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Anno 2020, molti dicono..."da dimenrticare" – ma questo, se ben pensiamo, sarà impossibile farlo o, comunque, difficile. Le parole più ricorrenti, che abbiamo ascoltato o letto, in tutti i giorni del decorso anno sono state: pandemia, emergenza, covid, vaccini. Ogni sera, poi, i bollettini legati al caos pandemico ci stampavano sulla pelle come un numero di matricola tatuato, la sofferenza della morte altrui. I pensieri del mondo, del nostro paese e/o del nostro comune, si sono avvolti attorno alle stesse parole.
Molti di noi, avendo nella vita appreso circostanze legate alla morte come conseguenza di innumerevoli tragedie, hanno pensato di essere pronti alle "emergenze". Abbiamo vissuto indirettamente terremoti, calamità, tragedie sociali che, però, coinvolgevano altri ed in tutti i casi riguardavano persone a noi sconosciute e, pertanto, non ci è stato consentito di "soffrire" poiché dopo avere acquisito le varie informazioni, è bastato un piccolo gesto sul telecomando per evadere da quei difficili momenti.
Ma oggi è toccato a noi e se non direttamente sono state coinvolte persone a noi vicine, parenti, amici o soggetti che avevamo incontrato anche solo un volta. Da ciò ne sono scaturiti dolori e sofferenze eclettiche che hanno trovato rivoli in ciascuno di noi, che ci ha colpito con effetto domino, che ci ha fatto percepire la metamorfosi della configurazione della terra, che ci ha fatto respirare la fisionomia del dolore, che ci ha fatto prendere coscienza di una "emergenza" globale presente tutti i giorni, tutte le ore, non valutabile, imponderabile, indefinibile e imprevedibile nelle conseguenze.
E' impossibile non pensare al lacerante patimento e afflizione di tutti coloro che non hanno potuto regalare la loro affettuosa presenza, l'amore, il saluto "finale" ai loro cari ricoverati in nosocomi o in case di riposo; impossibilità che lasceranno nel nostro futuro lacere ferite, incancellabili mancanze per i baci non dati, per le carezze non fatte, per i mancati saluti, per le lacrime non fluite.

Tutto questo certamente rimarrà alle nostre spalle ma ci saranno momenti per ricordare: di non avere a volte riconosciuto persone perchè indossavano la mascherina, l'impegno dei medici e degli infermieri, le regole, i ripensamenti politici, i mezzi militari in fila, con i fari che bucavano la nebbia e con i carichi di morte, le persone in fila fuori ai supermercati, alle farmacie, ai negozi (quando erano aperti), le persone in fila per prelevare un sacchetto con pochi necessari viveri, le lamentele di chi era stato costretto a chiudere l'attività senza ricevere aiuti da parte di uno Stato già in difficoltà, le ipotesi (a volte contrastanti) di quei virologi che – invece - avrebbero dovuto rassicurarci, alle condizioni di solitudine e di isolamento, la didattica a distanza dei nostri figli, la paura intrisa di disperazione di chi ha perso il lavoro e di coloro che sono stati messi ai margini.
Per ricordare i dolori e le sofferenze per la vita e per la morte.
Per ricordare l'immagine più forte, si, la più forte, quella del Santo Padre la sera del 27 marzo 2020, quando sotto il pianto del cielo, le pietre antiche contarono i suoi passi stanchi, che guidarono il candore di seta marezzata tra il bene e il male; quei passi che, giunti al bagnato Cristo, s'unirono al silenzioe all'irreale oblio del mondo. Vite nel buio perse stettero impietrite al fischio, al lampeggìo inibite, mentre, un sacro bronzo il Lete rallegrò. Il Santo Padre, inerme, al centro dello spazio vuoto, disegnò una croce e, sussurrando al vento l'urbi et orbi, ogn'uomo assolse. E Scorsero lacrime dentro le case.

 

 

Ieri un altro bambino ucciso per dispetto, ma passato nel più assoluto silenzio!
Neanche le belve ammazzano la prole.
Non basta più il virus che miete con la falce tante vittime ogni giorno! Ora ci si mettono di mezzo anche i padri che, armati dicoltello e di pistola, uccidono i figli per far dispetto alle mogli o compagne !
Io mi chiedo "Ma come fai, è tuo figlio, l'hai tenuto in braccio, quando è nato te lo sei stretto al cuore? Ora l'hai trasformato in arma di ricatto e tu sei diventato la più feroce delle belve!".
Per far dispetto all'altro tu lo uccidi, diventando carnefice e assassino ti macchi le mani del sangue di un bambino, tuo figlio! Ma che belva sei diventato?
Belva?
No.... le belve non ammazzano la prole!

 

 

Sono tre giorni che sento rimbombare nella mia testa le urla di una donna, che, dalla televisione, grida: "Non so neanche dov'è!" Chi? Di cosa parla?
Mi documento e capisco che in una RSA sono morte in modo atroce, asfissiate da monossido, delle ospiti, nel sonno. Alcune sono state portate nei vari ospedali di zona, altre sono morte, sole, senza un affetto, senza una parola, senza un familiare che le tenesse loro la mano!
Allora, io dico che è proprio vero il detto degli antichi: "Una mamma cresce 100 figli, ma 100 figli non possono avere cura di una mamma!". Anzi la chiudono in un ricovero!
E non mi si dica che è per impegni lavorativi, perché questi luoghi deposito di anziani sono anche molto cari!
Con la stessa spesa, e anche meno, si può incaricare una persona e lasciare il proprio caro o la propria cara a casa sua fra le cose che l'hanno accompagnato per una vita; allora anche l'altro detto risulta vero: "Occhio non vede, cuore non duole ! ". Quindi si prende la persona anziana e la si strappa dal suo ambiente, come quando si trapianta una piantina in un altro vaso, si raccolgono armi e bagagli e via al ricovero! Se poi lì non è curata e le condizioni di vita non sono ottimali, non interessa a nessuno: solo se il soggetto muore, poi si urla e si piange! Io dico, a che pro?

 

 

Fervono i preparativi per la settantunesima edizione del Festival di Sanremo.
Anche quest’anno la kermesse, che si svolgerà dal 2 al 6 marzo 2021 presso il teatro Ariston di Sanremo, sarà condotta da Amadeus, che ricoprirà anche il ruolo di direttore artistico. Riconfermati Fiorello, che affiancherà il presentatore come nell’edizione precedente, Achille Lauro (rapper e cantautore) e Zlatan Ibrahimovic (calciatore) che saranno ospiti fissi, e la cantante romana Elodie, che rivestirà il ruolo di co-conduttrice per una sola serata. La competizione, esattamente come l’edizione trascorsa, avrà due categorie principali: una categoria Campioni, composta da 26 cantanti, e una categoria Nuove proposte, composta da 8 cantanti. Gareggeranno anche i sei artisti vincitori di "Sanremo Giovani 2020" e i due vincitori di "Area Sanremo" che hanno acquisito il diritto di partecipare al Festival.
La vera novità di questa kermesse potrebbe essere rappresentata, però, dal pubblico: la Rai ha in progetto di mettere in quarantena, su una nave da crociera, sia gli spettatori che tutta l’organizzazione dell’evento. Lo stesso Amadeus, qualche giorno fa, durante un’ intervista a RTL102.5 aveva dichiarato: «Sarà un Festival con regole sanitarie certe e ci stiamo lavorando assieme affinché siano tutti in sicurezza, ma deve essere il più normale possibile e, quindi, con il pubblico. Fare Sanremo e rispettare i tempi è fondamentale, sempre con tutte le precauzioni». Il direttore artistico aveva, inoltre, specificato: «L’idea è quella di tenere 500 persone in una bolla, su di una nave da crociera attaccata al porto di Sanremo. Non è detto che tra queste ci saranno persone già vaccinate. Trascorreranno una bellissima settimana di vacanza a bordo e ogni sera saranno riportati in pullman da massimo 20 persone, così da tenere gruppi distinti e isolati in caso di improvvise positività».

Le ultime notizie, però, non sono confortanti: Walter Ricciardi, il consigliere del Ministro della Salute Roberto Speranza, ha ritenuto rischiosa l'idea, affermando: «Se non si è davvero ligi alle regole, un luogo del genere può diventare velocemente un focolaio». Le nuove regole del Dpcm, inoltre, imposte dal governo Conte per contrastare la pandemia, ed in vigore per tutto il mese di marzo, hanno spinto i vertici della Rai a fissare una riunione urgente con le parti interessate – Comune di Sanremo, Rai, Amadeus, sponsor – per decidere quali decisioni prendere. Non si esclude che l’evento possa slittare ad aprile, subito dopo Pasqua, o che si svolga senza pubblico. Insomma, la situazione è davvero complicata, i malumori si respirano da più parti: i pubblicitari spingerebbero per realizzare un Festival senza spettatori, a differenza di Amadeus che è totalmente contrario a questa ipotesi. Lo scontento serpeggia anche tra i discografici che hanno fissato l’uscita dei progetti discografici, dei cantanti in gara, per l’inizio di marzo. Lo stesso Vicki Gitto, presidente dell'Adci (Art Directors Club Italiano, associazione di categoria), ha dichiarato: «Ipotizzare un Festival aperto al pubblico, peraltro in maniera molto forzata, tra bolle, navi da crociera e tamponi a gogò, ci suona - per utilizzare un garbato eufemismo - come una nota stonata. Il Festival è uno show televisivo, non teatrale, cui certamente la presenza in platea di qualche centinaio di privilegiati non aggiunge nulla».
Come dice il proverbio: “Chi vivrà, vedrà”. Attendiamo fiduciosi gli sviluppi della situazione, certi del fatto che sarà sicuramente un festival anomalo.

 

 

Prima parte

La mia esperienza lavorativa ultratrentennale nella cura delle dipendenze e la mia passione per le arti da sempre hanno stimolato in me la voglia di trovare linee di contatto tra questi due mondi che apparentemente appaiono distanti tra di loro. Questo è un viaggio “schizofrenico” alla ricerca di curiosità, di fatti insospettabili, di fotogrammi di vite legati ad un tempo ed uno spazio ben preciso che solo apparentemente pensavamo di conoscere a fondo. La pittura, la letteratura, la musica sono questi gli ambiti che andremo a trovare con una lente d’osservazione diversa dal solito muovendoci con assoluto rispetto ed in punta di piedi. Analizzeremo queste tre arti separatamente anche se come spesso accade nella vita le cose, specie quelle umane si toccano si fondano tra loro divenendo inseparabili, ecco che scopriremo come Eugenio Finardi prende ispirazione per la sua “Scimmia” dal libro di William Burrougs, “La scimmia sulla schiena” o come la folle arte di Andy Warhol disegnerà alcune tra le copertine dei dischi più famose della storia come quella di Sticky Fingers dei Rolling Stones o la famosa banana sexy del primo album dei Velvet Underground di Lou Reed. Quelli che ho scelto in questo articolo sono naturalmente solo una piccolissima parte dei punti che avremo potuto analizzare sull’argomento, spero servano da stimolo a solleticare la nostra curiosità perché come spesso accade nelle cose della vita non tutto è in realtà come sembra apparire.
È convinzione di molti che tra arte e droga esista un forte connubio. L’artista, secondo un luogo comune, accoglie in sé il binomio “genio e sregolatezza”. Ovviamente, ciò non significa che chiunque si occupi di arte faccia spasmodico e generalizzato uso di droghe o stupefacenti, tuttavia è risaputo che l’uso di droghe nella produzione artistica di ogni tipo, arte visiva, musica, letteratura, pittura, ecc. non è un qualcosa di insolito né irrilevante specialmente in alcuni contesti.
Secondo taluni esperti, l’assunzione di droga, nel mondo artistico, trova la sua “giustificazione” nella possibilità di trarre particolari vantaggi, seppure innaturali, quali ad esempio il potenziamento della capacità percettiva (mentale) e l’amplificazione delle capacità sensitive (sensoriali), confluendo il tutto, nel prodotto artistico.

Allentare i freni inibitori, liberare la creatività dalle trappole del razionalismo

L’uso delle droghe nel campo artistico è mutato molto spesso in base al periodo storico rincorrendo, rispondendo o rifiutando la società del momento.
Alla fine dell’‘800, in epoca romantica, la droga più diffusa tra gli artisti era l’assenzio. Di essa facevano uso, in particolare, gli artisti romantici, incompresi dalla società e oppositori dei valori borghesi, è la droga degli impressionisti, di Manet, Monet, Renoir, Degas, Gauguin, Van Gogh, Picasso ecc. Nel 1915, dopo avere assunto le caratteristiche di una vera e propria piaga sociale, l’assenzio viene proibito per legge. Negli anni ’20, invece, nella Louisiana e in particolare nella New Orleans nera, era molto diffusa la marijuana, diffusione che coincide con la nascita della musica jazz.
Come non citare negli anni 50 gli artisti dell’espressionismo astratto e poco dopo quelli della beat generation legati all’uso degli allucinogeni per arrivare a cavallo degli anni 70 /80 dove il rock, padre di tanti sottogeneri musicali, si caratterizzò con l’uso spesso devastante dell’eroina.

ARTI GRAFICHE E PITTURA

Tra le diverse correnti di pensiero, l’impressionismo, secondo taluni, è quello con il quale maggiormente è possibile riscontrare un sistematico connubio con la droga. Il movimento impressionista si sviluppò a Parigi intorno al 1860. Caratterizzato dal rifiuto dei soggetti storici e religiosi e l’interesse a cogliere gli aspetti della realtà circostante. Paesaggi naturali popolati da gente comune ritratta nella propria attività quotidiana, semplici immagini senza filtri di ciò che accadeva a Parigi in quegli anni.
Bisognava evadere dalle regole dell’arte ufficiale e dalle scuole d’arte, la prospettiva era usata in modo assai diverso. Molti pittori del tempo non lavoravano in uno studio ma all’aperto con l’intento di rappresentare la realtà così come la vedevano, cogliendone solo l’impressione generale. Non si soffermavano sui dettagli e non aggiungevano le proprie emozioni e le proprie considerazioni. Le pennellate rapide davano un senso di istantaneità, quasi fosse una foto viva, rapidi tocchi di colore, studio della luce, creavano delle vibrazioni che davano l’impressione di un movimento.
Gli artisti di questo movimento si riunivano spesso presso dei caffè, per parlare discutere e “pensare” le loro opere, era spesso qui che si consumava il rituale dell’assunzione dell’assenzio. L’assenzio è un arbusto alpino, di colore verde argentato/olivastro, usato in erboristeria per le sue proprietà toniche, antisettiche e vermifughe. L’artemisia absinthium veniva distillato spesso insieme a finocchio o melissa per lenire il suo forte sapore amaro.
Sono davvero tanti i pittori di quel periodo che hanno abusato di questa sostanza e a cui hanno dedicato una o più opere. Il rituale tutto particolare con cui si assumeva questa sostanza era così diffuso nei locali del tempo che praticamente faceva parte della vita di tutti i giorni e quindi andava immortalato nella sua naturalezza.


L’ASSENZIO DI EDGAR DEGAS
In questa opera del famoso pittore dal titolo proprio “L’assenzio” lei è una povera prostituta, abbigliata in modo pateticamente lussuoso mentre lui è un corpulento barbone parigino. I personaggi sembrano lontanissimi fra loro, con lo sguardo perso nel vuoto, annebbiato dalla moltitudine di tristi pensieri che si affollano nelle loro menti.

IL BEVITORE DI ASSENZIO
DI EDOUARD MANET

La solitudine del bevitore, allora come adesso


LA BEVITRICE D’ASSENZIO
PABLO PICASSO

 

Anche Picasso alcuni anni dopo dedicò una sua opera a questa sostanza, la sofferenza e la solitudine ritornano anche in questa immagine.


VIKTOR OLIVA, “Il bevitore di assenzio”. È uno dei quadri più emblematici, l’uomo rimasto da solo, i tavolini ormai vuoti, il solo cameriere ad attendere la chiusura, l’uomo messo davanti ai suoi fantasmi da quella sostanza che ai tempi veniva proprio chiamata la “fata verde” in quella accezione illusoria di un qualcosa di positivo come accade per ogni sostanza ai primi usi.


VINCENT VAN GOGH

 

Donna al Café Le Tambourin

 

Tavolino di caffé
con assenzio


Sembra ormai certo che Vincent abusasse dell’assenzio che agendo sulla percezione provocava in lui allucinazioni, attacchi epilettici ed un disturbo che va sotto il nome di xantopia, ovvero la ‘visione gialla’ degli oggetti, in particolare di quelli chiari. Da questo disturbo sembra derivare il fatto che negli ultimi suoi anni dipingesse le sue opere usando molto il colore giallo in tutte le sue varie sfumature.

 


Passando al ‘900 non si può non soffermarsi sul genio maledetto per antonomasia, Jackson Pollock. L’artista condusse tutta la sua vita sulla strada della autodistruzione, caratterizzata da eccessi di alcool e psicofarmaci, quella vita finita proprio in un terribile incidente d'auto a soli 44 anni mentre guidava sotto effetto dell’alcol. L’opera di Jackson Pollock fu influenzata dai Nativi americani, proprio per questo venne definito l’artista sciamano. Come i nativi usavano il cactus di San Pedro per entrare in una sorta di mondo parallelo in collegamento con spiriti ed inconscio lui usava alcol e psicofarmaci. Pollock è il più grande esponente della action painter, una modalità di creare arte particolare vivendo direttamente nel quadro stesso, dove spesso il colore viene fatto colare dall’alto in forma più liquida del normale, viene continuamente sovrapposto fino a creare un qualcosa di cromaticamente soddisfacente per l’artista.


“Quando sono dentro i miei quadri non sono pienamente consapevole di quello che sto facendo. Solo dopo un momento di "presa di coscienza" mi rendo conto di quello che ho realizzato. Non ho paura di fare cambiamenti, di rovinare l'immagine e così via, perché il dipinto vive di vita propria. Io cerco di farla uscire. “


Altro personaggio che per molti versi ci ricorda Pollock sia per la sua follia artistica che per la sua mente spesso “in viaggio” in luoghi difficilmente comprensibile è Andy Warhol. Nel loft newyorchese al quinto piano del 231 sulla 47esima Est, si consumavano sesso, droga e rock n'roll. Le vite bruciavano in quello spazio rivestito di stagnola e di vernice d'argento, tra il divano rosso raccattato per strada, i carrelli e le scale appese alle pareti, ci si poteva imbattere in drag queen, spacciatori e superstar. In quello studio conosciuto da tutti come la “Farm” si faceva a gara per essere invitati. Si camminava in coma lisergico e trance etiliche ma le sostanze psicotrope e le orge non toglievano spazio alla creatività e alla produzione di quella macchina infernale chiamata POP ART. Di qui passarono personaggi del calibro di Mick Jagger, Salvador Dalì, Allen Ginsberg e Nico, Lou Reed, Bob Dylan, Jim Morrison solo per citarne alcuni. Qui nacquero le copertine di Sticky Fingers e di The Velvet Underground & Nico sicuramente una delle copertine più irriverenti della storia rappresentata da un’iconica banana gialla che poteva essere pelata, rivelando una 'sorpresa‘.

 

Worrol muore nel 1987, è stato un personaggio controverso, la sua arte visionaria trovò la maggiore realizzazione nella pittura e nella grafica ma nella sua vita fu anche scultore, sceneggiatore, produttore televisivo e cinematografico, regista, direttore della fotografia ed attore a dimostrazione della sua incredibile versatilità.


Avvicinandosi ai giorni nostri meritano sicuramente la citazione due artisti contemporanei, Bryan Lewis Sanders e Brian Pollet conosciuto con lo pseudonimo di Pixel Pusha. Non saranno ricordati sicuramente per le loro capacità artistiche ma per la loro follia che li ha spinti a rendersi protagonisti di un singolare quanto folle esperimento. Il primo è un artista contemporaneo di Washington che ha voluto associare all’opera pittorica, fatta di autoritratti, l’assunzione di una droga o comunque di una sostanza psicotropa. In pratica Bryan ha assunto una sostanza diversa ogni volta facendo passare alcuni giorni tra una e l’altra in modo da non inquinare l’effetto e ogni volta, sotto l’effetto della sostanza, ha eseguito un autoritratto. Il risultato è stato sorprendente, la percezione di se stesso è stata completamente diversa a riprova di quanto le sostanze influiscano sulle sensazioni e sulla percezione del mondo che ci circonda. Ha usato ogni sorta di sostanza, oltre venti, dalla cocaina all’eroina, dalle anfetamine al metadone, dalla cannabis agli ansiolitici, dagli allucinogeni ai funghi, dallo xanax agli antidepressivi.
Pixel Pusha si è sottoposto ad un esperimento molto simile, spingendosi, se fosse possibile, anche oltre. Il Graphic designer di San Francisco, infatti, ha usato una sostanza diversa al giorno per venti giorni di seguito mettendosi poi a creare al suo pc.

 

 

 

 

Saranno primule a crescere nei campi

dove tracciavo la via tra le viole

quelle leggere, spazzate via dal vento.

E svolazzavano i pensieri più insidiosi

mentre un bel manto di fragili papaveri

già colorava il buio delle mie notti.

(da “Saranno primule a crescere nei campi”, Lucia Lo Bianco – Diritti d’Autore Riservati)

 

Prova a dirlo con un fiore

Forse sarà il profumo dei fiori che inebria a trasportarci in un’atmosfera di speranza nei confronti dell’annunciato vaccino contro il coronavirus, la “primula”. Si tratta di un fiore comune in Italia ma si schiude tra i primi dopo l’inverno e la sua immagine infonde fiducia in una pronta ripresa.

Il contesto in cui viviamo al momento è tra i più difficili dal dopoguerra. Pesa il numero dei contagi e dei ricoveri in terapia intensiva. Grava come un macigno il bilancio dei decessi. Buona parte della popolazione  non riesce più a reggere le limitazioni imposte o le zone che cambiano colore secondo le ordinanze regionali o i dettami del DPCM lasciandosi andare a comportamenti discutibili e talvolta offensivi nei confronti di chi è al contrario coinvolto di persona nella quotidiana lotta contro il virus.

Può quindi l’immagine di un fiore regalare brevi attimi di leggerezza a menti colpite da una emergenza senza precedenti? Si tratta di una scelta sicuramente oculata con riferimenti che scavano lontano nell’immaginario collettivo e che può restituire una qualche prospettiva verso il futuro. Il linguaggio dei fiori ci accompagna durante la vita e riempie le nostre fantasie di bambini e adolescenti mentre abbondano i riferimenti nei confronti di periodi storici e movimenti culturali e di costume in cui i fiori hanno rappresentato libertà ed evasione dagli schemi.

Parlare di un vaccino come un fiore di rinascita, una primula appunto, potrebbe allora servire lo scopo di chi sta faticosamente cercando una via d’uscita ad una crisi sanitaria ed economica di portata epocale. Una “primula” come allegoria potente di  risveglio delle coscienze oltre che come soluzione ad una malattia difficile da fronteggiare e curare. La campagna vaccinale contro il coronavirus è stata già avviata nelle prime settimane del nuovo anno ma non coinvolge ancora tutta la popolazione. Intanto le menti possono cominciare a sognare cercando di concretizzare un possibile ritorno alla normalità fatta di piccole cose che ci manca da mesi, ormai, come l’aria che si respira.

Aria: un’altra parola che continua ad accompagnarci in questo duro periodo, proprio come la mancanza d’ossigeno dei tanti malati di Covid in costante apnea. Oppure si tratta dell’aria pura che in un mondo inquinato da troppo tempo non respiriamo quasi più e che spesso ricerchiamo in quei pochi squarci di ambienti naturali che ancora il mondo ci offre. O infine dell’aria che sprigiona da un semplice e profumato fiore di campo che coinvolge tutti i sensi e libera la fantasia e l’immaginazione.

Crescono ancora le primule nei campi, in un contorno di lotta quotidiana contro la malattia e la morte, proprio come cresce la speranza che esista una via d’uscita in fondo ad un periodo così buio. Sarà allora il linguaggio dei fiori che, con un colpo di bacchetta magica, farà scoccare il rinnovamento riportandoci lentamente sulla strada di una ritrovata normalità

Lucia lo Bianco