di Sergio Melchiorre

Il termine fotografia deriva dall’unione di due parole greche: luce (φçῶς, phṑs) e grafia (γραφή, graphḕ), per cui fotografia significa "scrittura di luce".

 «Niépce inizia le sue ricerche nel 1814 e fissa i suoi primi “points de vue” -  scrive Alfredo De Paz nel suo libro “La fotografia come simbolo del mondo” -  verso il 1824. L’ottico parigino Chevalier, nel 1826, comunica la scoperta a Daguerre che, dopo averla migliorata, la rende pubblica il 7 gennaio 1839».

In realtà, Joseph Nicéphore Niépce aveva già scattato  la prima foto al mondo il 9 febbraio 1826 (“Vista dalla finestra a Le Gras”) e per essere più precisi non si trattava esattamente di una fotografia vera e propria ma di  una eliografia su lastra di stagno.

Comunque, nonostante la divergenza che divide tuttora gli studiosi sulla denominazione esatta dell’opera d’arte,  essi  concordano tutti nell’affermare che l’esposizione possa essere durata addirittura otto ore.

 «Fotografare – scrive Henry Cartier Bresson - è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace: a questo punto l’immagine diventa una grande gioia fisica ed intellettuale».

 La fotografia, dal punto di vista antropologico, studia il comportamento dell’uomo in un preciso momento della sua esistenza, fissando sulla pellicola l’espressione che meglio corrisponde al suo stato d’animo.

La fotografia, scrive Roland Barthes nel suo libro “La camera chiara”, è la «morte piatta», dove interagiscono, all’unisono, l’operator (il fotografo), lo spectator (l’osservatore) e lo spectrum (la ferita che la fotografia suscita in lui).

La fotografia diventa arte quando riesce a coinvolgere emotivamente lo spectator.

Il coinvolgimento (individuale) di una persona davanti a una fotografia è sempre vincolato al modo in cui riesce a materializzare, in concreto, il concetto di astrattezza che l’opera riesce a presentare sotto forma di ricerca personale e di sperimentazione artistica.

Non si può non tener conto che questo fattore, se si vuole dare un valore all’impegno sociale che si cela spesso sotto ogni tentativo di riproporre argomentazioni nuove.

La fotografia non è soltanto il frutto di un procedimento meccanico, d’altronde abbastanza semplice, ma dell’abilità soggettiva di interpretare gli avvenimenti quotidiani.

Anche la più banale delle sensazioni può apparire “grandiosa” se vista in un certo modo: la sensibilità svolge un ruolo importante nella decodificazione del significato di ogni cosa.

Ciò che cambia non è il soggetto, ma il modo di percepire la realtà…

Abbinare la fotografia allo strumento che riesce a realizzarla, è un grave errore in cui non bisognerebbe mai cadere, poiché nella sua storia sono frequenti le esperienze che hanno escluso l’uso di tali sussidi per realizzare capolavori d’indubbia fama mondiale.

Gli splendidi “fotogrammi” di Luigi Veronesi, Christian Schad, Man Ray e Lá szló Moholy-Nagy, anche se in maniera diversa, ne sono la dimostrazione più palese…

  

Oggi, fotografare la realtà diventa sempre più difficile, poiché essa è in continua evoluzione…

L’essenziale non è individuare l’evento singolare, che si presenta davanti all’obbiettivo, ma riuscire a decifrarlo. L’arte della fotografia è sempre più legata al mondo della moda, del cinema e della pubblicità, ma non si può distoglierla, neanche per un attimo, da quello dello studio e della denuncia sociale, in quanto tradiremmo i motivi per i quali fu inventata: la democratizzazione e la diffusione dell’opera d’arte attraverso la scoperta più straordinaria del XIV secolo.

 Molti appassionati di fotografia si chiedono spesso chi sia stato il più grande fotografo del mondo? Secondo Roland Bartres è Nadar (pseudonimo di Gaspard-Félix Tournachon).

 

  (Madame Nadar) 

 Sono sicuro che Nadar  si rivolterebbe nella tomba se vedesse i milioni di persone nel mondo che si fanno i selfie in continuazione perché, come scrive Fabrizio Caramagna, «se nello smartphone venisse introdotta una pistola segreta che spara un colpo ogni volta che si scatta un selfie, l’umanità si estinguerebbe nel giro di poche ore».

  Nella foto di copertina: Joseph Nicéphore Niépce e Louis-Jacques-Mandé Daguerre

 

Info Autore
Sergio Melchiorre
Author: Sergio Melchiorre
Biografia:
Sergio Melchiorre (poeta, sceneggiatore cinematografico, scrittore di racconti brevi e paroliere), ha scritto cinque sceneggiature cinematografiche. Ha pubblicato tre raccolte di poesie e «Uno di noi», «Rosso purpureo» e «Occhi autunnali». 2015, «Il cacciatore di mosche» vince il 1° posto al Premio Internazionale di Letteratura «Per troppa vita che ho nel sangue – Antonia pozzi», Arese, 2017. 15 ottobre 2017, la lirica «Non cercarmi» ottiene il 1° posto al XXVIII Premio Nazionale «Città di Pinerolo 2017». Il 18 luglio 2019, gli viene conferito dal Comune di Vernole il Premio alla Carriera. Il 06 ottobre 2019, il suo libro «Occhi autunnali» ottiene il 1° posto al Premio Letterario «Città di Pinerolo».
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