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di  Massimo Reina

 

I primi ribelli della guerra civile siriana, che è iniziata nel 2011, erano in gran parte cittadini siriani che protestavano contro il regime di Bashar al-Assad, e molti di loro erano civili, disertori dell'esercito e soldati siriani che si opposero al governo. Le prime manifestazioni di protesta pacifica erano sostenute principalmente da gruppi di attivisti locali, intellettuali e giovani che chiedevano riforme politiche e la fine delle repressioni del regime. Quando le manifestazioni vennero brutalmente represse, alcuni di questi manifestanti si armarono e si unirono alla resistenza, formando i primi gruppi ribelli locali.

 

di  Massimo Reina

 

Che gli Stati Uniti abbiano da sempre una capacità unica nel prendersi il monopolio della morale universale, mentre nel frattempo giocano sporco in ogni angolo del mondo, non è una novità. Ma c'è qualcosa di ancora più ipocrita, quasi grottesco, nel modo in cui il governo americano – quello uscente di Joe Biden, l'eroe dei diritti umani solo quando conviene – ha reagito all’allarme lanciato da un’organizzazione da loro stessi creata: la Famine Early Warning Systems Network (FEWS NET). L'agenzia ha pubblicato un rapporto che grida al mondo l’imminente catastrofe umanitaria nel nord di Gaza, causata dagli attacchi israeliani e dalla devastazione del tessuto civile e umanitario. La risposta di Washington? Semplice: negare, screditare e tacciare di tempismo sospetto chi prova a raccontare una verità scomoda.

 

di  Paolo Di Mizio

 

L’anno scorso di questi tempi – tra Natale e Capodanno – circolò un video ripreso dalla telecamera sul casco d’un soldato russo. La sua pattuglia perlustra un bosco col terreno innevato. D’improvviso si imbatte in una pattuglia di ucraini. I due gruppi sono a poca distanza l’uno dall’altro e si acquattano nella neve tra gli alberi. Si fronteggiano senza sparare. Grande silenzio.

 

 

di  Massimo Reina 

 

Una delle principali caratteristiche del movimento woke è il tentativo costante di riscrivere la storia. Questo avviene attraverso la rimozione di statue, la cancellazione di autori e figure storiche, e la reinterpretazione di eventi e opere artistiche secondo una lente contemporanea che giudica il passato con criteri odierni.
Ad esempio, nel 2021, negli Stati Uniti sono state abbattute più di 200 statue di personaggi storici in nome dell’anti-razzismo, tra cui figure come Cristoforo Colombo, Abramo Lincoln e persino Gandhi. Il motivo? Non aderivano agli standard morali del XXI secolo. Ma come può una società crescere senza un confronto critico con il proprio passato?

Questa riscrittura non solo cancella eventi complessi che richiederebbero un’analisi approfondita, ma riduce tutto a una narrazione semplicistica: buoni contro cattivi, oppressori contro oppressi. Si dimentica che la storia è fatta di contraddizioni, sfumature e ambiguità. Ignorare questo significa distruggere il patrimonio culturale e impedire alle nuove generazioni di comprenderne il significato.

La "cancel culture" e il paradosso del progresso

L’arte, la letteratura e il cinema sono diventati bersagli principali della politica woke. I classici vengono reinterpretati o censurati per adattarsi alle sensibilità moderne. Nel 2023, la casa editrice di Roald Dahl ha annunciato la modifica di molti dei suoi libri, eliminando parole come "grasso" e "brutto" dai testi originali per non offendere nessuno. Questo tipo di intervento è una forma di censura che non solo svilisce l’opera originale, ma priva il lettore della possibilità di confrontarsi con il contesto in cui è stata creata.

Nel cinema, il fenomeno è ancora più evidente. I remake woke, come quello di Biancaneve, non solo tradiscono il significato originale delle storie, ma spesso si rivelano fallimenti commerciali. Secondo uno studio del 2022 condotto da The Numbers, i film che promuovono apertamente agende woke hanno una probabilità del 70% più alta di incassare meno rispetto alle previsioni. Questo dimostra che il pubblico non è interessato a prodotti costruiti per predicare ideologie, ma a storie autentiche e coinvolgenti.

L’assurdità delle teorie woke: una cultura di divisione

La politica woke si basa su una serie di teorie che, se analizzate razionalmente, si rivelano prive di fondamento. Tra queste spicca la critical race theory, secondo cui il razzismo non è un comportamento individuale, ma un sistema intrinsecamente radicato in ogni aspetto della società. Questo approccio, invece di promuovere l’uguaglianza, crea divisioni, enfatizzando continuamente le differenze tra le persone.

Un esempio lampante è l’introduzione delle "safe spaces" nei campus universitari americani, aree riservate a specifici gruppi etnici o identitari. Questa pratica, apparentemente volta a proteggere, non fa altro che rinforzare la segregazione, minando l’idea stessa di integrazione. Uno studio del Pew Research Center del 2021 ha rilevato che il 58% degli americani ritiene che queste politiche aumentino le tensioni razziali anziché ridurle.

 

di Massimo Reina

 

Se c’è una cosa che l’Occidente sa fare bene – oltre a farsi del male da solo – è agitare lo spauracchio della propaganda altrui per distrarre dal proprio teatrino delle marionette. È quello che, con sarcasmo e una buona dose di coraggio, ha denunciato Petr Bystron, deputato tedesco di Alternativa per la Germania, in una riunione del Parlamento Europeo. "Propaganda russa? Ma davvero? Forse sarebbe il caso di guardare prima a quella americana", ha detto in sostanza Bystron, che ha avuto la malaugurata idea di tirare fuori qualche scheletro dall’armadio dei media europei.

 

di  Massimo Reina

 

Viviamo in un’epoca in cui la realtà è stata sacrificata sull’altare della narrativa ideologica, dove il valore della verità storica viene annullato per far spazio a una visione distorta del passato e del presente. La cosiddetta politica woke, nata con l’obiettivo dichiarato di combattere le ingiustizie sociali e promuovere l’inclusività, si è trasformata in un’arma di distruzione culturale. Il risultato? Una "cultura" che in realtà non è cultura, ma una parodia di essa, incapace di valorizzare il passato o di costruire un futuro significativo.

 

di  Massimo Reina

 

La vicenda del concerto di Capodanno a Roma, con Tony Effe escluso dalla lineup del Circo Massimo per via dei suoi testi sessisti e misogini, si è trasformata in una farsa mediatica, ma non nel modo che il diretto interessato vorrebbe farci credere. Lo storytelling che il trapper romano e i suoi sostenitori stanno cavalcando è quello della "censura", della "libertà artistica calpestata" e di un presunto complotto orchestrato da femministe e perbenisti. Ma dietro queste urla di vittimismo, è d'obbligo chiedersi: dov'è la libertà di chi non vuole che simili messaggi siano celebrati in un evento istituzionale?