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Sartano - Il paese dove resistono ancora "I casi i mattunazzi" (case di terra)

Su una collina circondata da ulivi, fichi e vigneti, sorge il paese di Sartano (Calabria), paese antico e ricco di tradizioni, che custodisce ancora adesso quasi intatte "i casi i mattunazzi", le case di creta e paglia, dette anche case di terra.

Dall'anno mille in avanti, l'abitato di Sartano era costituito principalmente da casette basse costruite con mattoni crudi di creta e pagli detti "mattunazzi", che non raggiungevano i due metri e settanta di altezza nella parte superiore.

"I mattunazzi" venivano fabbricati con creta, terra rossa e paglia, che veniva impastata, con i piedi nudi, in grosse buche e poi veniva compressa in alcune forme rettangolari di tre misure diverse. Dopo aver fatto seccare questa massa di creta e paglia al sole, erano pronti per essere utilizzati nella costruzione delle case. Le case semplici e senza richiami architettonici, rappresentavano un'edilizia povera, ma sostanzialmente necessaria ai bisogni delle famiglie.

I muri portanti della struttura erano spessi, raggiungevano la misura di 70/80 centimetri, la caratteristica di queste casupole di creta e paglia, con muri così spessi, era che d'estate gli ambienti erano freschi, mentre durante la stagione fredda erano caldi.

Le stanze della casa, normalmente due, avevano una grandezza in metri di tre per quattro o quattro per cinque. Il pavimento semplice e in terra battuta oppure di mattoni cotti di "carcara", nell'insieme aprivano i locali dove i Sartanesi abitavano. 

Il soffitto, "ntavulatu" era costituito per la maggior parte di tavole o di canne intrecciate, "catrizzole", che isolavano le stanze dall'aria che proveniva dalle tegole, "ciaramili", in terracotta e di forma irregolare, perchè fabbricate a mano.

La casa di "mattunazzi" o di terra, a Sartano era una caratteristica, anche perchè sin dall'anno mille nel meridione d'Italia, era uno dei pochi paesi, ad eccezione di qualche palazzotto baronale, ad essere costruito interamente con mattoni crudi di creta e paglia. Questa tecnica costruttiva, comportava il fatto che tutte le abitazioni erano a pianterreno, rarissime le case a due piani, non potendo avere un piano superiore, per la mancanza di pilastri di sostegno.

Le stanze erano così divise: la cucina e la stanza da letto. La cucina, era la stanza principale, dove le donne di casa svolgevano le funzioni giornaliere e dalla quale si accedeva dalla porta d'ingresso, delimitata dal "suprantu" o "supraporta", era di castagno o di quercia, verso la parte alta laterale sinistra, c'era "u purtieddru", una specie di finestra, che si apriva durante il giorno per dare luce alla stanza.

L'interno molto scarno per l'epoca, era costituito "da fucagna", un focolare con un rialzo dove venivano poggiate e preparate le vivande che cuocevano "supa u tripidu", (treppiedi), dal forno, anch'esso di mattoni crudi e paglia, e da qualche nicchia che serviva per conservarvi il cibo, gli arnesi da lavoro, o altre cose utili, per la casa e il lavoro.

Il forno che era su di un piano sopraelevato, in un angolo della stanza, aveva al di sotto un piccolo locale dove trovavano di notte riparo, galline, pecore e maiali. L'arredamento semplicissimo, senza fronzoli come oggi, era costituito da un "casciuni", cassone, dove venivano conservati, cereali, salami, fichi e "u grassu du puarcu" cioè la sugna di maiale. Poche sedie, un tavolo, la "panera", una "piattera", un "saziere" e "u vintagliu o a gujjulera" per alimentare la fiamma del fuoco e qualche stipo ricavato con delle tavole conficcate nel muro, eccezionalmente i più benestanti possedevano la "cridenza", dove mettevano in mostra bicchieri e piatti o vi conservavano derrate alimentari.

In un angolo , quasi nascoste, si potevano intravede le "ciarre" (giare) dell'olio e del vino, poste vicino ad un sedile di mattoni crudi. Cosa che non mancava mai, nella casa, era la "nnicchiareddra", edicola votiva, dove veniva collocata la statuina del Santo con la "lampa" accessa dove ardeva "u micciarieddru", lo stoppino, mentre alle pareti vi erano appese le "sporte", i "panari" e le "catrizzole", ad una "piertica", pertica, che pendeva dalla "panera" gli abitanti della casa vi appendevano i vestiti, rischiarati dalla luce della lanterna ad olio.

La stanza da letto era costituita dalle "casce" (cassoni di legno), dove venivano custodito quel poco di corredo per le figlie, dal letto formato dai "vanchietti" (cavalletti di ferro), dal "saccuni" (sacco che fungeva da materasso), e dalle "culunnette"(comodini), una stanza da letto essenzialissima, spartana per il bisogno di gente contadina, umile e laboriosa; alle  pareti si potevano vedere appese i "figureddri" (immagini di Santi), mentre in alcune case, nel muro di mezzo , tra una stanza e l'altra, veniva ricavata "na nicchiareddra" (nicchia) dove veniva posta la statuetta o la figura di Gesù o del Santo al quale la famiglia era devota.  in un altro angolo della cucina, o appena fuori, dietro la porta, veniva conservata la legna per il fuoco, mentre dalle travi pendevano mele, peperoni secchi, pere, formaggi e tante altre prelibatezze del mondo contadino, conservate nella "rizza" (rete).

Tutto il paese di Sartano era costituito da file di case, costruite in modo continuo, muro contro muro, con punti luce solo alla facciata davanti, costituiti dalla porta e da una finestra.

Raramente si vedeva in paese qualche casa più grande costruita con mattoni cotti, ed erano l'eccezione, in quanto costituite dal pianterreno e dal primo piano. Le vie del paese erano in terra rossa battuta e ciotoli, consumate dal calpestio dei Sartanesi, che, come tutte le mattine, essendo un popolo prevalentemente contadino, si incamminava per i campi. Nell'avviarsi ai campi, le donne scalze con le "sporte" (cesti) in testa e in braccio i figlioletti, seguivano i mariti che sul dorso dell'asino prendevano la via per la campagna. I Sartanesi che disponevano di un pezzo di terreno vicino al paese, non avevano difficoltà, a volte, a ritornare a casa, ma quelli che erano distanti dall'abitato, possedevano una picoola casupola in campagna costruita sempre con mattoni crudi e paglia, dove restavano a dormire.

Sartano, allora, era un paesino per la maggior parte dedito all'agricoltura, dove l'unica via di collegamento con i centri vicini era costituita da delle piccole "carrere" (sentieri) di terra rossa battuta, percorse da uomini e animali. Solo negli anni cinquanta fu costruita la prima strada asfaltata che collega Sartano, frazione, a Torano Castello, capoluogo di comune, con gli altri centri e con la statle 19 "a naziunali" e lo scalo ferroviario. La costruzione della strada portò a Sartano molti vantaggi, infatti il collegamento portava in paese camion con mercanzie di ogni genere, che per tanto tempo erano mancate al popolo sartanese: Si incominciarono a vedere movimenti di arti e mestieri, come "u quadararu" (stagnino), il cantastorie, "u capillaru" che scambiava ciocche di capelli con oggetti per la casa, e man mano si incominciarono a vedere tanti altri mestieri. Con il passare degli anni Sartano conobbe in maniera considerevole, come tutti i paesi del meridione d'Italia, il fenomeno dell'emigrazione, ma crebbe e si sviluppo in manera sistematica. Dopo i tanti sacrifici sofferti, soprattutto con l'emigrazione, le case di creta e paglia, o "i casi i mattunazzi" o di terra, hanno lasciato pian piano il posto alle case in muratura e cemento, ma qualche casupola di "mattunazzi" ancora resiste, attirando la curiosità di molti. 

Oggi, Sartano, è un paese ridente e ospitale dove rimane il ricordo di un passato sofferto, ma dove ogni sartanese con orgoglio resta legato alle proprie radici e alle tante tradizioni.

   

                   

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Info Autore
Gildo Urlandini
Author: Gildo Urlandini
Biografia:
Insegnante e Educatore presso il Convitto Nazionale "Bernardino Telesio" di Cosenza. Giornalista pubblicista, ha collaborato con le testate giornalistiche : Euro Flash News, La Provincia Cosentina, Calabria Ora e Gazzetta del Sud. Autore di pubblicazioni storiche e appassionato divulgatore delle tradizioni territoriali.
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