di Monica Vendrame
Certe partite non finiscono con il punteggio. Ti restano addosso. Ti accompagnano per ore, per giorni. Ti tolgono il fiato e poi ti regalano un silenzio pieno, quasi sacro. Quello che resta dopo la bellezza, dopo l’orgoglio, dopo il dolore. È in quel silenzio che nasce questa riflessione. Perché sì, abbiamo perso. Ma abbiamo anche vinto qualcosa che va oltre il trofeo. Abbiamo visto un ragazzo tenere testa al mondo intero con la dignità di un re e il cuore di un bambino. E non possiamo far finta di niente. Non oggi.
Non è stata solo una partita. È stata un uragano travolgente. Cinque ore e ventinove minuti di pura tensione, emozione, bellezza sportiva. All’ultima goccia di energia, Jannik Sinner ha lottato contro tutto: Alcaraz, la fatica, i crampi e un pubblico francese visibilmente schierato – quasi “in Spagna”, tanto erano spudorati gli applausi agli errori dell’italiano e i disturbi nei momenti più delicati del servizio.
Eppure lui… immobile, centrato, superiore.
Jannik non ha fatto una piega.
Ha giocato con la testa, con la mano e con il cuore. Con quella grazia innata di chi sa essere campione senza bisogno di clamori. Ha comandato il gioco per due set e mezzo, ha risposto profondo, ha sbagliato poco, ha incantato. Era avanti. Era lui il protagonista assoluto.
Ma il tennis, si sa, è anche fatto di dettagli, di frammenti che possono ribaltare tutto.
Alcaraz è stato bravo a restare dentro il match. I crampi sono arrivati anche per lui. Ma la differenza l’ha fatta quel momento sospeso tra il terzo e il quarto set, quando il vento ha cominciato a soffiare dalla parte dello spagnolo e il pubblico ha iniziato a spingere, disturbare, quasi ad accanirsi contro il nostro Jannik.
Nel quarto set, quando sembrava ormai esausto, Sinner si è rimesso a volare. Colpi impossibili, recuperi disperati, lucidità da vero numero uno del mondo. Ha avuto tre championship point contro. Li ha annullati. E ha ottenuto un contro-break straordinario nel quinto, quando ormai sembrava tutto perso.
Ci ha riportati lì, a un passo dalla gloria. Fino all’ultimo. Fino al super tie-break.
E in quel super tie-break, dove tutto si decide in un battito di ciglia, Jannik è rimasto Jannik: corretto, leale, lucido, profondamente umano.
Non ha vinto. Ma non ha mai perso se stesso. E questa è una vittoria che vale molto di più.
Le sue parole, dopo la partita, sono state l’esempio più alto di sportività, umiltà, amore per il gioco:
“Abbiamo dato tutto. È difficile accettarlo, ma è stato un torneo straordinario. Non dormirò molto bene stasera… ma va bene così.”
E in quelle parole c’è tutto Sinner.
Nessuna scusa. Nessuna polemica. Solo la consapevolezza di aver fatto qualcosa di grande, anche se non è bastato per alzare il trofeo.
Siamo orgogliosi di lui non per il risultato, ma per come ci è arrivato. Perché chi ti emoziona così, quando perde, merita più ammirazione di chi vince.
Perché, anche con i crampi, ha avuto la lucidità e la forza mentale di restare lì, al millimetro.
Perché mentre gli altri urlavano, lui giocava. Mentre gli altri disturbavano, lui si raccoglieva. Mentre tutto sembrava contro, lui teneva la barra dritta.
Sinner è il nostro orgoglio. È l’atleta che rappresenta il meglio che possiamo offrire: talento, rigore, rispetto, passione.
Non sarà stata una vittoria. Ma è stata una lezione. Per tutti.
E ai francesi – e non solo – resta solo da guardare dentro la propria piccolezza, perché l’unica cosa che ieri davvero stonava nel teatro della bellezza tennistica…era il pubblico.
Jannik invece resta lì. Con la sua semplicità disarmante. Con quel talento che parla da solo. Con quella “normalità” che incanta più dei fuochi d’artificio.
E se oggi, fa male, lasciateci soffrire. Ma fatelo in silenzio. Perché questo dolore è anche orgoglio.