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di Anna Maria Stefanini

“La fiera dell’Annunziata nun c’aric’è”. Così si direbbe in viterbese. Il 25 marzo a Viterbo, negli anni prima del Covid-19, era sempre una festa. Oggi, no. Nessuna fiera e niente festa a Viterbo, come lo scorso anno. Si sta a casa, a ricordare.

La fiera dell’Annunziata è una tradizione molto antica. Già dal 1400 i festeggiamenti includevano “una solenne luminaria che prendeva le mosse dall’importante chiesa di Santa Maria in Gradi”. I papi tra l’altro, sin dal ‘200, riconobbero importanti indulgenze alla chiesa in occasione del 25 marzo. 

Da Feliciano Bussi, autore della ‘Istoria della città di Viterbo’ del 1742, apprendiamo che le mercanzie di agricoltori, ambulanti e artigiani venivano esposte fuori le mura della città, nell’invaso che precedeva la chiesa di S. Maria delle Fortezze, una chiesa molto frequentata particolarmente ne’ Venerdi di tutto l’anno.

Si compravano prodotti messi in vendita dai contadini, in particolare il cedro, che, dipinto come agrume, ha sempre valore di simbolo religioso di origine biblica: nel dipinto dell’Immacolata (1510), ecco apparire un bel “cedro” pieno di frutti che sta al posto di un cedro del Libano. Tale albero è simbolo d’ immortalità e di eternità. 

Oggi, più che mai, in piena emergenza della terza ondata di coronavirus, questo albero assume un significato ancora più importante.