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di  Michele Petullà

E’ stato presentato oggi, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma, il 1° Rapporto Ital Communications-CensisDisinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione”.

L’obiettivo principale della ricerca è stato quello indagare il rapporto tra informazione e pandemia e di evidenziare il ruolo svolto in Italia dai professionisti delle agenzie di comunicazione nel garantire qualità e veridicità alle notizie e mantenere, così, un sistema dell’informazione libero e pluralista.

Dal Rapporto emerge chiaramente come per la prima volta tutti i media, vecchi e nuovi, si sono trovati nella difficoltà di governare un contesto di improvvisa moltiplicazione della domanda, a causa della pandemia, confermando di avere sempre più bisogno di figure professionali esterne affidabili e competenti.

Informazione, Comunicazione e Società.   La ricerca muove da alcune considerazioni teoriche generali, date ormai per acquisite dalla più recente indagine sociologica, sul rapporto tra informazione, comunicazione, società e conoscenza-rappresentazione della realtà in cui viviamo.

Siamo quotidianamente immersi in un flusso continuo e ridondante di notizie. Non a caso, quella in cui viviamo è stata definita la società dell’informazione e della comunicazione. A differenza di quanto avveniva un tempo, oggi le notizie le produciamo, le condividiamo, le commentiamo. Il più delle volte, però, non ci chiediamo neppure da dove vengono né se sono attendibili. Il web ha allargato la platea del mondo dell’informazione portando più libertà, più protagonismo, più notizie, ma anche meno intermediazione e meno controlli sulla qualità e la veridicità delle informazioni che viaggiano in rete. L’infosfera - l’insieme dei mezzi di comunicazione e delle informazioni da esse diffuse - ­sta letteralmente cambiando il mondo in cui viviamo e il modo in cui ci rappresentiamo la realtà intorno a noi.

Un tempo ad informare i cittadini, ad orientarli, a guidarli nella costruzione di una propria immagine della realtà c’erano soprattutto la carta stampata, la radio, la televisione. Oggi ci sono sempre più, e soprattutto, anche il web e i social media, che rispondono ad almeno tre esigenze ben precise e ben presenti nella società attuale: avere le notizie in ogni momento e in ogni luogo; disporre di una pluralità di fonti informative che esprimono diversi punti di vista; rendere protagonisti anche gli utenti.

Viviamo oramai in una società dominata da un sovraffollamento comunicativo, fatto di tante notizie che nascono e muoiono velocemente, alcune delle quali non sono verificate o sono addirittura inventate, con il grande rischio che anziché accrescere la conoscenza e la consapevolezza di un determinato accadimento, generino ansia, allarme sociale, visioni distorte della realtà e provochino orientamenti e comportamenti che possono avere conseguenze negative sui singoli o sull’intera comunità. Possiamo dire, pertanto, che se quella in cui viviamo è la società dell’informazione per altri versi è anche la società della disinformazione (misinformation) e della credulità.

Perché se è vero che il web è una prateria infinita, è anche vero che ciascuno decide quali sentieri percorrere, che sono fortemente influenzati dal proprio stile di vita, dal proprio modo di pensare, dai comportamenti, dall’orientamento ideologico e dal proprio ambiente di riferimento, per cui i più finiscono per andare a ricercare nel web quelle immagini della realtà che sono più in sintonia con il proprio universo valoriale e che non necessariamente corrisponde alla realtà vera.

E i rischi di andare sul web ma di rimanere fuori dalla realtà vera sono tanto maggiori per le fasce più deboli della popolazione, quelle che hanno minori strumenti per riconoscere e selezionare la veridicità delle notizie e che sono più esposte alle lusinghe di fake news o di notizie parziali e fuorvianti.

La pandemia: tra comunicazione e confusione.   Ma c’è un ulteriore dato che è emerso con forza in questo ultimo anno, dominato dalla pandemia, e dal Rapporto Ital Communications-Censis: anche l’informazione ufficiale e quella veicolata da media tradizionali e dai media online, in presenza di un evento sconosciuto e di portata individuale e globale, può produrre tanta confusione e generare disinformazione.

Questo rischio è tanto più diffuso quanto più le notizie sono specialistiche, settoriali, di difficile interpretazione e hanno delle ripercussioni sui comportamenti collettivi, com’è stato nel caso delle regole da seguire per la prevenzione, la diagnosi e la cura del Covid-19.

La pandemia rappresenta, pertanto, un caso esemplare di come un evento improvviso e sconosciuto, che ha avuto un impatto trasversale sulla vita di tutta la popolazione, scatenando una domanda di informazione inedita a livello globale, possa essere oggetto di una cattiva comunicazione che, nella migliore delle ipotesi, ha confuso gli italiani sulle cose da fare, e in molti casi ha creato disinformazione.

Per la prima volta, infatti, la pandemia ha trovato impreparati anche i media tradizionali, che hanno avuto difficoltà a governare un contesto di improvvisa moltiplicazione della domanda di informazione, in cui hanno giocato un ruolo fondamentale sia la novità della malattia sia i dissidi evidenti e manifesti: tra virologi ed esperti vari su origine e forme del contagio e sulle modalità per tutelarsi e tutelare gli altri; tra autorità sanitarie nazionali, regionali e locali, sulle indicazioni e le cose da fare in caso di sintomi; tra autorità politiche di ogni livello, sulle decisioni rilevanti da prendere per l’emergenza.

I numeri del Rapporto Ital Communications-Censis.   Dal Rapporto emergono numeri e dati abbastanza sorprendenti. Circa 50 milioni di italiani - pari al 99,4% degli italiani adulti - hanno cercato informazioni sulla pandemia: non era mai accaduto prima. E le hanno cercate da diverse fonti, formali e informali, creando un proprio personale palinsesto informativo, in cui media tradizionali e social media hanno avuto uno spazio rilevante.

Al primo posto, 38 milioni di italiani hanno cercato informazioni sul Covid-19 sui media tradizionali, come televisione, radio, stampa. Seguono i siti internet di fonte ufficiale, primi tra tutti quelli della Protezione Civile e dell’Istituto Superiore della Sanità, cui 26 milioni di italiani si sono rivolti per avere un’informazione attendibile su contagi, ospedalizzazioni, decessi. Al terzo posto, circa 15 milioni di italiani, hanno consultato i social network. Al medico di medicina generale si è rivolto un italiano su quattro, 12,6 milioni in valore assoluto, mentre oltre 5,5 milioni hanno chiesto aiuto a un medico specialista e 4,5 milioni a un farmacista di fiducia.

Dalla potenza informativa dei media tradizionali e del web sono rimasti esclusi solo 3,7 milioni di italiani, il 7,4% del totale: di questi, 3,4 milioni hanno consultato altre fonti e 300mila sono rimasti completamente fuori da qualunque informazione.

Per quanto riguarda la qualità dell’informazione prodotta, dal Rapporto emerge che il giudizio degli italiani sulla comunicazione dei media (tradizionali e social) sull’epidemia è sostanzialmente negativo, inappellabile. Per il 49,7% degli italiani, infatti, la comunicazione sul Covid-19 è stata confusa, per il 39,5% ansiogena (il dato sale al 50,7% tra i più giovani), per il 34,7% eccessiva e solo per il 13,9% della popolazione equilibrata.

 

L’Infodemia comunicativa e i suoi effetti: confusione e ansia.   Il Rapporto Ital Communications-Censis ­- secondo Attilio Lombardi, Founder di Ital Communications - “mette in luce come abbia preso piede una pericolosa ‘infodemia comunicativa’, ovvero una circolazione eccessiva di informazioni spesso non vagliate, che ha reso difficile orientarsi tra fonti attendibili e meno attendibili, lasciando spazio alla proliferazione delle cosiddette 'fake news'.

Un sovraffollamento comunicativo che ha aumentato il rischio di generare ansia, allarme sociale e visioni distorte della realtà, conseguenze tanto più diffuse quanto più le notizie sono specialistiche, settoriali, di difficile interpretazione e hanno delle ripercussioni sui comportamenti collettivi: è appunto il caso delle regole da seguire per la prevenzione, la diagnosi e la cura del Covid-19.

Il risultato della cattiva comunicazione e dell’infodemia comunicativa è stato un eccesso di flussi informativi generali, spesso contraddittori, che in molti casi sono stati solo generatori di ansia. Tra i più giovani sono molto elevate le quote di chi ritiene che la comunicazione sia stata sbagliata (14,1% per i 18-34enni e 3,7% per gli over 65enni, a fronte di una media del 10,6%), e addirittura pessima (14,6% tra i millennials, 3,2% tra i longevi).

La comunicazione confusa sul virus, anziché rendere gli italiani più consapevoli, ha veicolato confusione e paura: è di questa opinione il 65,0% degli italiani, quota che cresce tra i soggetti più deboli, arrivando al 72,5% tra gli over 65enni e al 79,7% tra chi ha al massimo la licenza media.

Per quanto riguarda poi la proliferazione delle fake news, gli italiani sono convinti che essa vada arginata e per farlo ritengono che servano misure che pongano in primo piano la responsabilizzazione dei diversi attori che si muovono sul web: il 52,2% degli italiani, infatti, pone l’accento sull’obbligo da parte delle piattaforme di rimuovere le false notizie, mentre il 41,5% ritiene che i social media debbano attivare dei sistemi di controllo (fact checking) delle notizie pubblicate. Prioritario, poi, è avviare campagne di sensibilizzazione e prevenzione sull’uso consapevole dei social.

Pe Domenico Colotta, Presidente di Assocomunicatori e Funder di Tal Communications i dati che emergono dal Rapporto devono fare riflettere molto: in questo contesto, infatti, “è compito anche delle moderne democrazie saper coniugare il diritto alla corretta informazione con l’esigenza dei cittadini di non finire vittime della cattiva informazione”.  

Per Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, “La scelta che è stata fatta durante la pandemia è stata quella di privilegiare una comunicazione disordinata e a forte carica emotiva, sacrificando flussi di informazione affidabili e di qualità”.

 

Il web, regno dell’infodemia e delle  fake news.   Dal Rapporto emerge chiaramente che la Rete, in questo tempo dominato dalla pandemia, è stata il Regno incontrastato delle bufale e delle fake news, diffuse con il ritmo incalzante di una vera e propria bulimia comunicativa. Sono 29 milioni (il 57,0% del totale) gli italiani che durante l’emergenza sanitaria hanno trovato sul web e sui social media notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate su origini, modalità di contagio, sintomi, misure di distanziamento o cure relativi a Covid-19. Effetti evidenti e preoccupanti, molto pericolosi, di una comunicazione senza intermediazione, in cui sono venute meno le barriere d’accesso e mancano i filtri per la verifica o il discernimento della qualità delle notizie.

A questo proposito, per il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria, Sen. Rocco Giuseppe Moles: “E’ fondamentale riconoscere che il ruolo delle piattaforme sociali, strumenti importanti ma in alcuni casi ‘tossici’, pone questioni di carattere giuridico, tecnologico e culturale. I social network oggi tendono a svolgere una funzione impropria, pubblicando in alcuni casi solo ciò che vuole ‘sentirsi dire’ il pubblico. Tutto ciò ci conduce ad un ecosistema chiuso in cui si perde la capacità di discernimento riguardo a quanto accade, soprattutto rispetto alla verità dei fatti. In tal senso, sarebbe indispensabile che i giganti del web cooperassero con i produttori di informazioni per rendere l’ecosistema digitale sempre più sicuro e trasparente. La pandemia può essere la ghiotta occasione per sperimentare modelli sociali e istituzionali del futuro”.

Il ruolo delle Agenzie di Comunicazione contro la cattiva informazione.   La disinformazione e la circolazione di fake news ­- stando alle conclusioni del Rapporto - si combattono con un sistema normativo adeguato alla nuova fisionomia del mondo della comunicazione, stringendo accordi con le piattaforme di comunicazione, promuovendo interventi di sensibilizzazione sull’uso consapevole del web.

Ma è anche necessario restituire spazio e riconoscere il valore sociale dei professionisti della  comunicazione, giornalisti e altri comunicatori che lavorano nella produzione di contenuti e nella costruzione di relazioni, che sono gli unici in grado di coniugare la complessità e il pluralismo delle notizie con la competenza e l’affidabilità della fonte, e che rappresentano un argine che garantisce buone e certificate informazioni e respinge falsità, dietrologie, complotti.

Lo riconoscono gli stessi italiani, che nell’86,4% dei casi preferiscono informarsi su un qualsiasi evento utilizzando i canali di informazione tradizionali, dove operano professionisti, piuttosto che fidarsi di quel che trovano sul web.

Ma i professionisti che lavorano nelle redazioni sono sempre di meno e hanno sempre più bisogno di soggetti che facciano upgrading della qualità dell’informazione. Le Agenzie di comunicazione, in particolare, sono un piccolo plotone di imprese che lavorano al servizio di aziende e amministrazioni pubbliche. In Italia sono attive 4389 agenzie di comunicazione, dove lavorano 8311 professionisti. Si tratta di realtà aziendali in crescita negli ultimi anni (+12,5% dal 2015 al 2020) e aumentate anche nell’annus horribilis dell’epidemia sanitaria (+1,2%). Sono fortemente concentrate nelle aree del Nord del Paese: il 37,0% è nel Nord Ovest, dove si trova anche il 49,3% degli addetti e il 17,2% nel Nord Est, il 21,5% al Centro e il 24,3% al Sud e nelle isole. E’ un microcosmo fatto di realtà piccole e piccolissime, con una media di 1,9 addetti per impresa. A Milano ce ne sono 710 (16,2% del totale), con una media di 4,2 addetti ciascuna, a Roma 400 (il 9,1%), per una media di 1,8 unità ciascuna.

Le Agenzie di comunicazione, pertanto, possono rappresentare validi argini contro la cattiva comunicazione, in quanto “si tratta di operatori chiave,  che mentre lavorano per valorizzare e supportare l’immagine dei propri clienti operano anche per i media e per la qualità dell’informazione veicolata dai media”, come ha riconosciuto Anna Italia, ricercatrice del Censis

 

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Info Autore
Michele Petullà
Author: Michele Petullà
Biografia:
Laureato in "Scienze Politiche e Sociali" presso l'Università di Torino, ho conseguito il Perfezionamento Post-Laurea in "Teoria Critica della Società" presso l'Università Bicocca di Milano ed il Diploma di Alta Formazione in "Comunicazione e Cultura" presso l'Università Lateranense di Roma. Ho seguito il Corso di Formazione annuale per "Redattore-Consulente di Casa Editrice" presso l'Agenzia Letteraria "La Bottega Editoriale" di Roma. Sono Giornalista, iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2010; Sociologo, iscritto all'ASI (Associazione Sociologi Italiani), componente del Consiglio Direttivo Nazionale e Addetto Stampa; Educatore Finanziario AIEF (Associazione Italiana Educatori Finanziari). Sono autore delle seguenti pubblicazioni: "Analisi sociologica dell'Informazione televisiva quotidiana: modelli professionali e routines produttive" (Tesi di Laurea, UniTo); "Un Uomo. Una Storia" (Racconto storico, Adhoc Edizioni); "Dall'Osanna alla Risurrezione" (Saggio, Adhoc Edizioni); "Opinione Pubblica, Stereotipi, Democrazia: il contributo di Walter Lippmann riletto al tempo dei new media" (UniMiB); "Frammenti d'Anima" (Meligrana Editore); "Teorie evoluzionistiche in Antropologia. Modelli e sviluppi", Miano Editore, Milano. Scrittore e autore di poesie, mi occupo in particolare di cultura, attualità e società. Sono interessato allo studio e alla ricerca nel campo delle Scienze sociali ed umane. Amo l'arte in genere ed in particolare la poesia e la musica. Son l'uomo dai mille pensieri, la vita mi mormora parole d'amore e libere le lascio volare, tra la terra ed il cielo!
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