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di Lucia Zappalà

Non era possibile essere un serio magistrato antimafia senza la paura: la paura dei "cattivi", di quelli che non si facevano nessuno scrupolo pur di raggiungere i propri obiettivi.

Con la paura purtroppo era necessario convivere ma non doveva fermare. E per di più, la mafia che dapprima fu ritenuta una barriera impossibile da superare, divenne poi la "motivazione" per reagire in modo opposto alla resa.

Il non volersi arrendere diventò la forza per andare avanti.

Il lavoro a grande ritmo e la non resa furono sconfitti però dal dilagante e cruento fenomeno mafioso dell'epoca.

Perché chi denuncia o indaga è sempre a rischio e il delinquente no?

Erano quasi le 18:00 quando il 23 maggio di 29 anni fa su un tratto dell'autostrada A29, nei pressi di Capaci, si verificò un'immane deflagrazione. A quell'ora viaggiavano in una Fiat Croma bianca blindata il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, in mezzo al corteo della scorta. La detonazione colpì in pieno la prima automobile del corteo (la Fiat Croma marrone) e la scaraventò violentemente presso un terreno di ulivi a qualche decina di metri di distanza. I tre agenti della scorta a bordo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, morirono all'istante. La seconda Fiat Croma, guidata dal magistrato antimafia, Falcone, andrò a schiantarsi contro il muro di frammenti sollevatisi di punto in bianco a causa dell'esplosione. Il giudice e la moglie, che non indossavano la cintura di sicurezza, finirono bruscamente contro il parabrezza. Erano vivi e coscienti, ma in gravi condizioni. La gente del luogo, giunta immediatamente a prestare soccorso, riuscì a tirar fuori attraverso il finestrino Francesca Morvillo. Falcone, invece, rimase bloccato fra le lamiere accartocciate e per liberarlo si richiese l'intervento dei vigili del fuoco. Entrambi i coniugi morirono nella serata del 23 maggio 1992 presso l' ospedale Civico del capoluogo siciliano, a causa delle forti emorragie interne conseguite. Falcone se ne andò tra le braccia dell'amico Paolo Borsellino intorno alle 19:00; la moglie nel corso di un intervento chirurgico, circa tre ore dopo. Gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello, Angelo Corbo che si trovavano nella terza Fiat Croma azzurra in coda al gruppo di scorta, rimasero feriti. Tra le 23 persone ferite anche l'autista del Giudice, Giuseppe Costanza; egli occupava il sedile posteriore ancora vivo, ma in uno stato di incoscienza.

La strage di Capaci fu un clamoroso attentato di tipo mafioso-terroristico realizzato da Cosa Nostra con una bomba costituita da 5 quintali di tritolo, con cui si mirava ad eliminare Giovanni Falcone.

La decisione di uccidere Falcone era stata presa, verso la fine del 1991, durante alcuni incontri dove si riunirono diversi vertici di Cosa Nostra, guidati dal boss Totò Riina. Bisognava abbattere colui che era diventato l'acerrimo nemico di Cosa Nostra, poiché aveva mandato in galera centinaia di mafiosi, condannati nel Maxiprocesso di Palermo il 30 gennaio 1992.

L'obiettivo fu raggiunto e la morte di Falcone venne festeggiata spudoratamente e in maniera eclatante fra le camere detentive dell'Ucciardone di Palermo. Quasi l'intero istituto penitenziario fu in fermento. Un delirio di scroscianti applausi, brindisi, abbracci e urla di festa, in una euforia incontenibile come da tifosi dello stadio, si ripeté fino a tardi in quel sabato sera del '92.

Persino dieci anni prima, il 3 settembre del 1982, si era già "praticato" il medesimo cerimoniale ripugnante di baldoria. In quel giorno era stato ucciso a Palermo il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Altresì, in quel momento, dopo essere stati informati dai media dell'omicidio del generale Dalla Chiesa, i detenuti dell' Ucciardone avevano fatto festa al fine di celebrare quella giornata "solenne"; la "giornata della vittoria".

L'attentato a Falcone tuttavia suscitò dissenso e indignazione a livello nazionale e ne conseguì per di più un movimento di rivoluzione da una parte all'altra della Penisola, che volle ribellarsi al sistema mafioso e dire finalmente "NO".

  

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Info Autore
Lucia Zappalà
Author: Lucia Zappalà
Biografia:
Lucia Zappalà nasce nel 1971 in Sicilia. Inizia a scrivere poesie al Liceo Classico, scrittura che abbandona subito dopo la maturità. Dopo due decenni di “astinenza” si ridesta forte e imponente il bisogno di dedicarsi di nuovo alla scrittura, riscoprendo che la Poesia è ciò che dà un senso a tutto quando chiude gli occhi la sera. Riprende nell’estate del 2015 nascondendo dapprima questa passione, lasciandosi andare dopo alla condivisione dei suoi testi. Partecipa a concorsi nazionali, conseguendo svariati riconoscimenti. Sue poesie sono presenti in varie antologie di AA. VV. “Scriverai d’una luna nuova”, pubblicato con Akkuaria nel 2019, è il suo primo libro, che è già stato premiato in vari concorsi letterari. Dal 1997 vive a Istrana (TV) col marito e i due figli.
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