Colors: Orange Color

 

Chi non ha mai ammirato le prodezze e la scia patriottica delle Frecce Tricolori nei cieli italiani?
Ebbene, oggi è il loro "compleanno ". Il primo marzo 1961 veniva costituito ufficialmente il 313° Gruppo Addestramento Acrobatico. Questa è la loro denominazione ufficiale.
Il gruppo è composto da circa 100 militari e la formazione è di 10 velivoli (9+ un solista), pilotati da ufficiali che provengono dai reparti operativi di volo dell'Aeronautica Militare che, a seguito di una rigidissima selezione, entrano a far parte della Pattuglia Acrobatica Nazionale sui loro Aermacchi MB339A-PAN.
Cosa rappresentano le Frecce Tricolori per gli italiani?
Esse incarnano i valori patriottici, la prodezza, la tecnologia, la professionalità e la capacità di fare squadra dell'intera Aeronautica Militare e, in generale, delle Forze Armate. 

L'attività principale e più evidente è l'acrobazia aerea collettiva.

Oggi, lunedì 1 marzo, si celebra l'importante ricorrenza del 60° compleanno: il 1° marzo 1961 giunsero a Rivolto, provenienti dalla 4^ Aerobrigata di Grosseto i primi 6 velivoli F-86E "Sabre" con la livrea della pattuglia del "Cavallino Rampante" che recava l'emblema dell'Asso Francesco Baracca; simbolo ceduto dalla contessa Paolina, madre di Baracca, direttamente a Enzo Ferrari, per la casa automobilistica di Maranello.
Sarebbe stato bello celebrare la 60^ stagione acrobatica con un grande evento internazionale; l'Aeronautica Militare, a causa della pandemia, ha però responsabilmente ritenuto di rimandare l'evento.
Lo scorso anno c'è stato, dal 25 al 29 maggio, uno storico sorvolo di tutti i capoluoghi di regione italiani e sulla città di Codogno, prima "zona rossa" italiana.
L' "Abbraccio Tricolore" -questo il nome attribuito allo storico sorvolo - è stata un'impresa fortemente voluta dagli stessi cittadini italiani e fatta propria dal vertice del Ministero della Difesa. A questo importante avvenimento si sono aggiunti altri sorvoli in occasione dell'inaugurazione del nuovo Ponte di Genova, della partenza del Gran Premio d'Italia a Monza e della ricorrenza del Santo Patrono d'Italia Francesco sulla Basilica Superiore di Assisi, mentre il 2021 è iniziato con il sorvolo ai Mondiali di sci di Cortina. 

 

 

Chi è che non ricorda i profumi della domenica mattina? Quelli che si sentivano soprattutto da bambini, fantasticando, nel silenzio soffuso, su chissà cosa accadeva nella grande stanza chiamata cucina….
Rumori in cucina… un occhio quasi aperto, e la testa ancora sotto le coperte… si sentono passi che non fanno chiasso, si riconoscono subito, sono quelli della mamma. È domenica… è ancora presto, ma la mamma è in cucina e quindi inizia a preparare le cose buone della domenica ….
All’improvviso un’onda di caffè che invade la casa … i primi buongiorno… sempre lei, la mamma che con voce alta ma dolce invita tutti ad alzarsi per la colazione… piccoli zombie impigiamati che ad uno ad uno percorrono la distanza dalle camere da letto fino alla cucina, apparentemente chilometri.
Il latte caldo, i biscotti appena sfornati, il pane raffermo per la zuppa con zucchero e cacao rigorosamente amaro… e poi il profumo del ciambellone con la granella di cioccolato… un mondo fatato dal quale non svegliarsi mai.. e sempre lei che bacia uno ad uno versando il latte nelle tazze, il caffè nella tazzina. “Chi vuole i biscotti?” “E chi una fetta di ciambellone?” “Chi vuole invece la zuppa?” Ecco, tutti insieme a fare colazione… e come dimenticare lo sguardo alle pentole che sbuffano… inavvicinabili…
Le colazioni erano già avvolte da quella nuvola di odori vari che dalle ore 9 in poi si trasformavano in profumi inenarrabili, e tra tutti e soprattutto l’odore di sua maestà il sugo …. Con o senza carne… che portava ogni bambino a portare il naso all’insù. Diventava qualcosa di fantastico, di inebriante, chi da piccolo non si è chiesto mai il perché di quel profumo ammaliante da una massa di brodo rosso….??
Aspettare la sua cottura e poi guardare mamma, sempre lei che porgeva un pezzo di pane, magari sempre raffermo, intinto in quel brodo rosso fumante e profumato… “prova.. è buono… è pane e sugo”, lo sguardo incuriosito dove la prima azione era il dito indice sulla cosa chiamata sugo, e nella mente quelle domande mai fatte: “perché si chiama sugo?” e poi portandolo alla bocca si arricciava anche il naso… e la mamma continuava… “mangia .. vedrai ti piacerà…” e così era…! Non si poteva resistere a quel sapore, a quell’odore, non si poteva resistere nemmeno al colore rosso che circondava la bocca e ci si leccava i baffi, diventando così icona della domenica mattina delle ore 10.30… e dopo la prima volta, vi era la seconda e stavolta furtivamente sotto lo sguardo divertito della mamma facendo finta di nulla, con soddisfazione di entrambi. E poi la lasagne, il polpettone ed a poco a poco quel chiasso domenicale che diventava una festa perché arrivavano zii e cuginetti. Un sapore mai dimenticato… una visione mai dimenticata, un profumo mai dimenticato. Oggi accade ancora nelle nostre case? Con quella stessa allegria di un tempo? O si aspetta solo Natale e Pasqua che più che feste spirituali quali sono, vengono festeggiate come feste del cibo?!
In questo tempo colpito dal covid è bello poter ripensare a questi profumi mai dimenticati, e non appena possibile riprenderli e riviverli ogni domenica almeno, riaprire le nostre case e le nostre famiglie con tutti coloro a cui si vuole bene, con un pensiero a chi non c’è più che da lassù sicuramente sarà felice.
I profumi della domenica mattina ed è sempre fortissimamente meraviglioso…

 

 

 

Tra le problematiche che più fanno parlare di sé negli ultimi anni, con notizie che spesso appaiono sulle prime pagine dei quotidiani e aprono le edizioni dei tg, c’è senza dubbio il fenomeno del bullismo e il suo “gemello”, il cyberbullismo, che trova nella Rete il modo di diffondersi senza possibilità di controllo, colpendo anche i più giovani.

 

di Anna Maria Stefanini

Inglese di nascita, americana di adozione, Elizabeth “Liz” Taylor la vocazione per il cinema la scopre da bambina: nel 1943, a undici anni, è la protagonista femminile del celebre “Torna a casa Lassie!”.
Parlare di vocazione per il cinema è vero ma non è tutta la verità; la verità è che Liz Taylor cambia letteralmente la storia del cinema perché è con lei, con Marilyn Monroe, Greta Garbo, Marlon Brando, James Dean e gli altri che nasce lo “star system” e il cinema diventa il mondo parallelo dei sogni a portata di biglietto. Parafrasando Fabrizio De André: “non credevi che il paradiso fosse lì in platea”.
Se risponde al vero che i miti hanno tutti un’essenza, un nucleo che ne condensa il profilo identitario, come l’invulnerabilità di Achille o il naso di Cyrano, l’essenza di Liz stava nel volto e in quell’incredibile sguardo dagli occhi viola. Lo spettatore non guardava Liz Taylor, veniva risucchiato in quello sguardo e i registi hanno usato ed abusato di quel potente centro di gravità. 


La biografia di Liz Taylor si dipana lungo tre grandi direttrici: il cinema, i mariti e i gioielli.
La filmografia della Taylor è sterminata; questa che segue è soltanto una piccola selezione: “Piccole donne” (1949), “Il padre della sposa” (1950), “Quo vadis” (1951), “Il gigante” (1959), “La gatta sul tetto che scotta” (1958), “Venere in visone” (1960), “Cleopatra” (1963), “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, “La bisbetica domata” (1963; con la regia di Franco Zeffirelli), “Identikit” (1974; con la regia di Giuseppe Patroni Griffi), Il giovane Toscanini (1988; ancora con la regia di Franco Zeffirelli) e molti altri.
Una carriera nella quale brillano due premi oscar quale miglior attrice, quattro “golden globe”, due “British Academy Film Award” e tre premi “David di Donatello”.  


Liz Taylor ha avuto anche un’importante filmografia televisiva comprendente almeno quindici produzioni e una certa frequentazione teatrale, recitando in cinque apprezzabili rappresentazioni.
Liz Taylor è probabilmente l’unica VIP ad aver collezionato più matrimoni che mariti: i matrimoni sono otto per sette mariti, avendo sposato e risposato Richard Burton due volte, dal 15 marzo 1964 al 26 giugno 1974 e dal 10 ottobre 1975 al 29 luglio 1976. La sua passione per i matrimoni gode di un aneddoto: quando un giornalista le chiese perché si fosse sposata otto volte rispose: “perché credo nel matrimonio”.
La terza passione dopo il cinema e i mariti sono stati i gioielli, che ha collezionato in grande quantità, tra i quali brillano (nel vero senso della parola) il famoso “Diamante Krupp”, di 33,19 carati e l’ancora più famoso “Diamante Taylor-Burton”, un regalo di Richard Burton, di 69,42 carati. L’intera collezione è celebrata in un uno storico libro: “My Love Affair with Jewelry” (più o meno: “la mia storia d’amore con i gioielli”; 2002).
Ma la vita non sempre fu generosa con Liz Taylor; oltre i divorzi compaiono anche seri problemi di salute: una lunga serie di infortuni alla schiena, un tumore benigno al cervello, un cancro alla pelle, due polmoniti e, nell’ultimo periodo della sua vita, una grave forma di insufficienza cardiaca. Gli ultimi tempi li ha trascorsi su una sedia a rotelle.
Elizabeth Taylor muore il 23 marzo 2011, all’età di 79 anni. 

 

 

 

Oggi vi voglio parlare di nuovo dei danni provocati dalla burocrazia. In questi tempi di pandemia da coronavirus tutti si lamentano della burocrazia e dei danni che i burocrati provocano rallentando o impedendo le procedure. Ma nessuno parla della soluzione: licenziare i burocrati.
Infatti i burocrati sono troppi, si intralciano a vicenda, sono inutili, e, rendendosi conto della loro inutilità, per far veder che lavorano, si inventano continuamente riforme e riformicchie, provocando danni.
I burocrati, per loro natura, non stanno in mezzo alla gente, ma stanno negli uffici, e non conoscono la realtà; più sono in alto e meno capiscono delle cose che dovrebbero gestire. Quindi i peggiori sono i burocrati dei ministeri romani, che sono quelli che fanno più danni, sia perché sono i più lontani dai cittadini, sia perché la loro opera malefica si espande su tutto il territorio nazionale. Peggio dei burocrati romani ci sono solo i burocrati dell’Europa, ancora più lontani dalle realtà locali. Ad esempio quando si tratta della regolamentazione della pesca credono che la pesca riguardi solo il Mare del Nord o l’Oceano Atlantico, dimenticandosi che esiste anche il mare Mediterraneo. Quando si tratta della cura delle foreste credono di avere a che fare solo con le foreste della Norvegia. Ma anche i piccoli burocrati dei comuni si danno da fare, per procurare danni nel loro piccolo ambito comunale. Tempo fa mi capitò di leggere un bando per la fornitura di alimentari per la mensa scolastica di un comune: c’erano elencati solo prodotti di marche che facevano pubblicità in televisione. Una lista che avrebbe fatto inorridire qualunque casalinga.
Ma torniamo ai nostri burocrati “nazionali”. Certamente ricorderete che negli uffici postali c’era un vetro che separava il pubblico dagli impiegati. Poi qualche ignoto burocrate di qualche ministero romano decise di “umanizzare” il rapporto tra i clienti e il personale, di avvicinare il pubblico agli impiegati, e per fare questo fece togliere i vetri.
Adesso, per evitare il contagio da coronavirus hanno dovuto rimettere i vetri in tutta fretta, con conseguente doppia spesa per i cittadini: prima per togliere i vetri, poi per ricomprarli.
Qualcuno potrebbe dire: “Quando hanno tolto i vetri non c’era il coronavirus, e non era nemmeno prevedibile”.
E’ vero.
Però c’erano in circolazione altri virus, come quello dell’influenza stagionale, e gli uffici postali erano comunque affollati da persone anziane che andavano a ritirare la pensione.

Salvatore Cutellè

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Quando un soffio di eternità sfiora la tua vita è solo per offrirti il suo dono più bello: l’Amore.
L’Amore è la quintessenza della nostra vita, il nucleo intorno al quale ruota e si completa il divenire, quel flusso di materia che muove e domina l’universo e le nostre stesse esistenze.
Sì, perché l’amore non è solo l’incontro di due anime come siamo portati a credere ma è qualcosa di più grande che investe e determina ogni nostra azione, l’Amore è“immanente” nella vita dell’uomo e dell’universo, così come è stato da sempre.
Lo stesso Dante, nella sua grande opera afferma: ” L’amore che muove il sole e le altre stelle...” (Paradiso, canto XXXIII, 145).
In questo verso, infatti, è racchiuso il significato dell’intera opera di Dio, l’Amore è il meccanismo del mondo e di tutta la vita.
E ancora: “Amore, ecco la sola cosa che possa occupare e riempire l’Eternità: all’Infinito occorre l’inesauribile” (Victor Hugo) e non per ultimo: “L’amore è la più’ grande scienza del mondo, in cielo ed in terra” (Madre Teresa di Calcutta).
L’Amore quindi è un sentimento universale che muove ogni nostra azione ed assume forme e significati diversi.
Cos’è infatti la nascita di una nuova vita se non un atto d’amore? Ma amore è anche salvare un cucciolo abbandonato, dare un qualcosa ad una mano tesa sul sagrato di una chiesa, l’amore è lenire una sofferenza, l’amore è quella carezza dolce della mamma che ha il potere di asciugare le lacrime del suo bambino. La stessa creazione del mondo per i credenti, è stato solo un atto d’amore di Dio, così come la Crocifissione di Cristo non è stato altro che l’atto sublime dell’amore divino per l’Uomo.
Tutto si richiama all’amore perché questo, come affermato prima, racchiude un’ampia varietà di sentimenti che possono spaziare da una forma universale ed immanente ad una più’ intima ed appassionata tra persone oppure nei confronti di qualcosa di spirituale. Anche per gli antichi Greci, infatti, esistevano quattro forme primarie di amore: quello familiare/parentale, l’amicizia, il desiderio erotico/romantico (eros) e quello più’ strettamente spirituale.
Per quanto riguarda l’amore familiare, tutti sappiamo quale profondo sentimento ci lega ai nostri genitori, ai fratelli, anche se a volte le storie familiari sono complesse, vissute spesso in modo devastante, proprio perché chiuse nella sfera intima.

 

 

Rifacendoci al grande libro dei miti e della storia riportiamo un esempio di questo amore attraverso la storia di Antigone, creatura affettuosa e nobile protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle. Antigone, figlia di Edipo e della madre di questi, Giocasta, nonostante il padre si fosse macchiato dell’orrendo delitto che tutti conosciamo, lo assiste amorevolmente e non lo abbandona mai fino alla sua morte. Il suo amore familiare però non si esaurisce con la morte del padre, la fanciulla, appreso che il fratello Eteocle, morto per mano di un altro fratello giace insepolto per ordine del re e per veto di legge, incurante delle conseguenze che avrà il suo gesto, seppellisce il fratello ed affronta la morte.
E come dimenticare l’amore di Alcesti che si offre di morire al posto del marito, il re Admeto? Un gesto che neanche i genitori di Admeto avevano voluto fare (Alcesti-Euripide). Altro emblematico esempio, dell’amicizia, questa volta, lo troviamo nell’Eneide di Virgilio, che nel Libro IX parla di Eurialo e Niso due giovani guerrieri Troiani.
“… Apprentossi in prima/Eurialo e Niso. Un giovinetto/di singolar bellezza Eurialo era, e Niso di lui fido e casto amico...” (Eneide Libro IX versi 425-428).
Quando Eurialo muore per mano dei nemici, Niso che si era messo in salvo, torna indietro pur sapendo che per lui sarà la fine e vendica la morte dell’amico e quando viene ucciso, morente, si getta sull’amico dandosi pace.
Per quanto riguarda l’amore romantico per eccellenza quello dell’apostrofo rosa che continua a fare strage di cuori e mietere “vittime” ben felici di esserlo, il panorama è molto vasto, anche se questo amore assume tinte diverse. Sempre passeggiando tra storia e letteratura, ricordiamo alcuni aspetti di questo amore.
Tra gli amori impossibili ricordiamo quello di Anna Karenina per Alekssej Vronskij (omonimo romanzo di L. Tolstoj), quello di Catherine e Heathcliff di Cime Tempestose e anche quello, a noi piu’ vicino di Alice e Mattia due ragazzi profondamente segnati da un’infanzia infelice che si sentiranno uniti eppure invincibilmente divisi, come i numeri primi che i matematici chiamano gemelli ma che sono entità chiuse, distanti (La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano).
Tra gli amori teneri, vale la pena ricordare quello di Ettore e Andromaca (Iliade – Omero). L’addio di Ettore ad Andromaca alle porte Scee è una delle più’ belle dichiarazioni d’amore della storia, e non per ultimo, il tenero e appassionato amore del Gobbo ‘Quasimodo’ per la bella zingara ‘Esmeralda’. Quando Esmeralda muore Quasimodo, si lascia morire al suo fianco (Victor Hugo- Notre Dame de Paris). Tra gli amori intensi, passionali, che molti sognano di avere ma che restano tra le pagine dei libri ricordiamo quello di Paolo e Francesca: “Amor ch’a nullo amato amar perdona”… (Dante, Inferno, Canto V, verso 103), Giulietta e Romeo, Lancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta, Abelardo ed Eloisa…
Vale la pena soffermarsi, solo un attimo, sull’amore assoluto, intenso, distruttivo di Medea per Giasone (Medea – Euripide). Medea, dopo aver aiutato Giasone nella conquista del vello d’oro, ucciso il proprio fratello, tradita la sua gente, segue Giasone a Corinto e lo sposa.
Giasone, però, dopo alcuni anni di convivenza, ripudia la moglie per sposare la figlia del re Creonte che gli avrebbe dato l’opportunità di diventare re. Il dolore di Medea è grande, devastante.
Pur comprendendo di aver sposato non un eroe ma un cinico opportunista, la donna è dilaniata da opposti sentimenti e lacerata tra razionalità e passione. La sua vendetta sarà spietata, crudele, uccide i propri figli solo per procurare a Giasone uno strazio infinito. Un amore distruttivo il suo ma attenzione, purtroppo questi gesti di amore estremo, forse malato, non sono confinati e racchiusi solo nelle pagine dei libri, i recenti fatti di cronaca purtroppo ce lo confermano.
La forma di amore più alta, comunque, resta quella spirituale, universale, quell’amore a tutto tondo che non è solo ascesi, ma è amore infinito per tutte le creature viventi. Un nome fra tanti: Madre Teresa di Calcutta. Questa piccola, grande, fragile ma forte donna ha speso tutta la sua vita al servizio dei poveri, degli oppressi, degli emarginati, dei bambini uccisi e abbandonati con una tenacia ed una grande, incrollabile fede. Ricordiamo, tra le sue tante, celebri frasi:“non esiste povertà peggiore che non avere amore da dare” e “ la fame d’amore è molto più difficile da rimuovere che la fame di pane”.
L’amore, quindi, come detto all’inizio, è tutto non una parte, l’amore non sarà mai singolare perché l’amore “… non guarda con gli occhi ma con l’anima…” (Shakespeare – Amleto) perché …. “la vita è il fiore per il quale l’amore è il miele” (Victor Hugo). Quando due cuori si uniscono, quando due persone si amano con l’anima, nessuna tempesta oscurerà mai il loro cielo. E questo l’amore, questa unione permetterà al mondo di sopravvivere conservando parte di noi perché noi siamo parte dei nostri genitori, come saremo parte dei nostri figli e dei figli dei nostri figli.

 

 

Certo non ci sono amori facili o amori da favola con principi e carrozze (almeno non per tutti) il vero amore spesso è complesso perché non consiste solo nello scegliersi ma soprattutto nell’accettarsi. Non basta sfogliare una margherita per scoprire quanto si è amati, quello è solo il momento dell’innamoramento, delle farfalle nello stomaco, l’amore è scoprirsi giorno dopo giorno, accettare tutto dell’altro per poi correggersi, mediare, in modo che l’uno compensi le mancanze dell’altro. L’amore è tenerezza, dialogo, fedeltà e, quando necessario, sacrificio. Le più belle storie d’amore, infatti, sono quelle che si vivono nel rispetto, nella libertà e soprattutto nella fiducia reciproca, nell’essere pronti ad affrontare qualsiasi ostacolo o sacrificio che la vita a due comporta.
Non dimentichiamo però che l’amore va anche “coltivato”, nutrito giorno per giorno, va riempito di emozioni, tenerezza e di quel pizzico di follia senza la quale non cresce l’ebbrezza e non si ravviva la passione, sentimenti che rinsaldano e rinnovano l’unione negli anni.
L’amore non è facile, spesso percorre strade tortuose e mette continuamente alla prova chi ama ma quando lo trovi, è la tua ragione di vita, è il cerchio che si chiude, il numero perfetto e, per dirla come Alphonse De Lamartine “Amare per essere amati è umano ma amare per amare è quasi angelico”.
Amiamo dunque, amiamoci perché il mondo ha bisogno d’amore per ritrovare la strada dell’armonia e della pace, la strada che illumina il cammino dell’uomo, quella strada che inizia col “TU ED IO” per diventare poi “NOI” ripetuto all’infinito “UBI TU GAIUS, IBI EGO GAIA”.

 

 

C’è un Parco naturale a qualche chilometro da Biella, la mia città, sorge su una dolce e morbida collinetta a ridosso delle Alpi Biellesi, con una punta arrotondata e tondeggiante che in ogni stagione cambia colore: è il Parco della Burcina. Sono nata e ho trascorso l’infanzia nel piccolo paese di Pollone, ai piedi della collina e ho osservato, ogni giorno con stupore, il magico spettacolo dell’alternarsi delle stagioni nel Parco: in inverno il bianco della neve sugli alberi spogli; a marzo i narcisi che dipingono di giallo i prati, ad aprile le azallee con tutte le tonalità del rosa a maggio e a giugno lo spettacolo della conca dei rododendri, due ettari di terreno fiorito che attirano turisti di tutto il mondo; in estate la grande macchia verde tra i sentieri abitati da bambini che giocano, famiglie attrezzate per il picnic, persone di tutte le età che fanno jogging o che passeggiano, innamorati alla ricerca di un luogo appartato; e, infine, l’autunno con i colori caldi dalle sfumature che vanno dal giallo al rosso a tutte le tonalità del marrone, un vera esplosione di luci e colori che scaldano il cuore.

 


Le origini del Parco della Burcina risalgono alla metà del 1800, quando l’imprenditore biellese Giovanni Piacenza (1811-1883) iniziò ad acquistare vari terreni siti nelle parti inferiori dei versanti rivolti a sud e a ponente della collina, per allestirli con sequoie, cedri dell'Atlante, pini strobus e altro. Il figlio Felice (1843-1938) per quasi 50 anni lavorò giorno dopo giorno per acquisire nuovi terreni, per tracciare strade e sentieri, per piantare alberi e la spettacolare valle dei rododendri. E' abbastanza sorprendente il fatto che l'industriale non si avvalse di architetti nella composizione del paesaggio, ma fu lui stesso l'artefice. Di conseguenza, oltre all'aspetto botanico è di particolare rilievo la composizione paesaggistica: un laghetto romantico a forma di cuore abitato da tartarughe, le aree prative contornate da boschi, la faggeta, il viale dei liriodendrila,la valle dei rododendri, l'area mediterranea, le vista sulle montagne e sulla pianura che spaziano dal Monviso all' Adamello. Il figlio di Felice, Enzo (1892-1968) nel 1950 inaugurò il ponte sul torrente Vandorba, struttura di cemento armato ad una sola campata curva progettata dall’architetto fiorentino Pietro Porcinai e invitò al parco i più famosi botanici europei.

 


Dal 1934 il parco è diventato di proprietà del Comune di Biella che ha provveduto ad ampliare la superficie fino ai 57 ettari attuali e nel 1980 è stata istituita la Riserva Naturale Speciale del Parco Burcina "Felice Piacenza" .
Il Colle della Burcina è interessante anche per i ritrovamenti archeologici: nel 1959 durante i lavori di scavo per realizzare un piccolo parcheggio sulla cima della collina, venne alla luce una struttura in pietra che fece ipotizzare la presenza di un castelliere gallico risalente al periodo compreso tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a. C. Vennero, inoltre, alla luce diversi reperti archeologici, tra cui asce, spiedi, utensili in ferro ed una bella brocca di bronzo, attualmente esposta al Museo del Territorio di Biella. Dopo questi ritrovamenti, vennero fatte altre indagini, e furono rinvenuti parecchi resti di ceramiche, che hanno permesso di ipotizzare che la sommità della collina fosse stata abitata per diversi secoli da un popolo dedito alla pastorizia, alla caccia ed all'attività agricola, e che le ceramiche erano presumibilmente prodotte in loco. Altra provenienza invece quella di una brocca, con bocca trilobata e becco molto rialzato, etrusca risalente al V-IV secolo avanti Cristo, proveniente da Vulci, prodotto, quindi, di scambio diffuso all'età del ferro.
Ma, per tornare all’attualità, è da sapere che tra gli obiettivi dell’agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, vi è la Candidatura di Biella al network Città Creative Unesco, all’interno della quale il Parco creato da Felice Piacenza verrà certamente valorizzato come area naturale che rappresenta da un lato il mecenatismo culturale degli industriali tessili e dall’altro la creatività biellese che oltre ai filati più belli del mondo ha saputo dare alla luce un vero e proprio paradiso di fiori e di piante rare.