di Massimo Reina
Eccoci, signore e signori, alla nuova puntata del grande show: Italia, colonia al servizio di chiunque decida di alzare la voce. Stavolta l’ospite d’onore è il console ucraino a Milano, che con un paio di telefonate e qualche dichiarazione intimidatoria è riuscito a far cancellare un evento pacifico, previsto per il 26 gennaio al Teatro Oscar. Tema dell’incontro? Dibattito, confronto, scambio di idee. Un’eresia, a quanto pare.
Perché oggi, nella democratica Italia, il diritto di esprimersi è subordinato alle opinioni di un rappresentante straniero. Basta che il console ucraino bussi alla porta del sindaco Sala o del prefetto Sgaraglia, e si scatena il panico: «Attenzione, propaganda russa!» Risultato? Teatro Oscar chiude le porte, evento cancellato, silenzio stampato.
Censura preventiva: il nuovo sport nazionale
Non importa che l’associazione Le Verità Nascoste avesse messo in piedi un incontro su economia, cultura e sviluppo industriale. Non importa che gli ospiti fossero avvocati, storici, scienziati e persino un ex deputato europeo. No, signori: basta la parola “Russia” o “alternativo” per far scattare l’allarme rosso. Dibattere, confrontarsi, ragionare? Troppo rischioso, meglio spegnere tutto prima che qualcuno osi dire qualcosa che non sia allineato al pensiero unico.
E così, in Italia – quella stessa Italia che si vanta di essere il faro del pluralismo e della libertà d’espressione – siamo arrivati al punto in cui un console straniero detta l’agenda su cosa possiamo discutere e cosa no. Un’idea degna di Orwell: la censura non viene più dal governo, ma da chiunque abbia abbastanza leve diplomatiche da far tremare le nostre istituzioni.
Il paradosso è che l’evento non doveva nemmeno parlare del conflitto in Ucraina. Ma tanto basta: oggi tutto deve essere filtrato attraverso la lente della guerra. Se non giuri fedeltà a Zelensky al primo minuto, sei automaticamente un agente del Cremlino. E allora ecco che anche un convegno su temi economici diventa “propaganda russa,” come se avessero invitato Putin in persona a fare da moderatore.
L’Italia che abbassa la testa
Davide Porro, il giornalista che avrebbe moderato l’incontro, ha colto nel segno: ormai ogni tentativo di dialogo è bollato come un attacco. Non c’è più spazio per il confronto pacifico; c’è solo una gara a chi grida più forte “guerra!” e “propaganda!” per soffocare qualunque voce fuori dal coro.
E la cosa più inquietante è questa: siamo noi a permetterlo. Permettiamo a un console straniero di decidere chi può parlare e chi no. Permettiamo a un teatro di piegarsi alle pressioni, anziché difendere la libertà di parola. Permettiamo alle nostre istituzioni di diventare strumenti di censura, anziché garanti dei diritti fondamentali.
E allora diciamolo chiaramente: la vera propaganda non è quella “russa” che si voleva evitare, ma quella che stiamo subendo ogni giorno. È la propaganda di un pensiero unico che non tollera voci discordanti, che spegne il dialogo con il marchio infamante di “filorusso,” che trasforma la democrazia in una farsa.
Questa vicenda non è solo una sconfitta per l’associazione Le Verità Nascoste o per chi aveva donato 10 euro per l’evento. È una sconfitta per tutti noi. Perché oggi sono stati zittiti loro, ma domani potrebbe toccare a chiunque osi alzare la mano per dire qualcosa di diverso.
E allora, mentre continuiamo a piegarci ai voleri di chiunque alzi la voce dall’estero, ricordiamoci di una cosa: ogni volta che censuriamo un dibattito, non stiamo solo limitando la libertà di chi vuole parlare. Stiamo limitando la nostra stessa capacità di pensare, ragionare, scegliere. E in un’Italia che si proclama democratica, questa sì che è la vera propaganda.