di Monica Vendrame
In data odierna, mercoledì 14 maggio, il Tribunale dell’Unione Europea ha dato una sonora lezione alla Commissione, annullando la decisione con cui aveva negato l’accesso ai messaggi scambiati tra Ursula von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, durante la pandemia.
Al centro del cosiddetto Pfizergate, c'è il maxi-accordo sui vaccini anti-Covid firmato nel 2021. Un contratto miliardario, trattato direttamente — pare — tra la presidente della Commissione e il dirigente Pfizer, via sms.
Peccato che, quando alcuni giornalisti — tra cui Matina Stevis del New York Times — ne abbiano chiesto conto, Bruxelles abbia risposto di non sapere dove siano finiti quei messaggi. Né se siano mai esistiti, né come, quando o perché siano spariti.
La giustificazione? Gli sms non sarebbero da considerarsi “documenti ufficiali”, e quindi non soggetti ad archiviazione. Il Tribunale ha però ribaltato questa tesi: se la Commissione afferma di non possedere quei documenti, deve dimostrare di averli cercati davvero, e spiegare perché risultano irreperibili. Invece, si è limitata a vaghe dichiarazioni, ipotesi e contraddizioni.
Ursula von der Leyen e Albert Bourla durante una conferenza stampa
La sentenza è una stoccata al cuore della narrativa europea sulla trasparenza. I giudici di Lussemburgo ricordano che tutti i documenti delle istituzioni europee dovrebbero essere pubblicamente accessibili. E non basta dire “non li abbiamo più”: servono prove, spiegazioni credibili, responsabilità istituzionale.
La Commissione ha dichiarato di “prendere atto” della decisione e promette ora una spiegazione più dettagliata. Ha ribadito l’importanza della trasparenza e il proprio “impegno per una comunicazione chiara”.
Intanto, però, gli sms restano un mistero. Un mistero da miliardi di euro.
Ironia della sorte?
In un’Unione che pretende di combattere la disinformazione, la vera minaccia non sono i complottisti… ma la memoria selettiva dei telefoni di Bruxelles.