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La diversità è l’unica bellezza intellettuale che distingue il medesimo pensiero passivo da primizie individuali ardite.
Il crudele pensiero immutabile, indolente, narcisista, diverge dalla naturale, mutabile e modesta relatività. Senza vincoli ridondanti e stanze con porte.
Chi giudica?
Chi bullizza?
Chi fa del suo indice un’arma e del suo pensiero un mandante?
Gli esecutori non sono forse coloro che desistono al generico, univoco e petulante modo di pensare?
Perché emarginati?
Perché scuciti dalla loro stima e cuciti in orli imbastiti di insicurezze?!
Forse potremmo essere noi Joker o potremmo essere gli stessi che hanno forgiato dei mostri attraverso i nostri comportamenti.
Risposte che si delineano nel film Joker del regista Todd Phillips.
Capolavoro e vincitore di due premi Oscar.

In questa foto:
Joaquin Phoenix, l’attore che ha interpretato Joker.
Un ragazzo deriso, bullizzato dalla società.
Indotto al margine, all’isolamento sociale, reso “folle” dal suo vissuto.
Dietro una maschera di clown, il suo intento: far sorridere. In quel medesimo sorriso, divenuto un’isterica risata provocata da un tic nervoso, è stato lentamente lasciato in balia della sua malattia”.

“La cosa peggiore della malattia mentale è che tutti si aspettano che tu ti comporti come se non l’avessi”.

La società, l’indifferenza o la sua uguale differenza intellettuale ai pochi diversi uguali, ha lasciato divenire morte la rabbia e l’audacia di una dissomiglianza o difformità che li ha resi speciali,
Accettati solo se divengono violenti e invisibili se scomodi.
Le loro intelligenze, sporadiche e visibili per pochi, fatte da sorrisi come risposte esaustive, sono perle senza guscio.
La diversità che poi non è altro che un comportamento o un atteggiamento gioioso, libero e intelligentemente fanciullesco, è considerato strano o “ folle”.

La pazzia: una voce flebile che penetra tacita nei meandri della ragione per poi farsi eco nelle azioni.
In questo film ho riscontrato questa linea sottile, questo piccolo divario che separa la ragione con la pazzia, perché in questa trappola potremmo caderci tutti.

Concludo con una mia poesia.

PAZZIA

Lentamente ti inietti
imbevi la mia sanità
la sbucci
come ossa senza pelle.
L'estremità del mio pensiero
si ricurvano dentro me.
Uncini
bucano la mia coscienza.
Irriverente
penetri i miei approcci
rastrelli le mie proiezioni
parli con me
ma
senza di me.