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di Virginia Murru

L’ultima opera dell’ex Procuratore Giancarlo Capaldo, ‘La ragazza scomparsa’, è un noir che compie una sorta d’’incursione’ nel caso a tutt’oggi irrisolto di Emanuela Orlandi, è la storia romanzata con chiari richiami alla sua scomparsa, avvenuta il 22 giugno del 1983.

Il dott. Capaldo sostiene che non si tratta di ‘storia romanzata’, ma la narrazione si snoda su una serie di fatti e circostanze che non hanno un autentico legante con quelli che riguardano la ragazzina adescata e rapita a Roma nel giugno dell’’83, e mai restituita alla famiglia.

Il protagonista è un principe appartenente alla nobiltà romana, e anche i personaggi che vi ruotano intorno sono figure fittizie, che certamente portano avanti, nelle maglie oscure in cui si muovono, un filo conduttore piuttosto verosimile e affine alla vicenda Orlandi, ma si tratta, appunto, di scenari e contesti alquanto diversi da quelli che hanno caratterizzato la vera storia della giovane cittadina vaticana.

Certamente la narrazione si avvicina alla realtà in uno degli aspetti chiave del romanzo, ossia il coinvolgimento del Vaticano, che si esprime in un turbine di fatti sconvolgenti, dove il ruolo di certi personaggi in questo ordito di episodi circonfusi di mistero, va ben oltre la mera ‘comparsa’.

E’ in definitiva questo il tentativo dell’autore: varcare gli accessi più preclusi, aprire una breccia nel silenzio, undicesimo ‘comandamento’ di tutto ciò che si agita dietro le mura Leonine, al quale da sempre il clero ha promesso obbedienza, anche a costo della sofferenza di coloro che sono passati sotto i cingoli di questo tacere, pagando un prezzo altissimo.

La narrazione in sé nel romanzo è caratterizzata da personaggi improbabili, quali appunto il principe Gian Maria Ildebrando del Monte di Tarquinia e consorte, il personale del palazzo romano in cui i principi vivono, ed altre presenze che non hanno per ovvie ragioni richiami alla storia di Emanuela.

L’autore, del resto, non fa nulla per celare l’intento di ripercorrere le tappe di una vicenda ancora avvolta nell’oscurità, tempestata di ombre senza nome, e soprattutto avvolta da un alone inquietante di sospetti, che coinvolgono esponenti del Vaticano, a vario livello nella gerarchia del clero. Nessuno poteva scrivere meglio dell’ex magistrato una storia così tormentata, considerato il ruolo che ha svolto in qualità di inquirente, segnata da un infido scudo di omertà e reticenza, una verità beffata da continui tentativi di depistaggio nelle indagini, senza alcuna misericordia o sensibilità per il dolore immane di una famiglia, che ancora, dopo 37 anni, non conosce la sorte del proprio congiunto.

Eppure, il fratello Pietro, che della ricerca di Emanuela ne ha fatto una missione, una crociata lunga quasi quarant’anni, ha tentato di aprire tutte le porte blindate della coscienza dei responsabili, senza darsi mai pace o concedere alibi all’oblio. Una vicenda altrimenti destinata ad essere da tempo relegata dietro i misteri che vegetano al di là delle mura Leonine.

Il romanzo del dott. Capaldo ha acceso qualche flebile luce sul probabile svolgimento dei fatti, ma la penna dell’ex procuratore è come una torcia che s’inoltra in troppi vicoli ciechi, attraversa sentieri oscuri o comunque troppo poco illuminati. Procede pertanto con l’ausilio dell’estro creativo, nonostante l’esperienza diretta, dato che il magistrato, com’è noto, ha indagato fino al 2012 (per 4 anni) proprio sulla vicenda di Emanuela.

Un caso praticamente ‘intrattabile’, bollato già dal reticolo di una inaudita resistenza alla verità, chiuso nel corso di 4 decenni diverse volte, proprio perché le indagini, nonostante qualche passo avanti reso possibile da testimoni importanti, non hanno mai tracciato una via percorribile con esiti certi sul reale svolgimento dei fatti. Né si è mai riusciti a sapere dove la povera ragazza si trovi.

L’autore del romanzo ‘La ragazza scomparsa’, nonostante la competenza di magistrato e l’esperienza maturata in seguito alle indagini da lui condotte, non consegna chiavi che riescano ad aprire quelle porte maledette dall’omertà e dalla vergogna. Nel romanzo la storia è risolta con il rivelamento di fatti sconvolgenti, ma si resta pur sempre nell’ambito di una narrazione che non può essere sotto molti aspetti trasposta alla reale vicenda che ha riguardato la sedicenne scomparsa.

Si tratta in ogni caso di una storia avvincente, chi legge si trova scaraventato proprio agli avamposti di una ‘guerra’ volta a fare emergere la verità, l’esposizione è agevole e diretta sul piano espressivo, senza ricorso ad espedienti artificiosi o contorti. La lettura fluisce sicura e con un tenue filo di tensione emotiva che incolla alla lettura fin dai primi capitoli; si arriva alla fine con il fiato sospeso. Ma lascia anche una vaga sensazione di amarezza, perché la storia narrata si conclude sì con la soluzione del caso, ma con la verità nelle mani di pochi, gestita dal protagonista e dal suo arbitrio, che esclude qualsiasi coinvolgimento dell’opinione pubblica.

Questa è la nota fuori spartito: la vicenda di Emanuela Orlandi ha coinvolto milioni di persone, che da sempre hanno seguito l’odissea di questa verità più volte definita ‘indicibile’, a causa dei personaggi ritenuti sospettabili. Resta deluso il lettore di ‘La ragazza scomparsa’, nel concludere che in fin dei conti questa verità contesa diventa retaggio di pochi, ed è destinata ad essere preclusa ai più, a coloro che sinceramente hanno partecipato al dolore della famiglia, seguendo ogni sviluppo della vicenda.

Colpisce una locuzione nel fermento di tutto quel vortice di colpe taciute, una frase che nel romanzo è poi il paradigma di tutto quel tacere: “Chi tocca il Vaticano qualche volta muore..”

Almeno il flusso della narrazione è coerente con una soluzione possibile, e lascia così la speranza che prima o poi si possa arrivare al capolinea del mistero con la chiave giusta.

Di recente il dott. Giancarlo Capaldo, che è stato responsabile della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ha rivelato nel corso di varie interviste che nel 2012 è stato testimone diretto di un fatto quasi clamoroso nel corso dello svolgimento delle indagini proprio sulla ragazza scomparsa.

L’ex Pm ha dichiarato che dieci anni fa arrivarono in Procura due emissari del Vaticano, i quali gli proposero una sorta di ‘trattativa’, ossia che il Vaticano si sarebbe reso disponibile al ritrovamento del corpo dell’adolescente scomparsa, qualora i magistrati italiani si fossero direttamente occupati dello spostamento della salma del boss Enrico De Pedis, della banda della Magliana, clamorosamente sepolto nella basilica di S. Apollinare a Roma. Per essere precisi, inizialmente fu tumulata nel cimitero del Verano, due mesi dopo fu poi trasferita nella cripta della basilica.

Bisogna dire che la storia di questa sfortunata ragazza non si fa mancare nulla. Allorché si diffuse la notizia, l’imbarazzo per il Vaticano, già con troppi indici puntati sul caso Orlandi, crebbe a dismisura. Per questa ragione, nel 2012, con il fine di allontanare gli sguardi indiscreti della stampa dalla vicenda, decisero la ‘manovra’, ossia servirsi dei magistrati italiani per il trasferimento altrove della salma del De Pedis. In cambio gli emissari offrivano la disponibilità delle autorità vaticane a collaborare per il ritrovamento del corpo di Emanuela.

Così si è espresso il dott. Capaldo in merito:

“Accade che, nel periodo del papato di Papa Ratzinger, a cavallo del 2011/2012, mi ritrovo ad essere Procuratore reggente di Roma e due personaggi che in quel momento ricoprivano, sotto il profilo politico-criminale-investigativo, incarichi importanti in vaticano, chiedono di conferire con me. Queste due persone vengono ricevute in Procura, e sostanzialmente si lamentano perché il vaticano, a loro avviso, è continuamente sottoposto ad una sorta di discredito da parte della stampa per il suo presunto e non vero (secondo loro) coinvolgimento nella vicenda di Emanuela Orlandi e della vicenda della sepoltura di De Pedis. Gli stessi chiedevano come le indagini potessero concludersi e come si potesse risolvere il problema dei gravi attacchi mediatici a cui erano sottoposti”. ( tratto da un articolo pubblicato nel blog di Pietro Orlandi)

Il procuratore rispose agli emissari che era giusto a questo punto che alla famiglia Orlandi potesse essere data indicazione certa del luogo in cui si trova la ragazza, dopo tanta angoscia e sofferenza. Essi risposero che avrebbero informato le persone di competenza in Vaticano, riservandosi di dare una risposta tra qualche settimana.

La risposta fu positiva, nel senso che le autorità vaticane erano disposte a collaborare con ogni informazione di cui erano a conoscenza, per fare ritrovare finalmente il corpo della giovane. Una dichiarazione che ebbe le sue implicanze in una logica micidiale, considerate le rilevanti circostanze: significava semplicemente che il Vaticano conosceva il luogo in cui era stato portato il corpo di Emanuela, e non solo.. Certamente sapevano molto di più, il problema è che non avevano mai avuto la volontà di svelare il dietro le quinte di una vicenda terribile, che allunga le ombre oltre ogni limite sulle mura Leonine.

Per non venire meno alla conflittualità di questi misteri e alla coerenza sul silenzio, gli emissari, secondo il resoconto del dott. Capaldo, non si fecero più sentire, nonostante ormai si fossero compromessi con dichiarazioni che non potevano lasciare indifferenti i magistrati che si occupavano del caso Orlandi.

Grandi conflitti esplosero all’interno del Vaticano, forze opposte evidentemente non avevano permesso che quella breccia trovasse spazio in quei perimetri governati dall’omertà. Nel soglio di Pietro sedeva allora papa Ratzinger, certo la stampa non poteva venire a conoscenza di queste tensioni interne, ma ormai è convinzione comune che le dimissioni del papa tedesco non siano dovute a ragioni di salute, ma a qualcosa che sovrasta, a motivi ‘indicibili’, avvolti dal mistero per i poveri mortali, a quanto pare.

Sicuramente il contributo alla verità dell’ex magistrato (giunto inspiegabilmente dopo dieci anni..), è un sostegno e una speranza per chi si augura che anche un sasso lanciato nell’acqua immobile possa produrre una serie di cerchi concentrici che avvicinano sempre più ad una verità così agognata.

Dagli sviluppi che gli inquirenti sapranno dare alle nuove indagini si capirà se sperare ha ancora un senso, di certo non si potrà contare nella rassegnazione della famiglia Orlandi, in particolare su Pietro, che ha giurato di non abbandonare mai la lotta per il ritrovamento di Emanuela.

Resta tristemente una verità tossica, drogata, inquinata, evitata come la peste, ma invece avrebbe potuto essere una strada lastricata nell’inferno, da percorrere per trovare una via di fuga e aprire un indirizzo più degno al Soglio di Pietro.

Non è la Chiesa in discussione, né ovviamente Dio, le grandi tragedie del Vaticano hanno riguardato i suoi rappresentanti nel lungo corso della sua storia, i credenti non abbandonano la fede perché coloro che si sono eletti ad interpreti della Cristianità li hanno traditi. Non è in fin dei conti la paura del giudizio dei fedeli in sé ad ostacolare la disponibilità ad aprire il forziere di troppe verità nascoste, ma la vergogna di un operato ‘indicibile’.

Basterebbe un ricorso al Vangelo di Marco (11, 15-19), allorché Cristo, disgustato dall’uso profano del tempio, reagì con estrema severità e veemenza:

«Non è scritto: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi, invece, ne avete fatto un covo di ladroni!». Ora gli scribi e i capi dei sacerdoti, avendo udito queste cose, cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era rapita in ammirazione del suo insegnamento. 

 

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