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di Maria Cristina Sabella

Nika è una giovane adolescente (per la privacy non farò il suo vero nome), ha iniziato a percepire, in questa delicatissima fase della sua vita, le difficoltà economiche della famiglia, la patologia psichiatrica del padre, che non è violento, ma vive nel suo mondo, spesso fatto di egoismo affettivo, parla poco in famiglia, si è allontana dal calore, dalle risate e dalla complicità con la mamma e pian piano si rinchiude in un mondo silenzioso.

Urla … ma nessuno ode il suo dolore.
La pandemia la isola ancor di più da quel mondo fatto di giovani amicizie, uscite, le difficoltà scolastiche aumentano.
Inizia un percorso attenzionato da educatori, servizi e assistenti sociali.
Tutto si ripercuote sulla conflittualità, sul dialogo e sulla capacità di ascolto e di comprensione.
Nika, un giorno, pensa che sarebbe meglio morire o farsi del male e questo tarlo nella sua mente diventa devastante.
Gli educatori, che a volte diventano elementi disgreganti, invece di fare lo sforzo di scrutare il cuore, incominciano a leggere solo pagine bianche standard … così nell'anoressia dei sentimenti, appare sullo schermo la parola “COMUNITÀ”.
Dove germogliava il dolore, quella parola concimava la disperazione.
Nika decide di metter fine a quel dolore, ma non è una reale voglia di morire, ma un: “VI CHIEDO AIUTO”, “sto morendo dentro”, così, assume una quantità smisurata di pillole di Tachipirina che la portano in ospedale.
Resta ricoverata in vigile sorveglianza per quasi 3 mesi, 24 ore su 24 dalla mamma e da qualche volontario che concede un paio di ore a questa donna per poter ricongiungersi a un figlio che, anche se diciottenne, è rimasto solo in casa, mentre quel padre, che ha contribuito e destabilizzato la vita di Nika e di tutti, è stato allontanato dal nucleo familiare.
Gli assistenti sociali hanno iniziato a disegnare un insano viaggio, non tutti i ragazzi possono intraprendere lo stesso percorso.
Chi sono gli assistenti sociali?
Sono quelle figure che dovrebbero svolgere il ruolo di consulenza e di sostegno, ma non sempre è così.
Si innescano, in alcuni ambienti e in alcune menti, il senso di onnipotenza.
Loro sanno che hanno un potere grandissimo, e quel potere in più, in qualche caso, dà cattivi frutti.
Hanno il compito di “controllare” la condotta del minore e di riferirlo al tribunale, questo potere dà loro la facoltà di far fare modifiche, cessazioni o revoche, che siano giuste o ingiuste o improprie, nella maggioranza dei casi non ha importanza … loro possono.
Ricordiamoci dei casi di Bibbiano e della loro devastazione che, come uno tsunami, hanno distrutto molte famiglie.
Ci tengo a precisare che ci sono tantissimi educatori e assistenti sociali degni di questa qualifica, però non tutti sono uguali.
In molti prevale quell'ingarbugliato pensiero di: IO CI GUADAGNO, cosa... lo sanno solo loro, cosi collocano il minore in comunità, poi non importa il suo reale destino, li usano solo per riempirsi la bocca, in modo istituzionale, “vanno preservati per il loro bene psicofisico”, ma come in realtà viene preservato il minore?
Qual è il reale beneficio? Non c'è!
Nika, collocata in comunità, diventa autolesionista, incomincia a provocarsi dei tagli sul viso, sulle braccia, sanguina, ma il dolore è anestetizzato, piange, le vengono crisi di panico e cosa fanno gli educatori? … chiamano l'ambulanza, fanno sedare e ricoverare Nika che è terrorizzata, assopita, i pensieri diventano confusi e vuole solo morire fisicamente perché la sua anima, per lei, è già morta.
Nessuno abbraccia Nika, nessuno le dice: tranquilla, vedrai che supererai tutto, tranquilla qui ci siamo noi, … il NOI non esiste, esistono scarne regole e assecondare l'apatia che sta incominciando a vestire l'anima di Nika.
Nika sparisce per ore, nessuno si assume il compito di avvisare la famiglia, torna … per fortuna torna volontariamente, perché è piccola, è spaventata, non sapeva dove andare, allora torna nella sua gabbietta come un uccellino smarrito.
Ormai Nika ha intrapreso il viaggio più lungo, più scomodo, più buio della sua giovane vita, ma pare che nessuno se ne renda conto.
La mamma è disperata, impotente davanti ai silenzi di quella figlia che a volte l'incolpa di qualcosa che lei non comprende.
Ma l'amore è potente, gli amici le dicono "non mollare", "non importa se non vuole vederti, parlare", "se il suo meraviglioso sorriso non c'è più, tornerà, ma tu devi lottare per tutte e due" … così la leonessa che è in ogni mamma, esce, incomincia a mordere la vita, avverte tutti che denuncerà i Carabinieri, la comunità, che si avvarrà di un avvocato e sa quanti sacrifici le costerà, ma prima dei soldi c'è la vita della figlia.
Nika esce da quella Comunità che stava diventando la sua tomba, torna a casa e incomincia un recupero.
E' una giovane adolescente e vive in un'era che sta destabilizzando tantissimi giovani. Nika aveva ritrovato il sorriso ma è durato poco, ora disegna su fogli bianchi il suo disagio, come una bulimica. Nika si sta spegnendo ancora una volta, come una candela, e questo solo perché qualcuno fa poco, e quel poco lo fa male, perché si dà più importanza all'apparenza che alla sostanza, e quella sostanza si chiama NIKA.
Nika è diventata quel passeggero che occupa uno spazio vuoto in quella lunga carrozza, partita da quella stazione affollata di giovani fragili, tristi autolesionisti, dove il biglietto, senza sconti, le sta costando caro e senza la certezza di ritorno.

 

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