L’Italia continua a rimandare l’appuntamento con la Sugar Tax. L’ennesimo slittamento, deciso dal Consiglio dei ministri il 20 giugno, rimanda a fine 2025 l’entrata in vigore di una misura nata per proteggere la salute pubblica, ma osteggiata da industria e politica.
di Fiore Sansalone
A distanza di cinque anni dalla sua introduzione nella legge di Bilancio del 2020, la Sugar Tax è ancora al palo. Quello approvato venerdì scorso è il nono rinvio: la tassa sulle bevande zuccherate, promossa originariamente dal governo Conte durante l’era giallo-verde, doveva entrare in vigore nel pieno della pandemia. Ma da allora, di proroga in proroga, non ha mai visto la luce.
L’ultimo stop arriva con il cosiddetto decreto Omnibus, approvato il 20 giugno in Consiglio dei ministri. Il Ministero dell’Economia ha trovato nuove coperture per posticipare ulteriormente l’entrata in vigore dell’imposta, che viene così rimandata almeno fino a gennaio 2026.
La Sugar Tax divide da tempo il dibattito politico. I partiti della maggioranza di governo – in particolare Lega e Forza Italia – la considerano una misura "ideologica, iniqua e dannosa". Non è un mistero che il vicepremier Antonio Tajani abbia caldeggiato il rinvio di un anno, sottolineando i possibili danni economici per le imprese italiane, in particolare quelle legate al settore agroalimentare.
Come funziona la Sugar Tax
Nel suo assetto attuale, la tassa prevede un'imposta di 10 euro per ettolitro di bevande zuccherate pronte da bere, e di 0,25 euro al chilo per i prodotti da diluire. In pratica, verrebbe applicata a un’ampia gamma di soft drink e prodotti contenenti zuccheri aggiunti: cola, aranciate, tè freddi, limonate, succhi di frutta industriali, ma anche bevande a base di cereali e latte zuccherato.
L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere abitudini alimentari più sane, scoraggiando il consumo di prodotti ritenuti nocivi per la salute pubblica. L’eccesso di zuccheri raffinati è infatti tra i principali responsabili di obesità, diabete e altre patologie croniche.
La reazione delle imprese non si è fatta attendere. In particolare, Assobibe, l’associazione che rappresenta i produttori di bevande analcoliche, ha espresso forti preoccupazioni. Secondo le stime dell’associazione, l’applicazione della Sugar Tax comporterebbe perdite superiori ai 2,2 milioni di euro, con costi mensili per le aziende tra i 25.000 e i 90.000 euro.
Il timore è che l’introduzione della tassa possa tradursi in un aumento dei prezzi al consumo, un calo delle vendite, e perfino ricadute sull’occupazione nel settore.
L’Italia, in questo senso, continua a marciare in controtendenza. Paesi come Francia, Spagna, Regno Unito, Ungheria, Colombia e Messico, oltre a diverse città americane, hanno già adottato misure simili con l’intento di tutelare la salute pubblica. In molti casi, l’introduzione di una sugar tax ha prodotto effetti positivi: riduzione del consumo di zuccheri, maggiore consapevolezza dei consumatori e incentivo alla riformulazione dei prodotti da parte delle aziende.
Per il momento, la risposta del governo italiano sembra orientata al no, o quanto meno al “non ora”. Ma la discussione resta aperta, e forse sarà solo rimandata di qualche mese. La sfida è trovare un equilibrio tra tutela della salute e sostegno al sistema produttivo, senza trasformare una misura sanitaria in uno scontro ideologico.