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Intervista di Luciano Giovannini

Ci sono degli sport dei quali ci rammentiamo l’esistenza ogni quattro anni ed eroi che ci riempiono di sano orgoglio nazionale dei quali non avevamo sentito prima né il nome né le gesta prima di un trionfo o un buon piazzamento nei Giochi Olimpici. Con il passare del tempo quello che rimane di tanto e troppo breve fragore è solo l’eco lontana di un inno cantato a memoria o l’immagine sfocata di un tricolore agitato dal vento.

Una di queste figure è Gianluca Tiberti, campione di pentathlon moderno nato a Roma nel 1967. Già…pentathlon moderno. Quello “strano” e bistrattato sport che vede coinvolte cinque pur nobili discipline quali la scherma (spada), nuoto (200m stile libero), equitazione (salto ad ostacoli), corsa (campestre di 3200 metri), tiro con la pistola, e che così tanta soddisfazioni ha dato ai nostri colori nel corso degli anni.

Gianluca è stato così gentile di rispondere alle mie domande:

 Gianluca quando hai iniziato a praticare questo sport e quali le motivazioni che ti hanno spinto a farlo?

“La mia provenienza sportiva è il nuoto. Ho iniziato a nuotare a 4 anni visto che anche mio fratello più grande nuotava, ed i miei genitori preferivano impegnarci nello sport per "salute fisica e mentale". A 14 anni ho fatto per gioco la prima gare si triathlon (tiro, corsa, nuoto) e dopo sole 3 settimane di prova al poligono ho gareggiato in un campionato italiano di categoria...vincendolo 196/200 al tiro, primo al nuoto e metà classifica a corsa. Da lì mi sono dirottato al pentathlon, anche un po' stanco delle distanze lunghe nel nuoto che erano la mia specialità, vincendo tutti i campionati italiani di categoria fino alla categoria senior, dal 1981 dal 1990”.

 Potresti gentilmente rammentarci i tuoi trionfi più eclatanti?

“Ho vinto il campionato del mondo individuale assoluto nel 1990, secondo a squadre ai giochi olimpici di Seoul 1988, Bronzo a squadre giochi olimpici di Barcellona 1992, Argento e bronzo a squadre ai mondiali 1990, Bronzo individuale ai mondiali junior di Seoul 1987 Bronzo a squadre ai mondiali junior di Montecatini 1986, Argento a squadre agli europei 1985”.

 Cosa pensi che debba fare la politica sportiva e non solo, per valorizzare questo sport?

“La politica sportiva, ovvero il Coni, dovrebbe sostenere maggiormente questa disciplina non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista della visibilità. Una volta il pentathlon ai giochi Olimpici si svolgeva in cinque giornate, poi in tre, in due ed infine in una soltanto. Dal 2000 poi, ha avuto luogo l’eliminazione della gara a squadre e tutto questo perché il nostro sport non era considerato interessante e quindi lo spazio ad esso dedicato fu ridotto in modo drastico e drammatico per renderlo più appetibile al pubblico. Uno dei limiti della nostra federazione è quella di non essere riuscita ad aprirsi verso sponsorizzazioni di vario tipo e di rimanere chiusa a quell’ambito militare che comunque ci tutela, visti anche gli alti costi”.

 Hai in qualche momento sentito che la gente e le istituzioni, tutto sommato, si siano mostrata in qualche modo poco grate per quello che tu ed i tuoi compagni avete fatto per lo sport italiano?

“Le persone si sono dimostrate molto vicine a noi atleti. Essere riconosciuti mentre si passeggia per le strade fa indubbiamente piacere e questo mi è accaduto molte volte. Dal punte di vista delle istituzioni purtroppo devo dire che a volte i campioni sportivi vengono usati in modo strumentale. Io, ad esempio sono stato premiato con il collare d’oro, che è la massima onorificenza sportiva, nel 2019 dal Presidente del Consiglio Conte per la vittoria del campionato mondiale individuale. Ma questo è successo forse dopo troppi anni dal trionfo e dall’istituzione del premio. Io ora ho il collare, ma la mia vita me la sono costruita da solo, pezzo per pezzo, superando concorsi grazie alla mia preparazione e non ai meriti acquisiti nei campi di gara. Ho ricevuto un premio in denaro ma con questo non ho di certo potuto acquistare una casa o beni di pari valore. Ovviamente nessun paragone con quanto vinto dai calciatori. L’ Italia ha avuto nel pentathlon quattro campioni mondiali: me, Massullo, Masala e Claudia Corsini, ma nessuno ha avuto di più di un buon premio. Io ad esempio, da carabiniere, non ho avuto neppure un passaggio di grado da sottufficiale, passaggio di grado che poi ho ottenuto previo corso ed esame. Forse sono piccole cose, ma quello che veramente manca è il sentirsi protetto e considerato da chi invece dovrebbe farlo. Nei vari consigli federali probabilmente vi dovrebbe essere la presenza di chi ha dato tanto allo sport vincendo delle medaglie che hanno dato lustro al movimento sportivo italiano”.

 Quali sono i compagni di squadra dei quali serbi il ricordo migliore?

“In particolare Pierpaolo Cristofori e Roberto Pedroni, due grandi esempi di umanità e professionalità, ed anche i decani Masala e Massullo che sono stati gli apripista verso i trionfi futuri. Ho inoltre un grande ricordo di cinque tecnici di quella nazionale e del coordinatore tecnico Mauro Tirinnanzi che poi è diventato segretario della nostra federazione, maestro dello sport e persona eccezionale. I cinque tecnici sono: Il Prof. Cacchi (corsa), Ugo Amicosante (tiro), Sergio Albanese (equitazione), Saini (nuoto), Tito Tomassini (mio maestro storico di scherma). Tutti veri padri sportivi dalle immense qualità professionali ed umane. Una volte casa la vedevamo davvero poco e loro rappresentavano per noi atleti dei  punti di riferimento imprescindibili”.

 Di cosa ti occupi ora?

“Io sono chinesiologo ma lavoro in tutt’altro campo ed esattamente presso la Presidenza del Consiglio. In campo sportivo sono vicepresidente di una società che però sta affondando per mancanza di aiuti e a causa delle nefaste conseguenze del Covid, questo dopo aver svolto per tre anni il ruolo di Consigliere Federale lottando affinché gli atleti non vengano abbandonati a fine carriera”.

 Che consiglio vorresti dare a chi si avvicina a questo sport?

“I consigli che darei a chi si avvicina a questo sport sono quelli di avere tanta passione, di avere spirito di sacrificio, io ad esempio ho frequentato il Liceo Classico conseguendo ottimi risultati malgrado mi allenassi per almeno quattro ore tutti i pomeriggi, lasciandomi poi i compiti per la sera. Ovviamente rinunci al fatto di uscire tutti i pomeriggi con gli amici e di limitarsi in molte cose, ma, come dicono gli americani: “no pain, no gain”. Il limite delle attuali generazioni è proprio la ricerca del risultato immediato, si vince con un “like” e si perde con la mancanza dello stesso, non considerando che le migliori vittorie nascono proprio dalle ceneri delle sconfitte. La costanza è la migliore arma per ottenere dei risultati ottimali, ma la costanza non può nascere che dalla passione”. 

 

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