Nel silenzio che segue un crimine atroce, la voce delle vittime spesso si perde. Ma ci sono parole che, pur non scritte da chi non ha potuto viverle, riescono a parlarci con la forza della verità e della giustizia. Questa è la lettera immaginaria — ma più reale che mai — del piccolo Alessandro Mathas, un bimbo di appena otto mesi ucciso a Genova nel 2010. La sua voce, prestata dalla penna di Benedetto Maria Ladisa, si rivolge all’uomo che lo ha strappato alla vita, rispondendo alla recente richiesta dell’assassino di ottenere un permesso premio dopo soli dieci anni di carcere.
Un messaggio che interpella le coscienze, un monito che grida il diritto alla memoria e alla giustizia per tutte le vittime innocenti.
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SE POTESSI SCRIVERTI
di Benedetto Maria Ladisa
Sono Alessandro Mathas.
Vedi, Antonio,
vorrei tanto scriverti o parlarti,
per dirti ciò che penso sulla tua richiesta di uscire dal carcere in anticipo.
Vorrei, ma non posso.
Quando mi hai ucciso, mi hai impedito di crescere,
di imparare a leggere o a scrivere.
Perfino di imparare a camminare.
Avevo solo otto mesi.
Sei stato condannato a 26 anni per avermi ucciso solo perché piangevo troppo.
Era la casa dove avrei voluto crescere, nella zona di Nervi, a Genova.
Tu e mamma, quella notte, avevate consumato tanta cocaina.
Ma io non sapevo nulla di droghe.
Piangevo perché nessuno di voi due pensava a me.
Appena mamma Caterina è uscita per comprare altra droga,
io piangevo ancora più forte,
ma era un pianto normale, come quello che fanno tutti i bimbi di otto mesi.
Mamma era una tua compagna,
e tu non eri mio padre.
So solo che ti chiami Antonio.
Non dovevi uccidermi.
Perché lo hai fatto, non lo so ancora.
Mi hai spinto così forte da uccidermi, quando mamma non c’era.
Potrei chiamarti vigliacco,
perché ero piccolo e indifeso,
ma non conoscevo questa parola.
Potrei chiamarti crudele,
ma non conoscevo questa parola.
Non sapevo neppure cos’è la morte.
Mi hai tolto la possibilità di diventare
un bambino felice,
un ragazzo,
uno studente,
e forse un marito e padre.
Avevo otto mesi, ti rendi conto?
Non saprò mai cos’è un libro,
un lavoro
o il bacio di una donna.
Avrei solo voluto vivere.
Ne avevo il diritto,
alla vita.
E tu me lo hai tolto.
Mamma Caterina è stata condannata a 4 anni
per avermi lasciato solo con te.
Ma tu, Antonio,
sei stato condannato a 26 anni.
Ne hai scontati appena 10.
Vuoi già uscire per buona condotta?
E la mia giustizia dov’è?
Come posso perdonarti?
Come posso essere sicuro che non farai più male a nessun bambino?
Già,
perché ciò che hai fatto per me è stata la fine di tutto.
Vorrei spiegartelo meglio,
ma non mi hai dato il tempo
neppure di imparare a camminare,
giocare,
scrivere
e leggere.
E siccome non so scrivere,
questa lettera la sta scrivendo per me
uno che non conosco,
ma che ci tiene alla giustizia per le vittime.
Si chiama Benedetto Ladisa.
Sta scrivendo ciò che avrei voluto scriverti io.
Ma io non posso.
Non posso più.
Per colpa tua.
Se davvero uscirai dal carcere con tanto anticipo,
ti dico che non è giusto.
Per me
e per tutti i bambini
vittime di tanta crudeltà.
Ma se così sarà…
portami almeno un fiore.
Alessandro Mathas al suo assassino, Antonio Rasero, di Genova,
che ha chiesto di poter uscire dal carcere per 8 ore al giorno per buona condotta.
Ha scontato 10 anni su 26.