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di  Lorenzo Rossomandi

Lo ammetto…
“Faccetta nera” l’ho cantata anch’io.

Cerco scuse? No. Nessuna scusa. E nessuno ha colpa tranne la mia debolezza.
Erano gli anni ottanta e facevo la terza liceo. Il gruppo era affascinato dalla simbologia fascista. E io non ero abbastanza forte né abbastanza informato per tirarmi indietro. Sapete quando si prende una sbandata di gruppo? Nessuno riesce a fermarsi e nessuno sa di preciso cosa sta facendo.

Ma lo si fa. Perché pochi, a sedici anni, hanno il coraggio e le idee così chiare da andare in senso contrario rispetto al gregge. E io non ero tra quei pochi.

Ma mi ricordo bene la lezione.
Era l’ora di educazione fisica ed eravamo negli spogliatoi. Qualcuno iniziò con le prime due parole a intonare la canzone fascista. Tutti lo seguimmo. In un misto tra goliardico e infantilismo. Ma lo facemmo cantando a squarciagola. Sembrava che quella canzone ci unisse. Era bello. No, non fraintendete, non era bello ciò che cantavamo, ma era bello il modo in cui ci sentivamo un “branco”.

Poi un urlo sovrastò la nostra voce.
Un urlo disperato.
Il prof di ginnastica era sulla porta che urlava di smetterla.
Quello che ci colpì era il fatto che non fosse arrabbiato. Quello che colpì tutti noi era il fatto che ci stesse urlando di smetterla mentre stava piangendo.
Vedere una persona di quasi settant’anni piangere non è per niente bello.
Vedere il tuo prof piangere mentre implora di smettere di fare qualcosa è devastante.

Facemmo silenzio.

Il prof diventò un giovane della nostra età. Piangendo ci raccontò di ragazzi come noi, suoi amici, messi al muro e fucilati. Di ragazze violentate mentre gli altri non potevano far altro che guardare. Di manganelli che spaccavano ossa. Di porte sprangate, di finestre rotte per entrare nelle case di chi non piegava la testa.

Una lezione di cinque minuti. Con le lacrime agli occhi e, a volte, le mani a tenersi la testa.
Non finì con le nostre scuse. Non promettemmo niente.
Finì col nostro silenzio sbigottito. Rimanemmo così, in silenzio, per qualche minuto nello spogliatoio.

Ma quando uscii ero una persona diversa. Probabilmente lo diventammo tutti delle persone diverse.
A volte le lezioni più efficaci non si fanno in classe.

Grazie prof Basagni. Ovunque tu sia adesso.

 

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