di Stefano Dentice
L’intero popolo dei jazzofili è in lacrime per la dipartita di una figura iconica della storia del jazz: Ahmad Jamal, a 92 anni, è passato a miglior vita a causa di un tumore alla prostata.
Nato come Frederick Russel Jones per poi cambiare il suo nome in Ahmad Jamal in seguito alla sua conversione all’Islam nel 1950, il geniale pianista jazz e compositore di Pittsburgh (Stati Uniti) fu aspramente criticato e sminuito dai critici musicali (un imperdonabile abbaglio!) che, agli albori della sua carriera, lo definirono poco più che un “pianobarista”, per poi ricredersi completamente (per fortuna!) negli anni successivi.
A riprova del suo immenso talento, Jamal ricevette la “benedizione”, l’investitura e la conseguente consacrazione da parte di un gigante del jazz come Miles Davis, che di lui disse: «Lo andai a sentire quando fui a Chicago e mi entusiasmò con il suo uso dello spazio, la sua leggerezza, il suo “understatement”, il suo lirismo e il suo fraseggio. Ho sempre pensato che Ahmad Jamal fosse un grandissimo pianista che non ha mai avuto il riconoscimento che gli spettava».
Tanto rimase abbacinato dalle pregevoli qualità di “Ahmad il Magnifico” (come fu soprannominato, fra i tanti appellativi, dopo la sua affermazione), che il trombettista subì una fortissima influenza sullo stile del suo storico primo quintetto. Il playing di Ahmad Jamal si contraddistingueva per le pause solenni, la concezione dello spazio, il suo fraseggio profondamente ispirato, evocativo, talvolta “zenista” ma all’uopo assai energico, torrenziale e impreziosito da incandescenti cromatismi.
Il suo spiccato senso del timing, il suo fervido estro improvvisativo e la sua cura quasi maniacale della dinamica, lo hanno reso uno fra i più grandi pianisti jazz di tutti i tempi. Caratterialmente, invece, i suoi tratti erano piuttosto definiti, infatti non amava per nulla la mondanità, al contrario preferiva di gran lunga vivere in modo schivo, riservato e – per giunta – ha sempre mantenuto le debite distanze dalle dinamiche scriteriatamente commerciali dettate dall’industria musicale.
Tornando alla musica, Poinciana è la composizione che più di tutte lo ha reso famoso, ma appare fin troppo riduttivo celebrare la sua arte solo ed esclusivamente con questo brano. Memorabile, ad esempio, la sua versione (in quartetto) di Autumn Leaves (famosissimo standard della tradizione jazzistica) al “Palais des Congrès de Paris” nel 2017, una composizione che, nell’originale, non presenta un quoziente di difficoltà particolarmente elevato.
Ma lui, attraverso il suo arrangiamento, la destruttura totalmente dal punto di vista della concezione, soprattutto con intarsi armonici e ritmici tensivi, sorprendenti, spiazzanti, che lasciano letteralmente con il fiato sospeso, spostando gli accenti per creare un costante stato di suspense, puntualmente sostenuto dalla “macchina del groove” guidata da James Cammack (contrabbasso), Herlin Riley (batteria) e Manolo Badrena (percussioni), tre partner d’eccezione ai quali elargiva continui sorrisi di approvazione nel mezzo del concerto, a testimonianza di un interplay non solo musicale, ma anche umano.
Oggi è volato in cielo, lasciando un segno indelebile nella storia del jazz. Ma di lui, per sempre, rimarrà impresso nella mente di tutti coloro che lo hanno amato il suo pianismo così creativo, immediatamente riconoscibile, quasi unico. Buon viaggio verso l’Alto, Ahmad.
Foto dalla Fan Page Facebook di Ahmad Jamal