nei libri, nelle enciclopedie dei ricordi dei nostri anziani, vera risorsa e memoria storica da custodire gelosamente.
Ogni incontro, ogni discorso, ogni parola, sono tesori da incastonare o da infilare nella collana dell’esperienza; le tradizioni ti prendono per mano e ti accompagnano in un lungo viaggio alla scoperta delle meraviglie che la vita ha da offrire.
Incontri con persone e personaggi, incontri di anime, incontri che lasciano il segno.
Per dirla con Fabrizio De André: "è stato meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati"; è questa la sensazione che prova chi ama il Sud.
E’ la sensazione dell'abbandono dopo una storia che finisce con la consapevolezza di essersi arricchito grazie a quell'incontro.
E’ la sensazione del bambino che, con occhi incantati, guarda il clown e non l’artista malinconico che si nasconde dietro il trucco.
E’ l’incanto del luogo in cui ti senti a casa e tutto diventa poesia.
Il mio Sud è il padrone della Luna e, come Teo di Amarcord che appollaiato sull'albero grida al mondo "Voglio una donnaaa!", urla il suo bisogno d'amore.
La terra generosa con il pane nelle mani che accoglie il pellegrino, perché chi viene da lontano deve essere accolto; gli abitanti della nostra terra, con storie di emigrazione alle spalle, si accorgono che quelli che hanno affidato al mare le proprie disperazioni e le proprie speranze, semplicemente, "sono come noi!".
Sono queste le tradizioni che amo.
La generosità della gente, la solidarietà, l’accoglienza, l’ospitalità, il cibo da condividere, le pietanze preparate con le mani e con il cuore.
Il mio Sud è poesia che diventa universale, che non ha confini, che striscia come un bruco nutrendosi della linfa vitale della propria terra e poi spicca il volo come colorata farfalla volando ed impollinando i pensieri di chi legge, ovunque, in ogni parte del mondo.
E’ questo il Sud che amo!