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di Francesco Antonio Fagà

Buenos Aires – novembre 2005

L’effetto “jet lag” non mi fa dormire, dovrei farlo perché domani è un giorno di lavoro importante, tiro a testa o croce per decidere se devo rivestirmi ed uscire dal mio albergo per trovare i miei amici o restare tranquillo ed aspettare che il sonno prenda il sopravvento sul mio corpo stanco. 

Ma non è solo quello, sento un’inquietudine profonda, il desiderio di far qualcosa. So che la notte di Baires è altro oltre alle ragazze del Bar Exedra, all’angolo tra Avenida Cordoba e Avenida Carlos Pelegrino. Lì, sicuramente, a quest’ora i miei amici passano ore spensierate con “las chicas”: le ragazze che, sedute ai tavolini del bar, dispensano sorrisi ammiccanti e sperano che qualche cliente le inviti al tavolo a bere qualcosa e, dopo un po’ di minima conversazione, si passa a trattare il prezzo di una prestazione …. 100 – 150 pesos … per un’ora del loro corpo. Mi fanno tenerezza las chicas del Bar Exedra, con il loro volto stanco, le loro storie tristi di una Buenos Aires dura con chi non ha altro da vendere, ma il loro sorriso nasconde benissimo tanta tristezza, la loro allegria fa sentire bene i maschi che credono di poter comprare un orgasmo, quello che non riescono a chiedere alle loro compagne abituali. Anche questa è un’illusione, come tante sono le illusioni della vita, “ma che male c’è a comprarsi un’illusione se questa ti regala un po’ di spensierata felicità?” Las chicas non hanno protettori, gestiscono autonomamente il proprio lavoro, dispensano sorrisi, corpi, finti orgasmi, piangono sulla “sub te”, la metro di Baires, quando ritornano a casa e baciano con l’amore vero i loro figli che dormono sogni di bimbo. Sono grandi in tutto il loro essere sia di madri sia di puttane; i loro baci sembrano veri come quelli che si danno tra veri amanti, i loro corpi si dimenano simulando l’orgasmo, il cliente va via soddisfatto e si sente maschio per avere visto una donna godere. C’è, tra i clienti, chi sa che è tutta una finzione e lo accetta come gioco, c’è chi nell’ebbrezza del momento non distingue tra realtà e gioco e rimane convinto di essere un grande amante. 

Se esce croce uscirò, ma non andrò al Bar Exedra, non ho voglia di giocare con i miei amici e las chicas. Uscirò e basta, a godermi le strade, anche quelle sporche dei “cartoneros” che scartano i cartoni dai rifiuti dei bellissimi negozi della strada Florida; è mezzanotte e la monetina prima in alto e poi sul letto dice … croce: si va’.

Nell’ascensore in discesa dell’Hotel Gran Dorà, una chica è intenta a rifarsi il trucco davanti allo specchio, accende il suo sorriso triste quando mi vede, mi chiede una sigaretta, si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia: “100 pesos solo caballero … y haremos lo que quieres” (100 pesos soltanto cavaliere … e faremo quello che vuoi”. Le sorrido anch’io, ha ancora in mano il bigliettino del Gran Dorà con scritto a penna il numero della stanza di Eduardo (sarà piaciuta ad Eduardo che le avrà fissato per domani un altro incontro), è bella, mora, alta, un bel sorriso. “Ti posso solo offrire un caffè al bar dell’Hotel, vuoi”? “Sì, io mi chiamo Roxana, ma vorrei un bicchiere di champagne” e sorride, sorride decisa e concentrata sul suo “lavoro”; è piacevole restare a parlare con Roxana, di quello che offre la notte di Baires ma, cosa più importante, lei dice, è quello che si “potrebbe fare da soli, io e lei, sotto una doccia calda”. “Grazie Roxana, ci potremmo incontrare magari domani all’Exedra”. Lei risponde “grazie”, beve l’ultimo sorso di champagne dal mio bicchiere, mi bacia dolcemente nell’ultimo tentativo di convincermi, mi lascia il numero del suo cellulare e sparisce al di là della porta dell’Hotel.

Sulla porta del Gran Dorà, decido di incamminarmi, l’aria è quella fresca della primavera australe di Buenos Aires, alzo il braccio al primo taxi che passa e lo prendo al volo.

Omar è il nome del tassista dai capelli rossi e lunghi, ha la voce di chi fuma e che la notte non dorme. Mi chiede subito: “donde vamos señor?” … è lì per lì che mi invento un gioco: anch’io voglio la mia notte finta a Buenos Aires, di quelle da raccontare agli amici: “Sono uno studioso si scienze umane e giornalista, sto svolgendo un’inchiesta sulla notte di Buenos Aires, sui suoi locali e soprattutto cosa succede nelle sue strade”.

Omar accende la sua lampadina di venditore di emozioni, la sua principale attività, capirò dopo, mascherata da tassista. “Signore … vuole andare in un locale molto bello ed elegante dove, può bere qualcosa ed agganciare una ragazza molto bella, una ragazza di classe superiore chiaramente?” Tento di spiegare ad Omar, calandomi nel personaggio, il mio intento di studioso. Omar, perplesso, spiazzato dalla richiesta, mi dice che mi porterà in giro per Buenos Aires, cogitando e chiedendosi cosa si potrà mai vendere ad un tipo così. “No quieres chicas señor”? No, rispondo, “però guardarle mi diverte”. Arriviamo così negli ampli viali del Parco del quartiere di Palermo. Omar mi racconta che qui la prostituzione è tollerata e, soprattutto, hai di tutto… “quieres droga señor?” … “No … continua a girare Omar”. Le ragazze seminude del Parco di Palermo sono belle e giovani, mostrano sorridendo il loro corpo, Omar mi chiede se c’è qualcuna che mi piace particolarmente. E’ conosciuto nell’ambiente Omar, le ragazze lo salutano; si ferma accanto ad una di loro, lei si avvicina al mio finestrino, mi sorride e mi mostra il suo seno prosperoso: “70 pesos caballero … y no me olvideras nunca mas” (“70 pesos cavaliere … e non mi dimenticherà mai più”). “Grazie … magari domani”. Omar è decisamente spiazzato: “Señor usted no quiere chicas, no quiere droga … quiere travestis … hombres..?” (Signore lei non chiede ragazze, non chiede droga … non è che vuole travestiti … uomini?”); rido di gusto. Mi racconta Omar che ogni notte a Buenos Aires accompagna almeno 2 – 3 italiani che cercano ragazze … ed altro … ed a Baires, di notte, viaggiano 18.000 taxi (rapido conto: fanno quasi 50.000 italiani in giro di notte a Buenos Aires in cerca di emozioni; non c’è che dire … una domanda assai significativa, sicuramente una panzana, è la mia riflessione di “studioso e giornalista”). Finalmente Omar si arrende, la sua compagnia è simpatica, mi porta a vedere i palazzi di San Telmo, alla Recoleta, a Puerto Madero … parla, parla Omar, mi racconta della tristezza argentina, dei suoi sentimenti politici, delle madri di Plaza de Mayo, di Evita, di Peron … Lo ascolto con piacere.

Sono già quasi le tre di notte; chiedo ad Omar di accompagnarmi, passando dal Bar Exedra. Omar mi lascia all’angolo, il tassametro segna 40 pesos. Omar me ne chiede 50 … per l’attività di guida notturna extra. Glie li do’ volentieri e lui mi lascia il suo numero di cellulare: “per ogni cosa che mi possa servire in Buenos Aires… qualsiasi cosa”.

Scendo all’angolo, il bar Exedra, a 400 mt dal mio hotel, è spopolato, dei miei amici niente … poche “chicas” dallo sguardo triste, mi vedono scendere dal taxi ed accendono il loro sorriso da dietro le ampie vetrate del bar; per molte di loro rappresento l’ultimo pesce da pescare nel fiume della notte e anche l’ultima speranza di portare a casa qualcosa. Mi incammino nell’aria fresca che mi accarezza il viso, decido di prendere un altro taxi per arrivare subito in albergo … salgo; all’angolo della via Paraguay con la Carlos Pelegrino, due ragazze con un borsone ciascuna camminano stancamente. Una di loro si gira e sorride … mi sorride. Non dimenticherò mai più quel sorriso, quei denti bianchi sul volto di creola, chiedo al tassista di tornare indietro, svolta per i tre angoli e ritorna sulla via … nei pressi delle ragazze … pago e scendo.

Sono in due, infreddolite, una bionda ed una mora … mi avvicino. Parlano fittamente tra loro e sembrano non accorgersi di me.

Lei si gira, ha gli occhi umidi… ma quando si accorge che la guardo, anche lei tenta di accendere il suo sorriso. L’altra, la bionda, si fa avanti: “100 pesos caballero …. “ … la sua voce è solo uno sfondo … non sento cosa dice … guardo solo il viso di Dolores… la prendo per mano … ha la mano fredda … la guardo negli occhi, nei suoi occhi neri e profondi, … non ce la fa’ a sorridere … la bacio dolcemente sul suo sorriso, la bionda le infila una scatola di preservativi nella borsa e si allontana.

Non so quanto sia durato quel bacio in mezzo alla strada, sembrava infinito; ci accorgiamo che i nostri musi sono pieni di rossetto … ridiamo di gusto e, senza dire una parola, la prendo per mano sulla via del mio hotel.

Per la strada camminiamo abbracciati e tenendoci per mano, saliamo nella mia stanza d’albergo, lei smorza la luce e lascia accesa solo quella fievole dell’abatjour: “perché mi hai baciato così” – mi chiede – mi accorgo di non saper rispondere che con un altro bacio e che trovo piacevole baciarla ancora su quel sorriso.

Ci spogliamo in un tempo interminabile, le nostre mani scivolano carezze sui nostri corpi, le nostre bocche si cercano disperate … come se mille e mille baci non sarebbero mai bastati.

Nudi, sotto la doccia, alle carezze dell’acqua calda che scorre sui nostri corpi ansanti si aggiungono quelle delle nostre mani ed i baci sanno di sapone di Marsiglia … le nostre bocche si cercano nelle più inesplorate profondità … si incrociano i nostri occhi in sguardi meravigliati di tanto piacere.

Ma non riesco ad abbandonarmi del tutto, penso che anche questo che mi accade ora faccia parte della mia notte finta di Buenos Aires. Non è importante – mi dico – voglio vivere lo stesso tutto questo … qui … ora …

.Sul letto ci asciughiamo reciprocamente, continuano inarrestabili i nostri baci, le carezze si fanno più audaci, tutto mi coinvolge; è finto – mi dico – … ma è bellissimo … ma quando i capezzoli di Dolores si fanno duri al passaggio di una delle mie tante carezze la sento vibrare, il suo respiro si fa ansimante … “tu nombre …” – domanda – “Francesco … y vos?” … “Dolores”. Le mie mani, sempre più decise ad esplorare quel corpo creolo dalla pelle morbida, si fanno più ardite … scendono e scivolano in basso dove sento l’onda calda del suo piacere scorrere inarrestabile … e lì la sua voce ansimante che sussurra il mio nome “… Francesco … por favor … no …eso no …”.

Ci siamo amati per ore, mille volte avrò frenato il mio piacere perché non terminasse mai quel momento, e non so quante volte ho sentito il suo piacere umido e caldo scivolare carezzevole sul mio corpo e la sua voce … sempre più dolce: “Piano … amore mio … piano … Francesco”.

Quante volte, quante volte, alla passione intensa si sono susseguite carezze leggere, sguardi meravigliati, labbra che sfioravano i nostri occhi … e poi lacrime di felicità, respiri, baci leggeri, fino a quando, inarrestabilmente … dal profondo dell’anima, le nostre bocche comunicavano quello che già i nostri corpi si erano già detti “Te amo … Ti amo” … e l’abbraccio della passione si trasformava in un abbraccio dolce, sincero, lieve ed intenso, come se le nostre vite si fossero rincontrate da chissà quanto tempo.

La luce dell’alba porteňa, da dietro la tenda della finestra illuminata, scopre i nostri corpi ancora pieni di desiderio, quante cose ancora essi hanno da dirsi, quante cose abbiamo ancora da dirci; “Tengo que ir Francesco … tiengo que ir… yo no quisiera, pero tiengo que ir” (“Devo andare Francesco … devo andare … non vorrei, ma devo andare”).

Approfitto del momento che Dolores è in bagno per vestirsi ed infilo, di nascosto, 200 pesos nella sua borsetta. Mi dà molto fastidio questo gesto … molto, specie dopo una notte così, ma so che dietro quella piccola donna esiste una fragilità del vivere che non le dà scampo.

L’ultimo bacio del mattino sa del mio profumo maschile, ci salutiamo sulla porta, Dolores mi lascia il suo numero di cellulare, la chiamerò per darle appuntamento stasera, ritorno a letto, sono le sei ormai … tenterò di dormire.

Quando gli occhi stanno per chiudersi, squilla il telefono: “Senor … hay una senora que quiere subir en sus habitacion” (“Signore, c’è qui una signora che chiede di salire da voi). Sorpreso, dico “Ok”, mi vesto del mio inutilizzato pigiama. Bussano alla porta … apro.

Dolores è la, gli occhi umidi, lo sguardo dolce che conosco non c’è più: è duro, rabbioso, stringe qualcosa nel pugno … “Caballero … Usted no entendio nada … yo, antes que ser una prostituta, soy una mujer” (“Cavaliere … lei non ha capito niente … io, prima di essere una puttana, sono una donna”); e mi lancia contro le banconote appallottolate e sgualcite di 200 pesos … .

Non ho mai resistito, lo confesso, alle lacrime di una donna ma quelle di Dolores sono taglienti e rabbiose. La abbraccio, metto tutta la forza che ho in quell’abbraccio, è il mio timido tentativo di riparare al mio stupido gesto che l’ha ferita … come spiegarle … come dirle che non avrei voluto pagarla ma, più semplicemente, … fare qualcosa per lei al di là di quello che tra noi era successo quella notte. “Mi amor … Francesco … yo te amo … y no queria plata de vos, lo que yo queria vos me lo donastes … y yo esta noche me sentì la mujer mas feliz de la tierra” (“Amore mio … Francesco … io ti amo … e non volevo soldi da te …quello che volevo tu me lo hai dato … e questa notte io mi sono sentita la donna più felice della terra”) . “Scusami amore mio … scusami” – le dissi tradendo l’emozione. La abbracciai più forte che potevo e le presi il viso tra le mani, quegli occhi neri mi tagliarono ancora nel profondo dell’animo, era ancora più bella, bella come lo sono tutte le donne dopo aver fatto bene l’amore e lei ancora più bella. “L’ho fatto per i tuoi figli … – le dissi sinceramente – per l’amore che tu hai per loro, lo stesso amore che ti costringe a vendere il tuo corpo, non ho pagato il tuo amore per me, ho pagato per quell’amore grande che tu hai per loro”. “Entiendo“ – disse – , ripresi le banconote, gliele rimisi nella borsetta, sotto il suo sguardo imbarazzato. “Se credi a quello che ti ho detto, li devi tenere per loro… solo per loro” – le dissi – . Ancora una lacrima scese a rigare quel viso dolce ma, finalmente, sorrise: “entiendo … asì bien”. Un altro bacio, un bacio dolce, era il suo arrivederci. Scivolò via leggera dietro le porte dell’ascensore regalandomi un gesto di saluto con le dita. Le porte si chiusero come un sipario sul teatro vero di quella notte indimenticabile.

Per tutto il giorno non ho fatto che pensare a lei, a quella notte d’amore. Ripercorro con la mente quei momenti felici, quelle ore diventate un attimo fuggente, il lavoro scorre tra una riunione e l’altra, non dormo da due giorni, contando il volo insonne da Roma a Buenos Aires, ma mi sento bene … è come se quelle ore mi avessero dato un’incredibile energia di vita.

Era da tempo che non provavo quelle sensazioni, anzi, mai un rapporto era stato così repentinamente intenso; sempre avevo dovuto corteggiare una donna, dare fondo a tutta la mia “chiacchera”, alle poesie che conoscevo, agli aneddoti, agli “effetti speciali”, anche per sopperire al mio aspetto non certo incantevole a prima vista. Quella volta no, tutto era iniziato all’improvviso, come l’accelerazione di un’auto potente e sportiva al confronto di un motore diesel aspirato di un autobus … pensavo … .

Alle 7 del pomeriggio, entro in uno dei tanti locutorios della Avenida Florida, la chiamo. L’appuntamento è per le nove e mezza all’incrocio tra la Cordoba e la Florida; alla fermata del taxi, in due ore e mezzo, avrò fumato 20 sigarette come un adolescente inquieto che attende palpitante di incontrare la sua ragazzina.
Eccola … sorridente, nel suo tajeur a pantalone color vinaccia indossato su quella magliettina nera che a malapena contiene quel seno duro e prorompente che non necessita di essere sostenuto. Faceva la ballerina Dolores, prima che quattro gravidanze e un ubriacone le togliessero la dignità dell’artista e le regalassero, insieme alla gioia di essere madre, anche l’immensa responsabilità di crescere da sola quattro figli, costasse quel che costasse; e lei aveva pagato e pagava ancora per quell’amore immenso di madre vendendo il suo corpo, ancora bellissimo, piacevole e femminile. Appena scesa dal taxi la bacio sulla fronte, lei mi abbraccia e ci incamminiamo tra le luci delle insegne accese dell’Avenida Florida, mano nella mano ed abbracciati, come la notte precedente ma con un sentimento in più.

La cena, nel ristorante italiano “Broccolino”, sulla Cordoba, è a base di spaghetti alla puttanesca e di un ottimo vino “Terazas Malbec reserva”. Le piace che le parli dell’Italia e mi piace da morire insegnarle a “intorcigliare” gli spaghetti sulla forchetta. Ridiamo del mio scarso castigliano ma per noi, molto spesso, parlano i nostri sguardi e come è piacevole perdersi negli occhi grandi e neri di Dolores, come è bello sentire la sua voce carezzevole ed il suo accento porteňo quando mi chiama “Francesco …” e lei che cerca continuamente e timidamente il contatto con la mia mano.

Dopo cena ci infiliamo veloci nel mio hotel. Un bacio accompagna tutta la salita dell’ascensore. Chiusa la porta della stanza, la passione ci avvolge in un abbraccio intenso e spensierato.

Sono ore che ci amiamo quando, all’improvviso, vedo Dolores portarsi le mani al viso: “Scusami amore mio … scusami … scusami … che vergogna …”; sul letto una chiazza di sangue … rossa come il colore della sua femminilità, sorrido e l’abbraccio, lei si divincola imbarazzata e preoccupata: “dovevano venirmi tra una settimana …”, mi dice visibilmente imbarazzata.

L’abbraccio più forte, le accarezzo il viso, lei distoglie lo sguardo, io col mio sguardo inseguo il suo … fino a rincontrarlo: “Mi piace tutto di te … non c’è nulla di te che non mi piaccia” – le sussurro dolcemente nell’orecchio. Lei è sorpresa, soprattutto sorpresa che io accetti anche questo del suo esser donna. Mi sorprendo a spiegarle che un corpo di un essere umano reagisce naturalmente alle emozioni … e che, forse, è questo ad aver provocato il suo naturale “anticipo”; lei è meravigliata come una bimba davanti ad un cartoon di Walt Disney, gli occhi grandi … la bocca aperta di meraviglia … sì … confessa, non provava da anni un orgasmo e quella notte, come nella notte precedente, ne aveva perso il conto. “Ed ora … come si fa a far l’amore?”. La accarezzai ancora, la baciai tante volte e le sussurrai: “si fa … si fa”. Incredula mi abbracciò e si abbandonò ai miei baci, tremava quando le fui dentro … lei tirò la testa indietro ed i suoi capelli si mossero come vele al vento, nella tempesta di un mare mosso da mille e mille carezze.

Anche quella notte il Gabbiano “Jonathan Livingston” che si era risvegliato in me percorse i cieli azzurri della libertà e dell’amore dell’agape, mi sentivo importante: avevo accompagnato la mia compagna in una scoperta per lei inconcepibile prima di allora; non pensava che l’uomo fosse capace di accettare così fino in fondo la sua femminilità e che, anzi, sino ad ora, lei pensava che quelle “cose” fossero l’emblema della sporcizia e l’espressione massima della debolezza femminile. “No, Dolores, non è così, lo è purtroppo nella nostra cultura – le risposi – è proprio questo, invece, che fa di te donna e astro: come la luna che compie nel medesimo intervallo di tempo il suo ciclo lunare di 28 giorni e durante il suo ciclo cambiano i mari e gli oceani, il vino nella botte diventa forte o delicato, possono nascere o non nascere i buoni funghi del bosco … è anche questo che fa della dell’umanità parte della natura, e le forme che stanno nel grande sono uguali a quelle che si manifestano nel piccolo”.

“Quante altre cose sai … raccontami” – mi chiese – … “Vengo da un piccolo paese del sud Italia, dove nacque un grande filosofo … forse è anche quell’aria che ho respirato ad insegnarmi una sola cosa: << che io so di nulla sapere>> e che nella vita bisogna percorrere una strada e godere del cammino che si fa piuttosto che pensare ossessivamente alla meta. Oggi per me è stato bellissimo fare un pezzo di strada insieme a te. Quante cose, anch’io, ho imparato da te stasera!”. “Io ho imparato ad amare, ho sentito cose che non avevo mai sentito prima ed voglio domandarti che hai nel tuo corpo e nella tua anima, cos’è che mi fa sentire così pazza di te” mi disse Dolores guardandomi negli occhi e stringendomi forte le mani. Ma io, che non sono certo Erasmo da Rotterdam, non seppi far altro che risponderle con un gesto semplice: baciare piano i suoi grandi occhi neri … e lei capì.

Durò così per altri due giorni e due notti, il giorno al lavoro e la notte fino all’alba con Dolores, sempre più bello e sempre più intenso, avevo oramai un arretrato di sonno umanamente inconcepibile e, di contro, un’energia vitale altrettanto impensabile. Quel rapporto – pensavo – mi aveva fatto trascendere le leggi più elementari della fisica umana; due erano le cose: o non valevano nulla le leggi della fisica e dei suoi modelli di rappresentazione della realtà che per tutta la mia vita mi avevano accompagnato nella spiegazione dei fenomeni, oppure … oppure … la risposta stava in qualcosa che l’uomo non sempre riesce a trovare: il giusto equilibrio … il delicato equilibrio … tra il desiderio e la realtà … quello che porta alla naturale felicità … l’inconcepibile umano … il moto perpetuo… . Conservo gelosamente quel pensiero.

FINALISTA PREMIO NAUTILUS. MOTIVAZIONE: E’ un racconto pieno di carisma, omogeneo, diretto e ben costruito, a tratti sorprendente. L’autore si muove agevolmente e costruisce la sua trama tra ricordi personali ed evidenti richiami sia alla più affascinante letteratura latinoamericana che a quella di viaggio, ma senza esserne travolto.

Francesco Antonio Fagà, nato in Calabria, ingegnere con numerose pubblicazioni scientifiche, ha viaggiato molto per lavoro e per il gusto del viaggio cimentandosi solo da alcuni anni nella scrittura di altro che non riguardasse strettamente il suo lavoro. Ha pubblicato il suo primo romanzo nel settembre 2020, Odiseo y el Rio Atrato. 

 

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