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di Guendalina Middei

Avete mai visto questa scultura? È famosa in tutto il mondo ed ha una storia incredibile dietro, una storia che non potrete mai più dimenticare.

Se ancora non la conoscete, prendetevi qualche istante per osservarla. Guardatela: è una vecchia contadina accovacciata a terra, le braccia attorno alle ginocchia, ma la sua schiena è eretta, la testa alta, non c’è sottomissione nella sua posa ma orgoglio, volontà e fierezza. Adesso guardate il suo viso. Le sue labbra sono serrate in un ostinato mutismo, gli occhi sembrano fissare un punto davanti a sé.
Apparentemente sembra immobile, ma se la osservate con più attenzione, noterete che c’è una tensione silenziosa che pervade tutto il suo corpo come se ci fosse una forza più importante del mangiare, del bere, della paura, della sua stessa sopravvivenza che la trattiene. Ecco, questa statua si chiama "La madre dell’ucciso". Raffigura una donna chiusa in un silenzio di pietra dopo la morte del figlio, ammazzato per un regolamento di conti come stabiliva il codice della vendetta sarda.
Lo scultore Ciusa, allora quattordicenne, era andato a vederlo. E si era trovato davanti la madre della vittima, dapprima urlante, e poi raccolta nel silenzio mentre compiva il rito della «sa ria» (la veglia funebre). Non poté mai più dimenticare lo sguardo di quella donna. «Era la madre che da quando le hanno sgozzato il figlio» raccontò anni dopo, «s'è seduta sulle ceneri del suo focolare, e non s'è mossa più».
Ma cosa vi sta dicendo questa scultura? Vi parla del dolore di una madre ma è anche l'emblema di tutti coloro che sono stati «traditi, ingannati, feriti» da un sistema malato. E il suo silenzio è più eloquente di mille parole. Non è il silenzio della sottomissione, dell’omertà, della paura, è carico di forza ed esprime una ribellione silenziosa ma non per questo meno potente. Perché alle volte la parola più forte e importante di tutte, in una società che ti costringe ad assentire, a subire, a sopportare ciò che non dovrebbe essere sopportato, è anche quella più difficile da pronunciare: no! E alle volte è l’unica cosa degna di essere detta. 

 

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