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Melillese di origini, fu uno degli ingranaggi silenziosi dello sbarco alleato in Sicilia, ma anche della tortuosa liberazione dell’Italia.

 

di Massimo Reina

Pochi lo ricordano, ma uno dei nomi chiave dell’intelligence americana durante la Seconda Guerra Mondiale portava sangue siciliano nelle vene. Si chiamava Max Corvo, ed era figlio di Cesare Corvo, originario di Melilli, piccolo centro arrampicato tra gli Iblei e il mare. Nel 1923, in tempi in cui essere antifascisti significava rischiare la galera o l’esilio, Cesare fu costretto a lasciare l’Italia. Sbarcò in America da solo, lasciando dietro una moglie e un bambino.

Da Melilli al Connecticut e ritorno

Solo sei anni dopo, ottenuta la cittadinanza americana, poté finalmente riabbracciare la famiglia a Middletown, Connecticut, dove già esisteva una nutrita colonia di melillesi emigrati. Non perse tempo: fondò “The Middletown Bulletin”, un settimanale in lingua italiana, e divenne punto di riferimento per gli ambienti antifascisti d’oltreoceano. In quella comunità orgogliosa, che parlava ancora il dialetto stretto e non dimenticava le radici, Max crebbe con un piede in due mondi: l’America della libertà, e l’Italia della memoria.

Quando nel 1941 si arruolò volontario nell’esercito americano, i suoi superiori non ci misero molto a capire che quel giovane parlava più lingue del previsto: inglese, italiano, e quella più difficile di tutte, il buon senso. Lo assegnarono subito all’Office of Strategic Services (O.S.S.), l’embrione della futura CIA, dove ricevette il nome in codice “Maral” e la tessera operativa n.45. A guidare la sezione italiana era Earl Brennan, e il compito era tanto ambizioso quanto rischioso: preparare e accompagnare con operazioni di intelligence lo sbarco alleato in Italia.

E così, da figlio di un emigrante antifascista, Max Corvo divenne il cervello operativo di una delle più decisive missioni della guerra. Conosceva i dialetti, le famiglie, le paure. Ma soprattutto, sapeva da dove veniva e per cosa valeva la pena combattere.

L’agente tra due fuochi

Corvo operò sul campo tra spie, militari infedeli, patrioti veri e opportunisti professionisti. Nel suo personale teatro bellico incrociò alcuni dei nomi più controversi del Novecento italiano: Rodolfo Graziani, il maresciallo d’Italia che si macchiò delle atrocità coloniali in Libia e in Etiopia; Ruggero Bonomi, l’ammiraglio che tentò di salvare l’onore della Marina; Rosario Sorrentino, un altro ufficiale dai contorni ancora opachi.

In quell’Italia lacerata e confusa, in cui fascisti in disarmo cercavano di reinventarsi e i partigiani non avevano ancora vinto né la guerra né la pace, l’OSS era il lungo braccio della strategia statunitense. E Max parlava l’italiano con accento isolano e conosceva le regole non scritte della nostra terra. Forse è questo che lo rese così efficace. Forse è per questo che, quando cercava contatti o traditori, non si fidava mai solo delle carte. Guardava gli occhi, come fanno i vecchi contadini.

Dopo la guerra: arance, giornali e memoria

Dopo essersi congedato con il grado di maggiore, Corvo restò in Italia per qualche anno. A Roma, con la moglie Mary A. Donovan (anche lei dell’OSS), provò la strada del mondo civile, lavorando per una società di consulenza. Poi, nel 1949, il ritorno negli Stati Uniti: ma non alla pensione dorata del reduce. No, Max Corvo fondò “The Middletown Bulletin”, una casa editrice che pubblicava giornali bilingui, italiano-inglese, per tenere viva la voce di una comunità italoamericana che rischiava di dissolversi tra i grattacieli del nuovo mondo.

Nel 1962 tornò ancora in Italia, a Catania, dove si occupò — ironia della sorte — di agrumi. I mandarini dopo i microfoni. I limoni dopo le spie. Poi, cinque anni dopo, il rientro definitivo negli USA, dove continuò il suo impegno nel Partito Repubblicano, testimone di un’America che cambiava pelle ma non ambizioni. Nel 1989, ormai in età avanzata, Max sentì il bisogno di raccontare.

Lo fece con un libro: The O.S.S. in Italy 1942-1945: A Personal Memoir. Un memoriale sobrio, diretto, che restituisce un’immagine dell’Italia vista dal basso: fatta di alleanze traballanti, nobiltà decadute, ufficiali vendibili e contadini eroici. Nel 2006 il libro arrivò anche in Italia. In ritardo, come spesso accade con i testimoni scomodi. Max Corvo è morto nel 1994, a Middletown. Lontano dall’Italia che cercò di aiutare a rialzarsi. Ma che, forse, non ha mai veramente voluto ascoltare la voce di chi l’aveva capita meglio di molti italiani.

 

 

A cento anni dalla nascita di Manlio Sgalambro, il volume edito da Pellegrini sul filosofo siciliano al centro del panorama intellettuale contemporaneo faro di lucida critica e profonda riflessione sul dominio delle lobby

 

di  Mimma Cucinotta

Nel panorama intellettuale contemporaneo, l'opera di Manlio Sgalambro si erge come un faro di lucida critica e profonda riflessione.

 

Il prossimo 17 luglio 2025, alle ore 18.00, presso il Museo Cesare Baccelli di Marano principato (Cs), si terrà il laboratorio nell’ambito del progetto “Mind the Step” con l’artista Roberto Mendicino: un evento che unisce riflessione artistica, narrazione personale e valorizzazione del territorio calabrese.

 

Il Premio Artistico-Letterario “Autori Italiani 2025”, giunto alla sua quarta edizione, è promosso da “Atlantide – Centro Studi Nazionale per le Arti e la Letteratura”, in collaborazione con il gruppo “Apri il cuore alla poesia” e il quotidiano d’informazione nazionale “La VOCE agli italiani”, con il patrocinio di numerose associazioni culturali attive sul territorio.

 

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L'elenco degli omicidi in Calabria compiuti dalla 'ndrangheta e rimasti impuniti è lunghissimo, e non si limita alla sola terra calabra, ma si estende anche ad altre regioni. Fra i tanti delitti irrisolti, archiviati con assoluzioni, prescrizioni e altri esiti, ve n’è uno particolarmente feroce, avvenuto nel lontano 1981.

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