×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 128

"Solo chi non canta, non stona", è una delle frasi che ripeteva spesso Ferruccio Casacci, padre del più noto musicista e produttore musicale torinese Massimiliano ma, pure, mentore e maestro di moltissimi professionisti dello spettacolo che nella Torino dal 1955 al 2011 hanno avuto l'opportunità di incontrarlo, di percorrere un pezzo di strada con lui, di scontrarsi con le sue idee e di arricchirsi nel confronto.

Tanti, tantissimi: giovani e meno giovani, soprattutto nel periodo finale della sua esperienza artistica e di vita, che hanno avuto modo di frequentare gli studi prima in Via Po, poi in Piazza Vittorio Veneto e poi in Via degli Artisti, in una Torino in continuo fermento culturale, in continua contrapposizione con l'ombra del padrone nelle fabbriche e sulla collina. E poco importava se col passare degli anni il padrone avesse spostato sedi e stabilimenti produttivi: l'ombra della Fiat e della famiglia Agnelli ha continuato ad avere per molto tempo un'influenza nel tessuto culturale della città della Mole Antonelliana. E lo ricordava bene Ferruccio, compagno di lotte politiche e fratello di Remo, militante del PCI cittadino, attivissimo negli anni della lotta per la conquista dei diritti dei dipendenti dell'industria torinese dell'automobile.

Tantissime persone devono qualcosa all'incontro con Ferruccio Casacci, talmente tante che elencarle tutte sarebbe impossibile. Ciascuna di loro, però, sa come riconoscere quel legame di gratitudine perché almeno una volta, anche solo amichevolmente, lo ha chiamato "maestro".

Penso, innanzitutto, a Massimiliano e ai suoi Subsonica che sono nati proprio tra le mura dello studio di Piazza Vittorio dove padre e figlio condividevano sogni e fatiche artistiche tra montaggi video, sonorizzazioni, produzioni musicali, incontri per allestimenti teatrali e realizzazioni cinematografiche.

Penso ai tanti operatori di ripresa che, stando "a bottega" - letteralmente o metaforicamente - da Casacci, sono poi diventati pilastri della sede Rai di Torino, come Domenico Murdaca o direttori della fotografia di fama internazionale come Roberto Forza (dop de I Cento Passi e molto altro); ai tanti doppiatori e attori, torinesi o di passaggio nel capoluogo piemontese che, almeno una volta, hanno ricevuto un consiglio da Ferruccio se non, addirittura, sono stati diretti in qualche spettacolo, in un film, nella saletta di doppiaggio del suo studio. Alcuni nell'incontro con Casacci hanno affinato la propria arte di raccontare, come per esempio lo scrittore e autore di fumetti per la Bonelli, Pasquale Ruju o i registi Sebastien Carfora, Susanna Nicchiarelli e Alessandro Dominici. E come non dimenticare i montatori che, come Stefano Cravero, hanno inizato la propria carriera tra i caffè e i primi sistemi di montaggio digitale proprio sotto la guida ironica e mai arrogante di Ferruccio Casacci per poi ritrovarsi candidati al David.

Veramente molti, troppi per ricordarli tutti: I Soggetti, Beppe Tosco, Maurizio Laurenti, Laura Righi, Vanessa Giuliani, Gianluca Iacono, Nicoletta Diulgheroff, Barbara Cinquatti, Ivo De Palma, Luca Ragagnin, Pietro Oro, Lello Roppolo, Andrea Zalone, Elvira Sanchez Lopez, Roberto Mare, Adelina Arcidiaco, Stefania Luberti, Claudio Bronzo, Umberto Procopio, Matteo Franceschini, Gero Giglio, Cristina Rigotti, Giuseppe D'oria, Laura Bolognino, Sauro Roma... e tutto un infinito elenco di persone che, con amore, hanno frequentato il maestro.

Ferruccio Casacci era per tutti un amico, un rifugio, un interlocutore per il confronto e la crescita. Certo non sempre aveva la "vista": ricordo quando un giorno rifiutò di lavorare allo sviluppo di un prgetto cinematografico di un giovane la cui sceneggiatura aveva considerato con presupposti troppo costosi: il giovane era Marco Ponti e la sceneggiatura sarebbe diventata Santa Maradona, campione d'incassi.

Ma come diceva sempre, appunto, "Solo chi non canta, non stona".

E Ferruccio Casacci di stonature ne prese parecchie ma, sempre, per non rinunciare al suo desiderio di arte, di spettacolo, di cinema nel sogno dell'indipendenza assoluta; e la sua storia, al contrario di quella di tantissimi suoi "allievi", non è stata una storia di successo, almeno non nel senso che ci si aspetta nell'ambiente dello spettacolo: debiti, progetti arenati, sconfitte, necessità di reinventarsi continuamente, di "fare con quello che si ha e non con quello che manca", di non scendere a compromessi, "di quadagnare di più e non di spendere di meno" (gli ultimi due virgolettati erano altre frasi ricorrenti con le quali sintetizzava la propria filosofia di vita).

Lui era un Don Quijote però e, se anche i nemici non c'erano davvero, spronava la sua realtà "ronzinante" per affrontarli e combatterli, cadeva, facendosi spesso molto male ma si rialzava, invincibile. Tranne quella volta che il nemico c'era, subdolo e tremendo: il cancro.

Ferruccio Casacci si è spento in una notte d'aprile; poco prima di lasciare tutti noi, vedendomi piangere mi aveva lasciato l'ultima lezione dicendomi, con una risata dolorante ma sincera: "Perché piangi? Sono io che muoio". Era aprile quando è morto ma dal momento che era d'aprile anche il giorno del suo arrivo nel mondo, il 28 aprile del 1934, ho deciso di ricordarlo oggi, nel giorno del suo compleanno: perché ciò che ha significato per tutti noi lo dobbiamo al suo esserci stato e non al suo essersene andato.

So che suo figlio ha chiesto a un giornalista di raccontare la storia di questo "professionista sconfitto" ma "vittorioso uomo": sarebbe una storia adatta ai racconti  di Iannacone. Chiunque la racconterà, spero lo faccia presto.

Nel frattempo "Buon Compleanno, Ferruccio Casacci"