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Monica Biaggini, impiegata in un Ipermercato genovese da 22 anni


Dopo che è trascorso quasi un anno da quel maledetto giorno posso affermare che...

È così che inizia la sua intervista a “due mani”, lei una delle tante cassiere addette di ipermercato, che si sono trovate ad essere travolte, in ogni aspetto del proprio essere, da questo flagello per l’umanità intera chiamato “COVID”.

- Quando ti sei resa conto che questa sarebbe stata una situazione poco gestibile e che stava scappando di mano?
«Faccio l’addetta alla cassa in questo ipermercato ligure da circa 22 anni e di situazioni “difficili” ne ho visto ed attraversato più di una, un esempio per tutti è quello del crollo del “ponte Morandi” con tutte le conseguenze che ha avuto, umane ed economiche, questa situazione però aveva un altro “sapore” era meno gestibile. Ci siamo trovati, i primi giorni dall’inizio della pandemia, a dover gestire una quantità di clienti altissima, clienti presi da una “smania” di corsa alle provviste, una fobia di accaparramento di ogni tipo di derrata alimentare, farina lievito erano diventati i più gettonati e introvabili, tra gli scaffali sembrava fosse scoppiata la guerra, non si aveva nemmeno il tempo di caricare la merce».

- Cosa hai pensato in quel momento?
«Ad essere sincera il tempo per pensare era poco, le sensazioni erano altalenanti, si rincorrevano, si aggregavano e si intricavano a seconda di quello che ci giungeva alle orecchie dai vari mezzi di comunicazione, la paura comunque prendeva sempre il sopravvento, si cercava di tutelarci in qualche modo con dispositivi di fortuna (mascherine, guanti, disinfettanti) arrivando alla fine di ogni turno stanchi e stremati».

- Hai parlato di paure; quali sono prevalse e quali ancora ti stai portando dietro?
«Si aveva paura per noi ma soprattutto per i famigliari che erano a casa, figli genitori, avevamo paura di portarlo a casa il “COVID”. La paura era la nostra e anche quella della gente, quella gente che affollava ogni giorno le corsie dell’ipermercato, che si proteggeva con dispositivi di fortuna, mascherine fatte con carta da forno coperti perfino con sacchetti dell’immondizia; una cosa però ci accomunava: avevamo, tutti, lo sguardo smarrito. Era la paura dell’ignoto, dello sconosciuto, quel virus venuto da lontano del quale poco o niente si sapeva. Le paure continuano ad esistere, il virus muta, le varianti sono tante e non si vede per ora la luce in fondo al tunnel».

 

 

- Come ti sei / ti hanno tutelata?
«Devo dire che all’inizio c’è stata un po' di confusione non si sapeva cosa fare, che comportamento tenere, devo dire però che l’azienda per la quale lavoro ha cercato subito di trovare protezioni e soluzioni per mettere in sicurezza sia i suoi dipendenti che i clienti, e ancora oggi lo sta facendo cercando di stare al passo con tutte le regole imposte giornalmente. Ha investito in barriere di plexiglass, in dispositivi sanificanti, creato percorsi mirati, segnaletiche orizzontali e verticali, ecc.. Non è stato semplice adattarsi, anzi molti ancora oggi a distanza di un anno fanno fatica. C’è stato un enorme potenziamento dei servizi alternativi tipo taglia coda locker drive».

- Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«In primis mi ha lasciato la consapevolezza che la nostra “normalità” è andata persa, quella libertà che ognuno di noi non si rendeva neppure conto di avere. E’ stata ed è ancora una esperienza forte che mi ha fatto apprezzare di più alcuni lati della vita, come tutto può cambiare all’improvviso, come sia importante un abbraccio, una carezza, un sorriso. Ho imparato a guadare le persone negli occhi, anche se spesso in alcuni di loro leggo ancora rabbia e frustrazione. In contrapposizione a questi, tanti sono stati i clienti che ci hanno ringraziato per il nostro servizio, svolto sempre con la massima professionalità nonostante tu tto».

- Cosa speri?
«La mia speranza è quella di tutti, uscire presto da questo brutto sogno, di tornare presto alla normalità, spero che nessuno muoia più a causa di questo virus e come “anima sola senza saluto”, spero che i vaccini siano a disposizione di tutti, in primis delle categorie a rischio (dottori, infermieri, professori, ecc..), ma che per una volta si pensasse, senza nulla togliere alle categorie sopra, che anche noi addetti di supermercato siamo giornalmente a rischio. Spero che l’economia si rialzi ridando lavoro a chi da un giorno all’altro si e trovato a non averlo più. Realisticamente però mi rendo conto che il sistema forse non abbia ancora certezze, che non ci sia ancora la garanzia dei vaccini per tutti, insomma che la strada purtroppo sia ancora lunga e tortuosa. Concludo con un ringraziamento a tutti quelli che da un anno operano in prima linea e un pensiero a chi purtroppo non ce l’ha fatta».

Monica Maria Biaggini