di Sergio Melchiorre

Dopo vari tentativi di riprodurre artificialmente le immagini in movimento, fu inventato il cinema. Il 28 dicembre 1895, a Parigi,nel “Salon indien du Grand Café” del Boulevard des Capucines, i fratelli Lumière presentarono a un gruppo ristretto di spettatori sbigottiti i primi cortometraggi della storia della cinematografia mondiale.

La manifestazione ottenne un successo straordinario e la parola Kinēma (“movimento” in greco) entrò nel linguaggio comune della gente influenzando, per intere generazioni, costumi, mode e abitudini.

Lo scopo principale degli inventori della cosiddetta “settima arte” era quella della produzione commerciale dei proiettori che fabbricavano e non quella della commercializzazione dei filmati. Ed è per questo motivo che i film dell’epoca muta sono semplici registrazioni d’immagini riguardanti la vita familiare degli autori francesi.

È soltanto nel film “L’innaffiatore innaffiato” (L'arroseur arrosé), considerata giustamente la prima “gag” della storia del cinema, che assistiamo alla consapevolezza, da parte dell’operatore, dell’efficacia della macchina da presa e dell’attrazione che essa può suscitare nei confronti degli spettatori.

Bisognerà aspettare il Mago di Montreuil, Georges Méliès, e successivamente Griffith e Porter per assistere a vere e proprie “mises en scène”, dove le “riprese da un unico punto” seguono un senso logico e una punteggiatura cinematografica.

I registi intervengono direttamente sulla pellicola, in fase di montaggio, per alterare la realtà e far sì che il cinema diventi quello che è ancora oggi, dopo circa centotrentaanni di vita: cioè un mezzo di comunicazione accessibile a tutti e capace di trasmettere, nel buio di una sala, varie sensazioni e desideri, a volte, inconsci.

 

(Le Voyage dans la Lune, 1902)

 

Il mito di Hollywood, durante l’era del muto, era legato soprattutto all’attività frenetica dei pionieri che lavoravano attorno all’invenzione dei Lumière, come se fosse destinata a scomparire in breve tempo.

Il film muto che maggiormente evidenzia tale euforia è “Maschere di celluloide” (Show people, 1928) di King Victor che fu girato dopo l’avvento del sonoro. Gli attori del mediometraggio (Marion Davies, William Haines, Dell Henderson, Paul Ralli) interpretano abilmente il ruolo di alcuni aspiranti divi impegnati in un meccanismo produttivo cinematografico, che non aveva niente da invidiare a quello dei nostri giorni.

La figura della giovane commediante, recitata da Marion Davies, è ispirata a quella della prima star in assoluto di Hollywood, Gloria Swanson. Altri attori di fama mondiale accettarono di rappresentare sé stessi, come Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks, John Gilbert, il regista William S. Hart e la giornalista Louella Parsons.

Il regista, autore di altri capolavori (La grande parata, 1925, La folla, 1928…), è riuscito nel suo intento di voler mostrare le quinte della lavorazione dei film «dove ogni giorno comici serissimi cerca[va]no di sbarcare il lunario guadagnando risate».

Rimarrà negli annali della storia del cinema la scelta del cineasta di inserire nel film, in una serie di significative “mises en abyme” che dovevano apparire dissacranti in quel periodo, la proiezione di “Bardelys il Magnifico, 1926” (Bardelys The Magnificient, 1926) e l’interpretazione di sé stesso nell’ultima scena di “Maschere di celluloide, 1928”.

Il ritmo del film allo slapstick ha permesso a King Vidor di ricostruire sul set l’atmosfera hollywoodiana, alla soglia del crack economico del 1929, senza dover soffermarsi, a ogni costo, sull’aspetto psicologico di ogni singolo personaggio.«Mi piace immaginare il film come un’opera sinfonica – scrive il regista texano – concepirlo come una creazione musicale. Spesso mi sono servito di questo principio. Intendo cioè stabilire un tema fondamentale, per allontanarmene e ritornarvi con variazioni che finiscono per metterlo maggiormente in evidenza».

“Maschere di celluloide” è un affresco estemporaneo del mondo cinematografico prima della proiezione de “Il cantante di jazz, 1927” (The Jazz Singer, 1927), il primo film sonoro che salverà sì dalla bancarotta la Warner Bros, ma che decreterà ufficialmente la morte del film muto.

 

(The Jazz Singer, 1927)

 

Il film “Il cantante di jazz”diretto da Alan Crosland e interpretato da Al Jolsondescrive alla perfezione il passaggio dal muto al sonoro: fu nominato all'Oscar per il miglior adattamento, mentre la Warner Bros. ricevette dall'Academy un Premio speciale «per aver prodotto il pionieristico ed eccezionale primo film sonoro, che ha rivoluzionato l'industria cinematografica».

André Malraux, in “Esquisse d’une psychologie du cinéma”, afferma che l’adozione dell’uso del suono da parte della settima arte non è stato «un perfezionamento, ma un diverso mezzo di espressione».

In altre parole, la sintesi tra il teatro parlato e il cinema muto…

«Il film parlato - asseriva Louis Jean Lumière - mi sembra l'antitesi dell'arte muta, […] quei personaggi che agiscono sullo schermo a bocca aperta mentre ci arriva la loro voce non si sa da dove mi sembrano tanti ventriloqui disorientati e agitati».

I fratelli Lumière hanno inventato il cinema, i registi americani lo hanno industrializzato e quelli italiani lo hanno “poeticizzato”, perché come affermava Federico Fellini «il cinema è la luce della musica»…

La prolificazione delle piattaforme online operanti nella distribuzione in streaming via Internet di film e serie televisive e, soprattutto, il COVID19, hanno costretto molti cinefili a disertare le sale cinematografiche preferendo guardare i film a casa.

Un aforisma di Mario Monicelli dovrebbe farci riflettere: «Il cinema non morirà mai, ormai è nato e non può morire: morirà la sala cinematografica, forse, ma di questo non mi frega niente».

Il celebre regista, che vinse il Leone d'oro alla carriera alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 1991,haprobabilmente ragione sulla possibile scomparsa delle sale cinematografiche con il passar del tempo ma non sul dispiacere che essa causerebbe sulla psiche di coloro che amano ancora vedere i film nel buio di una sala cinematografica e non sulla poltrona di un salotto.

 

*In copertina: L'arroseur arrosé, 1895

 

Info Autore
Sergio Melchiorre
Author: Sergio Melchiorre
Biografia:
Sergio Melchiorre (poeta, sceneggiatore cinematografico, scrittore di racconti brevi e paroliere), ha scritto cinque sceneggiature cinematografiche. Ha pubblicato tre raccolte di poesie e «Uno di noi», «Rosso purpureo» e «Occhi autunnali». 2015, «Il cacciatore di mosche» vince il 1° posto al Premio Internazionale di Letteratura «Per troppa vita che ho nel sangue – Antonia pozzi», Arese, 2017. 15 ottobre 2017, la lirica «Non cercarmi» ottiene il 1° posto al XXVIII Premio Nazionale «Città di Pinerolo 2017». Il 18 luglio 2019, gli viene conferito dal Comune di Vernole il Premio alla Carriera. Il 06 ottobre 2019, il suo libro «Occhi autunnali» ottiene il 1° posto al Premio Letterario «Città di Pinerolo».
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