di Fiore Sansalone
Le urne si sono chiuse, lo spoglio è in corso, ma l’esito appare già chiaro: nessuno dei cinque referendum ha raggiunto il quorum previsto dalla legge. Con una partecipazione ferma attorno al 30%, si chiude così una consultazione che, sebbene tecnicamente fallita, lascia sul terreno riflessioni e polemiche che travalicano la contingenza del voto.
Si votava su cinque quesiti: quattro riguardavano il mondo del lavoro, uno la riforma della legge sulla cittadinanza italiana. La soglia del 50% più uno degli aventi diritto non è stata superata, rendendo i risultati non vincolanti.
Il dato sull’affluenza: Toscana ed Emilia-Romagna in testa
Secondo i dati parziali diffusi dal Ministero dell’Interno, la media nazionale dell’affluenza si è fermata al 30,3%, con significative differenze territoriali. La Toscana ha guidato la classifica con il 39,1%, seguita dall’Emilia-Romagna (38,1%) e dalla Liguria (34,9%). In coda, il Trentino-Alto Adige, con appena il 22,2%.
In alcuni piccoli comuni, tuttavia, si è raggiunto il quorum, tra cui Fabbrico (RE) con il 52,86%, Sesto Fiorentino (FI) con il 53%, e Paciano (PG) con il 51,38%.
Le reazioni: tra esultanza e recriminazioni
Il centrodestra ha accolto con soddisfazione i dati. Per Fratelli d’Italia, “l’obiettivo vero dei promotori era far cadere il Governo Meloni, ma a cadere è stata la sinistra”. Il sottosegretario Fazzolari ha parlato di un esecutivo “più forte che mai”, mentre il leader della Lega Matteo Salvini ha parlato di una “enorme sconfitta per una sinistra senza idee”.
Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio, ha rilanciato l’idea di una riforma della legge sui referendum, ritenendo “irrazionale” il meccanismo attuale: “Abbiamo speso milioni per le schede degli italiani all’estero, molte delle quali sono tornate bianche”.
Dal fronte opposto, Riccardo Magi (+Europa), tra i promotori del quesito sulla cittadinanza, ha riconosciuto la sconfitta tecnica ma non politica: “Ha vinto l’astensionismo, ma non ci sentiamo sconfitti. Abbiamo rimesso al centro il tema della riforma della cittadinanza”.
Anche Carlo Calenda ha puntato il dito contro l’impostazione ideologica della campagna: “Il referendum è diventato un sondaggio politico, un boomerang per il centrosinistra che si fa trascinare da Landini e Conte”.
Secondo un’analisi di YouTrend, i comuni dove l’affluenza è stata più alta sono quelli con una maggiore percentuale di laureati e di cittadini stranieri residenti. Si è votato di più nei grandi centri urbani del Centro-Nord, mentre la partecipazione è crollata nei piccoli centri e nelle regioni meridionali.
Il dato più eloquente di questa tornata referendaria non è tanto la mancata validità dei quesiti, quanto la profonda crisi della partecipazione democratica. Se è vero che i referendum abrogativi non sempre si prestano a semplificazioni su temi complessi come il lavoro o la cittadinanza, è altrettanto vero che lo strumento è diventato ostaggio delle contrapposizioni politiche.
Trasformare un referendum in un plebiscito contro o a favore del governo finisce per svuotarne il significato originario: quello di consultare direttamente i cittadini su una scelta precisa. Il rischio è che, di fronte a una politica che sembra parlare solo a se stessa, cresca il muro dell’apatia e dell’indifferenza, e che il silenzio delle urne diventi più assordante di qualsiasi slogan.