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TAVERNA (Catanzaro) - Questo è il periodo della Passione, negli ultimi due anni una vera passione per tutti.
Come sempre, in detto periodo, che corrisponde alla Quaresima, si organizzano ‘A Pigghjata’ oppure ‘A Naca’ o l’Opera, manifestazioni religiose che fanno parte del nostro costume e della nostra vita e che sono incentrate sulla Passione e Morte di Cristo. Non solo qui a Taverna, anche in vari paesi calabresi e non. Ma, come si dice, “ssi cce misu ‘u diavulu” e, quando c’è quello, si può dire addio a tutto, proprio a tutto ciò che si è programmato da mesi (pure anni) con cura, amore e dedizione. Cosicché, anche quest’anno (e chissà per quanto tempo ancora), sarà così.

Quel malefico diavoletto ha sconvolto la nostra vita, ha portato ovunque dolore e afflizione, ha fatto perdere ogni certezza e la sicurezza del domani: chi più, chi meno, ma ognuno teme per la propria vita. Per questo, ogni contatto suscita sospetto, non si è padroni di se stessi e del proprio tempo, via cinema, non più teatri, non partitelle di calcio, non cene con gli amici, non più incontri con i familiari. E un nuovo indumento è entrato prepotente nel quotidiano: la mascherina (il burqua). Maledetto virus! Maledetto covid!
Non più assembramenti pubblici!
Cosicché, ci ha portato via anche le tradizioni, quelle usanze con le quali si è sempre convissuti e che sono parte di noi.
Pertanto, non potrà svolgersi ‘A Pigghjata’, la manifestazione religiosa che simula il tradimento di Giuda nell’Orto degli Ulivi e la ‘presa’ di Gesù mentre prega da solo, operata dalla ‘turba’ romana, capeggiata dal centurione. Sono presenti i grancassari che, preceduti dal suono della tromba, martellano al momento giusto le ‘grancascie’, unendo il suono cadenzato emesso a quello squillante di una tromba solitaria. Un momento recitato veramente toccante. Bellissimi i costumi.
A questa prima schiera di figuranti si uniscono, dopo le funzioni religiose celebrate nella chiesa di Santa Barbara, la Statua famosa di Gesù in Croce (realizzata, si dice, da fra’ Umile o da un suo discepolo), quella di Cristo alla “Colonna” e dell’Addolorata. Il gruppo è completato dagli angeli - deliziosamente vestiti di bianco, azzurro e rosa - collocati in due file parallele. Il suono della tromba e il timbro secco e ritmato delle grancasse riempiono le vie e si propagano per tutto il paese facendo vibrare i vetri dei balconi e delle finestre. A volte tutto tace ed entra in scena il tristissimo suono della banda musicale. E’ uno spettacolo da vedere e da godere.
E la gente, a frotte, si accalca in prossimità dei punti previsti per le cadute di Gesù. Poi, si continua e la processione raggiunge i punti più importanti, si ferma nelle chiese e, infine, rientra in Santa Barbara, ma a sera, con il buio. Il rientro serale è garantito da chi porta ‘u pinnune’, lo stendardo, che sta davanti a tutti e ritarda o velocizza l’andamento della manifestazione. Qui si dice che fa “’nu passu avanti e dui arretu’”.
Il rientro è bellissimo, una fiaccolata che si snoda sul “tracciolinu” – strada dritta dritta – e, fra suoni di tromba e delle grancasse, avviene la terza e ultima caduta di Gesù, proprio sulla piazzetta della chiesa. E, tra la folla acclamante, qualche grancassaro, “per voto”, s’impegna con la mazza nell’impossibile tentativo di squarciare la pelle del proprio secolare strumento, quello che, per quaranta giorni, ha tuonato, assieme agli altri, tutti i venerdì. Il Giovedì Santo, precedente alla “Pigghjata’” del Venerdì, la statua dell’Addolorata, è trasportata con fiaccolata dalla Chiesetta di Portacise, rione di nascita del grande Mattia Preti, a Santa Barbara, con canti e preghiere che si elevano in cielo.
Non potrà svolgersi nemmeno la “Naca”, una manifestazione ripresa da qualche anno che, partendo da Santa Maria percorre quasi tutto il paese. Il corteo si forma man mano che tutti i figuranti escono dalla Chiesa: precedono gli angeli, bianco vestiti e d’azzurro e rosa, posti su due file e, fra esse, le Pie donne, San Giovanni e il Centurione; seguono la Statua di Gesù in Croce e un carro (la Naca), addobbato con fiori bianchi, verdi e rossi sul quale, ai piedi della Santa Croce, giace Gesù deposto; poi, ancora, la statua di Gesù in Croce e quella dell’Addolorata. Il corteo si snoda per le vie principali di Taverna e si ferma nella bellissima chiesa di San Domenico – una Pinacoteca di capolavori di Mattia Preti -, dove si svolge una breve recita. Lungo tutto il tragitto, la banda musicale intona il suo tristissimo suono.
Entrambe le manifestazioni sono gestite interamente dalle Congreghe.
La terza, l’Opera, invece è organizzata da un Comitato di cittadini e non si svolge a cadenze regolari, alcune volte è quasi dimenticata e, quando si sparge la notizia che il suo turno è giunto, il borgo è in subbuglio, è in eccitazione perché c’è sempre un’emotiva attesa di quella rappresentazione pubblica: quante volte, dopo una ‘Pigghjata’, si era chiesto: "Chissà se, questo, è l’anno buono…”.
E la passione travolge tutti. Così, nei mesi successivi, non si parla di altro con una specie di gioco a chi ricorda di più: gli anni delle varie rappresentazioni; i luoghi di svolgimento; gli attori, ricordati con il nome del personaggio interpretato:‘u Signure, Caifas, ‘a Madonna, Erode, Pilatu, Misandru, ecc. ecc.; gli errori di dizione e le dimenticanze di questo o di quell'atro; gli episodi più simpatici.
Ci sarebbe da dire moltissimo su questa manifestazione, che avviene all’aperto, quindi con il rischio che il lavoro svolto per mesi, per la pioggia sia distrutto in un attimo. Prioritaria appare la scelta degli attori, il luogo di svolgimento (con tutti i problemi inerenti alla sua sistemazione per agevolare al massimo la fruizione dello spettacolo), i costumi, gli scenari, la sistemazione del palco. Per non parlare delle snervanti, continue prove serali con il coniugare, da parte dei protagonisti, del ruolo di attore con quello di falegname, sarto, operaio o altro.
Poi, quando giunge il tanto atteso giorno, una folla immensa, proveniente anche dai comuni vicini, gremisce il luogo scelto per la recita.
Quanti colori, quanta allegria… e il silenzio assoluto durante la lunga recitazione, che si protrae per ben 8-10 ore. E gli applausi alla fine di ogni atto con una dolcissima musica che si propaga nell’intervallo fra un atto e l’altro. E le grancasse, che battono ritmate, nei momenti cruciali …
E, poi, a luci spente, la gente che rientra commentando con il cuore, con emozione le scene appena viste e, quasi, vissute:
- il complotto dei Demoni per evitare il sacrificio di Gesù;
- il commovente incontro di Gesù con Maria: una madre che apprende dal figlio il sacrificio che dovrà compiere per la redenzione del mondo;
- l’animato Consiglio di Caifas, con Giuseppe e Misandro, sempre pronti a guerreggiare;
- la consegna dei trenta denari a Giuda per il suo tradimento;
- l’Ultima Cena, con quell’aria di mistero e la tragica realtà "... qualcuno dei presenti mi tradirà
- l’Orto del Getsemani: Gesù lasciato solo dai discepoli dormienti e il bacio del traditore;
- il tragitto della condanna (Sinedrio - Pilato - Erode) e la negazione di Pietro: l'apostolo che rinnega, per tre volte, il suo Maestro;
- la Flagellazione e la Derisione di Cristo, e la definitiva condanna;
- La Madonna, distrutta dal dolore, con le Pie donne sulla strada del Calvario, e l'aiuto del Cireneo;
- Gesù, issato sulla Croce, e l'emozionante pentimento di Giuda;
- Gesù sulla croce: la divisione delle sue vesti, l'intervento dei ladroni, la sua morte: il mondo che trema, fra tuoni e lampi, e gli spietati carnefici (Nitzech, Misandro, Longino) che si pentono;
- Gesù è deposto e la Madonna ‘canta’ il suo dolore.
Tradizioni, queste, che ci devono far riflettere sul loro significato, sia umano sia religioso, e far pensare ai mali del mondo e sul nostro piccolo, impercettibile, personale contributo per alleviarli.
Il sipario su di esse, per questi due terribili anni, si è chiuso. Ora, con il concorso di tutti, dovrà essere chiuso, un altro sipario: quello del Covid. Tutti uniti lo supereremo e, anche se ‘il malefico’ vivrà ancora trasformandosi, l’uomo e la sua scienza lo metterà all’angolo. Cosicché potremo riprendere la nostra vita.

Biagio Amelio