di Francesco Antonio Fagà

Conobbi Giovanni Pansino, io da bambino, nell’ottobre del 1968.

Nella casa di Zia Teresina mi recai con mio padre e mia madre a conoscere uno “Zio d’America”, in visita nella sua terra natale, dopo ben 32 anni di immigrazione.

La scena rimane indelebile nella mia mente, l’atmosfera gioiosa di sedie impagliate disposte a cerchio e zia Teresina che passava compita a distribuire biscottini di anice (anissette) e “bicchierini” di liquore per me imbevibili. Le donne e le ragazze con vociare sommesso e mormorato guardando ammaliate “Lui”, Giovannino Pansino, al centro della scena, nel suo vestito grigio, elegante, bello, a modo, e che rispondeva alle tante domande dei parenti maschi, gli unici autorizzati dalla morale del tempo a rivolgere domande …

Rispondeva a tutti Giovannino, raccontava dell’Argentina, dei suoi genitori degli altri parenti che vivevano a La Plata, ma poi catturò definitivamente la mia attenzione quando raccontò che era di appena ritorno dalla città inglese di Manchester, dove aveva seguito, in qualità di Dirigente della squadra argentina dell’Estudiantes di la Plata, l’incontro della finale calcistica della Coppa Intercontinentale tra il Manchester UTD ed appunto l’Estudiantes dlp; per me, che già seguivo sin d’allora, con la passione che mi accompagna da tutta la vita, le vicende calcistiche, ritrovarmi di fronte al Dirigente di una squadra famosa e finalista mondiale, i cui risultati già studiavo e ristudiavo sui giornali sportivi, fu, in quel momento, l’apoteosi … . Giovannino naturalmente, di quei momenti di quell’ottobre ’68, a Sambiase, ricorderà in seguito solo gli spudorati corteggiamenti delle ragazze presenti, e solo dopo tanto tempo, 25 anni dopo, avrei avuto modo di riparlare con lui di quell’incontro in cui ero, ai suoi occhi, un piccolo bambino tra i tanti presenti.

Il momento di quei tempi, era per Giovannino, uno dei suoi massimi punti di successo: Ingegnere ai vertici di prestigiose Imprese pubbliche argentine, bello con il fulgore dei suoi 39 anni splendidamente portati, aveva già iniziato a girare per il mondo; un uomo all’apice del successo; ma Giovannino veniva da lontano, da molto lontano. La sua storia è interessante, quasi un film, perché parte dal terribile momento del distacco dalla Calabria e si lascia attraversare sul piano personale dagli eventi tragici di quel paese incredibile che è l’Argentina; in questo senso raccontare la storia personale di Giovannino Pansino è raccontare gran parte degli ultimi 70 anni di storia argentina visti dagli occhi di un eterno emigrante.

Giovannino Pansino nasce, secondogenito, a Sambiase il 29 Luglio del 1929, da Bruno e Rosa Maria Iannazzo; nel 1933, a Sambiase, come in Calabria, la situazione economica è difficile, così il padre Bruno, calzolaio, decide di partire per l’Argentina lasciando a casa la moglie Rosa in attesa della terzogenita Teresa, la prima figlia Ines ed il piccolo Giovannino.

Nonostante la grande povertà, Giovannino conserva un ricordo di un’infanzia felice a Sambiase, dove la mamma Rosa, per integrare i pochi soldi che il papà mandava dall’America, si dedicava con dignità ed onestà ad umili lavori; così racconta Giovannino in una delle sue tante lettere: “Mamma, vera calabrese, lottava come una leonessa perché non mancasse niente ai suoi figli e faceva il possibile. Fece da maestrina – nonostante la terza elementare – ricamatrice, andava a vendemmiare, raccoglieva olive e fichi, e tutto quello che le consentiva di guadagnare fosse anche un solo centesimo. Papà mandava pochi soldi dall’America”.

Nonostante questo, Giovannino era felice nella sua infantile incoscienza: nonostante i pezzi di pane duro regalati dalla nonna e le tante minestrine di cicoria; quella che soffriva di più, perché si rendeva conto, era la sorella maggiore Ines.

Ho sentito più volte il racconto straziante della partenza di Giovannino, ogni volta mi si riempiono gli occhi di lacrime; ve lo racconto traducendolo da una delle sue tante lettere e, credetemi, mi sembra di sentire dalla sua stessa voce: “In un giorno del 1936, la mia buona Maestra, di cui non ricordo il nome, in maniera solenne disse: << Alunno Pansino, vieni qui di fronte >> .. ed io mi alzai. Di fronte a tutta l’aula lei pronunciò: << Oggi salutiamo il piccolo compagno Pansino, perché va via; se ne va molto lontano, attraverserà il grande oceano fino ad arrivare a Buenos Aires, dove vive suo padre >> … Non capivo niente, io me ne andavo!! E così fu, in un pomeriggio scuro e con tutta l’acqua del cielo che cadeva improvvisamente, con  tutta la mia famiglia, con le torce accese, camminando sotto la pioggia battente, raggiungemmo Sant’eufemia per prendere il treno. Le grida ed i pianti strazianti si udivano nella sera triste della mia cara Sambiase. Non immaginavo che in quel momento potesse finire la mia vita in Italia. Raggiungemmo Napoli in treno, da lì, dopo 2 giorni una nave ci portò a Genova dove imbarcammo a bordo del transatlantico AUGUSTUS.

Bella nave .. ma noi viaggiavamo in terza classe. Durante i 16 giorni, quella fu la nostra casa, con tutti i rischi nel 1936 di attraversare l’Oceano Atlantico. Mia mamma e mia sorella maggiore piangendo, la mia sorella più piccola ed io facendo tutto le birichinate  possibili alla nostra età, ma io avevo una responsabilità in più, ero l’unico maschio della famiglia e dovevo proteggere l’onore delle mie donne e lo difesi dagli ubriachi e dai ladri puzzolenti che avevano cattive intenzioni.

Il sedicesimo giorno, mamma ci disse << Andiamo in coperta perché siamo arrivati a Buenos Aires>>. Guardavamo assorti come la nave manovrava l’attracco nel porto. Quando la nave si fermò, mamma ci disse : << Vedete quell’uomo che sta fermo appoggiato a una colonna? … Quello è vostro padre>>. A 6 anni e mezzo avrei conosciuto mio padre!!

Dopo della trafila, scendemmo, per la prima volta avrei baciato mio padre. Quando fummo vicini, mio padre abbracciò e baciò mia madre, poi Ines, poi Titina e quindi io mi chiesi << ed io che faccio, non c’entro? Sono il figlio di mezzo … >> .. o perché mi colpì il fatto o per gelosia, gli presi una gamba e lo colpì con un calcio per richiamare la sua attenzione. Accadde quel che un bimbo sente a quell’età: essere protagonista. Quindi sì, per la prima volta baciai mio padre.

Attraversai  l’Hotel dell’immigrante con passi corti e rapidi, per la prima volta per la mano di mio padre, con i miei calzini di filo tessuto e le mie scarpe con le “tacce”,  ancora piene di terra calabrese. Anche essendo un bambino pensai che ero uno dei tanti di quelli che lasciano tutto per non incontrare niente. Ma portavo con me la nervatura e la durezza dell’uomo del sud, del “terrone”. Ero un portatore del carattere duro del calabrese testardo.

In un camioncino viaggiammo da Buenos Aires a La Plata e quando arrivammo alla nostra casa in affitto, era pieno di gente che ci guardava come insetti rari. Da quel momento lasciai di essere Giovannino per convertimi nel “Tano de mierda” (Tano è il dispregiativo argentino per gli italiani . ndt).”

 

Come è facile immaginarsi, per un bambino che non conosceva la lingua, in terra straniera l’infanzia ed il vivere quotidiano non furono facili.

Racconta Giovannino: “Quando mi affacciavo dalla porta o dalla bottega di calzolaio di mio padre, si avvicinavano per sentirmi parlare (nel mio dialetto), dopo parlavano tra loro (e io non capivo) e ridevano. Non avevo alcun diritto, ero un immigrato che era venuto a morirsi di fame in Argentina! Un volta mia madre mi mandò dal fornaio per comprare un “pan de castaña”, quando giunsi chiesi una “giurgiulena” , tutti si misero a ridere ed invece di aiutarmi si burlavano di me … Quanto dolore … Dopo 7 giorni mi iscrissero alla scuola italiana “Vittorio Emanuele III”, dove la mattina si insegnava lo spagnolo ed al pomeriggio l’italiano. Ci veniva a prendere un pulmino che ci riportava a casa la sera. Ma non per questo finì il dramma, anzi .. aumentò, giacchè durante il tragitto ci aspettavano negli incroci per tirarci pietre al grido di “Italiani mangian merda con le mani, Mussolini figlio di puttana”. Così tra offese e scherzi  pesanti e prese in giro trascorsi la mia infanzia a La Plata”.

 

Giovannino fece appena in tempo a completare la scuola primaria presso il “Vittorio Emanuele III”, poi l’Italia perse la guerra, le scuole italiane vennero chiuse e per gli italiani d’Argentina iniziò un periodo durissimo di discriminazione insensata verso coloro che, secondo molti, avevano provocato la guerra mondiale … quelle discriminazioni di massa, razziste, capaci di produrre veri e propri disastri sociali. In questo clima ostile agli italiani, fomentato da comportamenti diffusi e da regolamenti astrusi, Giovannino, dopo il primo anno della superiore, a 16 anni dovette abbandonare temporaneamente gli studi e cominciare a lavorare per aiutare la famiglia.

 

L’impatto di Giovannino con il mondo del lavoro non fu facile, ma sicuramente migliore di tanti altri immigrati italiani, che per anni costituirono l’esercito dei “triperos” (adetti alla pulizia delle interiora di vacca, anello più debole, malpagato e denigrato del mondo del lavoro legato alla macellazione delle carni bovine argentine). Non tanto per la durezza del lavoro di pelare patate, quanto per i continui scherni e discriminazioni subite in un ambiente ignorante e razzista, Giovannino, dopo un po’ di tempo si presentò dal Direttore dell’impresa annunciando di andar via; con l’aiuto di un calabrese influente, fu trasferito, nella stessa azienda nel settore trasporti dell’YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales), l’azienda di Stato argentina nel settore del petrolio, paragonabile alla nostra ENI. Qui Giovannino si fa conoscere per la sua testardaggine e su consiglio del suo Capo squadra, a 21 anni si iscrive al corso serale triennale di “Tecnico della produzione petrolifera”, titolo che conseguirà, continuando a lavorare come impiegato della YPF, con il massimo dei voti e che gli avrebbe consentito l’accesso all’Università.  Ma le risorse e le necessità ancora non lo consentivano. Finchè nel 1955, colse l’opportunità di un concorso interno in YPF per un aumento di carriera, e superò la selezione per 30 posti in mezzo a 6.000 aspiranti: la testadura calabrese (come egli stesso racconta) lo aiutò molto in tutto questo.

Nel 1957, già sposato e padre del primo figlio Eduardo Bruno, Giovannino, con un po’ di fortuna ed audacia, coglie una grande occasione: l’YPF deve organizzare il 50° anniversario della scoperta del petrolio nella regione del Comodoro Rivadavia; si provvede a un concorso interno per la selezione di due comunicatori in cui è richiesta una profonda conoscenza del sistema di estrazione del petrolio e bella presenza; a Giovannino non mancano certo questi requisiti e supera la selezione; per un anno è quindi responsabile dell’esposizione d’oro visitata da circa 30.000 persone al giorno; tra i visitatori il Presidente della Repubblica Frondizi e il già anziano Ing. Jose Fuchs, scopritore del petrolio e padre dell’industria petrolifera Argentina. Fuchs rimane incantato dall’esposizione di quel giovane tecnico, si congratula con Giovannino e si rivolge all’allora presidente dell’YPF suggerendo la valorizzazione dell’ottimo Giovannino Pansino. Detto, fatto, al rientro della mostra YPF inserisce Giovannino nei quadri intermedi dei tecnici della sede centrale di Buenos Aires e gli offre la possibilità, prima di un corso di 4 anni di studio come Tecnico Meccanico e poi di iscriversi all’università, nella facoltà di Ingegneria del Petrolio ad indirizzo elaborazione. Nel 1966, dopo 5 anni di studio e lavoro, Giovannino consegue la laurea di Ingegneria del Petrolio e vince la possibilità di frequentare un master negli USA; da qui anella una serie di successi nel campo professionale e nello studio che lo portano a viaggiare in Europa (Olanda, Francia, Inghilterra e finalmente in Italia) … fino a quel maggio del 1968 quando lo incontrai per la prima volta a Sambiase.

Giovannino racconta quel ritorno tanto agognato: “Dopo oltre 30 anni tornavo alla mia Sambiase, a riabbracciare i miei familiari, a rivedere il mio quartiere a Piazza Fiorentino, la casa dove nacqui … lo consideravo un premio grandissimo. Ma .. Sambiase non era più la stessa di quella che ricordavo: non c’era più la fontana pubblica di piazza Fiorentino dove mia madre e mia sorella Ines riempivano le “vozze”, la casa di “Nanna” si era spostata e non era più di fronte a quella di “mammarella”, non c’erano più l’orto e la “turricella”, la casa di Zia Linuzza tutta cambiata, … non c’era più “Mucuzzu u babbu”. Le mie zie avevano dismesso il vestito di “pacchiana”, parlavano l’italiano e non il sambiasino … pensai che i miei ricordi con i quali credevo potessi re incontrarmi fossero stati solo un sogno … . Ma volevo dimostrare di conservare ancora la mia sambiasinità, così mi rivolsi ad un mio cugino parlandogli in dialetto … e lui mi schernì dicendomi che ero diventato un “argentino tamarro”. Per Dio .. io Giovannino … un argentino tamarro? … volevo rispondere ma rimasi in silenzio, ferito da quelle parole più dolorose di uno schiaffo. In quel momento mi resi conto che, nella mia casa, ero un mero ospite … Questa è la vita dell’emigrante, mi dissi, … in argentina l’ingiuria di essere chiamato Tano de mierda, Gringo, tamarro calabrese, .. in Italia l’ingiuria di essere additato come un tamarro argentino … un uomo senza Patria … una dura scoperta per me. Nonostante questo, grazie ai miei parenti italiani, continuo a curare le mie radici leggendo  le poesie dialettali di De Biase, Renda, Agatone, Sinopoli.”

                        Giovannino ritorna in Argentina con sentimenti confusi … ama tantissimo la sua terra ma non si sente a sua volta amato ed accettato … vive lo strabismo sentimentale dell’emigrante … dell’uomo senza Patria che cerca la sua identità tra gli ostacoli nell’affermarsi e realizzarsi in terra straniera ed il dolore di sentirsi dimenticato, malgiudicato nella terra che gli ha dato i natali. E’ questo, un sentimento comune a molti calabresi che vivono all’estero, specie in terre molto lontane … quello di non essere cittadini del mondo, ma, piuttosto, stranieri nel mondo. Ma non sarà questo sentimento, pur tanto triste e doloroso, ad impedire a Giovannino di riaffermare, in ogni luogo, le proprie radici.

 

                        A Buenos Aires i suoi successi professionali continuano, e continua a studiare iscrivendosi a un master di Ingegneria Sanitaria, fino a quando un Dirigente, un giorno, lo mette davanti ad una dura realtà: “Veda, Pansino, lei lavora in un’impresa di Stato argentina, studia in Università statali argentine, se vuol fare carriera dovrà diventare cittadino argentino”. Dovette allora prendere una decisione e la prese, rinunciò alla cittadinanza italiana per prendere quella argentina (a quel tempo in Argentina non era permessa la doppia cittadinanza). Giovannino si trovò ad essere l’unico Ingegnere dell’YPF (tra 50.000 impiegati) ad avere una specializzazione in Ingegneria sanitaria, così che il massimo Dirigente gli lanciò una sfida professionale decisiva; quella di progettare di tutto punto e di dirigere la realizzazione dei lavori del primo impianto di addolcimento d’acqua di interscambio ionico della distilleria petrolifera in Nauquen … fu un successo strepitoso, da cui pubblicazioni e numerose conferenze nelle università argentine e congressi tecnici internazionali. Ancora i suoi testi fanno scuola nei corsi di laurea di ingegneria meccanica e sanitaria in Argentina.

Tra i suoi testi famosi, tradotti anche in italiano, quello dal titolo “" Le acque per le caldaie " di Agamennone e Zanchi – 1971 -.

I successi si susseguono e le realizzazioni di opere di ingegneria sanitaria fioccano, viaggia di nuovo in USA, Russia, in Giappone e trasferisce tecnologie dal mondo all’Argentina; ben presto diviene la massima autorità scientifica del settore in Argentina che gli consente di essere nominato Rappresentante argentino de la Asociacion Interamericana de Ingenieria Sanitaria. (AIDIS) e di rappresentare l’Argentina nella prima “Conferenza Mondiale dell’Acqua, di Città del Messico”.

 

Ma il suo capolavoro professionale, l’oramai affermato Ing. Giovannino Pansino da Sambiase, lo compie nella sua piena maturità tra il 1973 ed il 1975. L’Argentina è terra di petrolio, ma ha un grande problema con la chiusura dei pozzi esausti e la frustrazione che, seppur presente in grandissima quantità sul fondo del pozzo, il petrolio non può essere estratto … non esiste, al mondo, una tecnologia che faccia al momento qualcosa in questo senso, e la chiusura di un pozzo è costosa ma, soprattutto, inibisce una maggior estrazione di petrolio (circa il 30 - 40% del giacimento di petrolio rimarrebbe così inutilizzato). Il presidente di YPF assegna a Giovannino la ricerca di una soluzione tecnologica. Dopo due anni di studio e ricerca, Giovannino ha la sua soluzione al problema, la Direzione di YPF decide di sperimentarla in un piccolo giacimento nella Terra del Fuoco, chiamato “La Sara”, nell’estremo e spopolato sud argentino, dove, a dispetto del nome del luogo, le temperature viaggiano a decine di gradi sotto lo zero. Nonostante le assicurazioni ed i calcoli di Pansino, il timore di arrecare danni ambientali è molto grande, per questo si scelse un posto così lontano e desolato. Ma l’esperimento fu un successo di portata storica per l’industria petrolifera argentina, il piccolo giacimento passò in pochi giorni da una produzione di 50 mc/giorno a 60 mc/giorno con un incremento del 20% e questo, soprattutto, sarebbe stato applicabile a tutti i pozzi argentini. Da quel momento l’estrazione secondaria di petrolio con il metodo “Pansino” portò in quel Paese  un formidabile aumento dell’estrazione di petrolio con la proiezione che nell’arco di 5 anni avrebbe portato l’Argentina ad essere il più grande produttore mondiale.

Con questo successo, l’Ing. Giovannino Pansino da Sambiase, divenne in tutta l’America Latina “El Hombre del Petroleo”, un’autorità che gli consentì di essere nominato “Miembro de la Sociedad Cientifica Argentina” e del “Instituto Argentino de Petroleo”, di viaggiare per consulenze in tutta l’America latina (Uruguay, Paraguay, Bolivia, Cile, Peru, Ecuador, Colombia, Venezuela) e di presiedere a innumerevoli conferenze scientifiche internazionali sul petrolio nonché a dare lezioni nelle Università dell’America latina.

Giovannino produceva progetti non solo nel campo del petrolio, ma anche in quello idraulico sanitario, così moltissimi degli impianti dei centri sportivi dei maggiori club sudamericani portarono la sua firma: Country Club de Estudiantes de La Plata, Ciudad Deportiva de Boca Juniors, Buenos Aires Rowing Club, Independiente de Avellanda, Independiente Rivadavia de Mendoza, Deportivo Español, Quilmes de Mar del Plata, Güarani, Asuncion de Paraguay.

 La carriera professionale ed il nome di Giovannino sono al massimo; “El Hombre del Petroleo”, viene nominato da Isabelita Peron niente meno che Vice Presidente dell’YPF,  prossimo al passaggio di Presidente in sostituzione dell’oramai anziano ing Roberto Paceck. Il piccolo Giovannino Pansino partito nel 1936 da Sambiase per fame, divenuto “El Hombre del Petroleo”, si accinge a raggiungere il massimo livello della direzione tecnica e politica della più grande ed importante  impresa di Stato argentina.

 Ma le nubi grigie e cariche di pioggia di quella triste sera della partenza da Sambiase, in quell’ormai lontano 1936, si ripresentano agli occhi del nostro Giovannino all’orizzonte di quello splendido e luminoso cielo autunnale di Buenos Aires … il cruento e criminale colpo di stato militare di Videla,

Agosti e Masera si abbatte violentemente sulla fragile democrazia peronista di Isabelita Peron, di fronte ad un mondo sgomento e immobile, sugli argentini, sui suoi giovani (un’intera generazione “desaparacida”), sull’economia del Paese, sull’YPF e, anche, su Giovannino, sui suoi figli e familiari.

 Giovannino, insieme a tutti i Dirigenti dell’YPF, fu arrestato all’alba e portato in gran segreto nel carcere di massima sicurezza dell’Olmos (tragicamente noto per le torture agli oppositori del regime), senza un capo d’accusa, semplicemente ed arrogantemente  “perchè sì”; per mesi non si ebbero notizie di Giovannino che, si rivide processato da un tribunale militare prima nel carcere di Turno e poi a Buenos Aires.

 Fuori dal carcere è un inferno; i familiari di Giovannino asserragliati in casa, il nipote di Giovannino, figlio di Ines, Domingo Angel Barilaro (il papà era di Acquaro in provincia di VV), detto Toti, giovane studente di architettura è uno dei capi della resistenza democratica tra i più ricercati dalla “gestapo” del Dittatore Videla… e si nasconde in una delle case di Giovannino; sono momenti di angoscia, di paura, di violenza, di fame, il Paese è in ginocchio e Giovannino passa, in pochi mesi, dalla soglia del trionfo alla soglia del patibolo.

 Già condannato, in un momento di flessione della violenza del regime dovuta alle pressioni dell’opinione pubblica internazionale alla vigilia del Mondiale di calcio argentino del 1978, Giovannino viene condannato ai domiciliari; gli è impedito l’uso del telefono e di uscire di casa … ma almeno gli è salva la vita!!!

 Dopo alcuni anni, l’Argentina, cessata la dittatura, decimata di una generazione di giovani, nella fame nera, angosciata, senza più lacrime per piangere,  azzerata ed in ginocchio, così come Giovannino, ritornano ad una debole democrazia ed al lavoro … bisognava ricominciare daccapo … ricostruire un Paese e le vite di ciascuno, con il fardello di un dolore straziante da cui, ancora oggi, dopo più di 30 anni, nessun argentino riesce a liberarsi … non basterà mai più l’allegria del Tango … L’Argentina sarà segnata per sempre dal ricordo doloroso di quegli anni terribili di violenza e, soprattutto, le mancherà una generazione di classe dirigente, quella che sarebbe potuta nascere dagli oltre 30.000 giovani tra i 18 ed i 30 anni, “desaparecidos” in quel periodo, a noi calabresi e lametini mancheranno tanti parenti in Argentina.

Giovannino, segnato come tutti, da quella tragica esperienza storica, ricomincia a lavorare … molti dei suoi amici nel campo professionale non ci sono più, l’YPF è collassata, ma ancora ha energie e qualcuno ricorda ancora il suo nome.

Giovannino riprende a lavorare per una media impresa nel campo petrolifero con un contratto triennale come Dirigente del settore idrocarburi ma Giovannino non poteva fermarsi qua, a fine contratto lascia il posto e fonda due imprese, una sulla fabbricazione di strumenti idraulici di precisione (CYSA) e la più importante per Giovannino la SAMBIASE S.A. , con evidente richiamo alle sue radici. La SAMBIASE S.A. si è occupata per tanto tempo di Servizi, Consulenze nel settore petrolifero, con importanti lavori nelle provincie argentine di Mendoza, Chubut, Santa Cruz y Salta ed importanti collaborazioni con altre imprese come Hidro System Consult S.A., Flow Ingenieria S.C.A., Ingenieria Comodoro S.A., Vulmet S.R.L., Establecimiento Metalurgico Colon S.A .

 Risale a fatica la china Giovannino, tra le macerie di un Paese distrutto che fa fatica a rialzarsi, tant’è che l’Argentina, da lontano, è vista come l’”America delle patate”.

 Nel 1989 - 90, tra Argentina ed Italia, viene sottoscritto un trattato di reciproco riconoscimento che prevede, tra le altre cose, la possibilità degli argentini che avevano rinunciato alla cittadinanza italiana, di avere la doppia cittadinanza e quindi riacquistare quella italiana. Non perde tempo Giovannino, mi scrive e mi chiede di seguire la pratica di riacquisto della cittadinanza italiana la cui istanza aveva presentato, con protocollo di settore n. 1 (ovvero il primo italiano a fare domanda) all’Ambasciata Italiana di Buenos Aires ed al Comune di Sambiase (che nel frattempo non esisteva in quanto Lamezia) … questa situazione portò non pochi ritardi …

 Nel 1995, viaggerò per la prima volta in Argentina, per portargli personalmente il suo Certificato di cittadino italiano iscritto al Registro degli Italiani all’estero nel Comune di Lamezia Terme; nel 1996, Giovannino vuole la sua carta d’identità italiana, prende l’aereo e piomba a Lamezia. In pochi giorni gli verrà rilasciata la sua. “CARTA D' IDENTITA Nº AA 5121940 del 20 giugno 1996 del Comune di Sambiase ora Lamezia Terme”, nell’euforia Giovannino si accorge che nello Stato Civile, egli viene indicato come “celibe” e commenta felice e scherzoso: “accidenti … non solo italiano e calabrese ma anche signorino!!!”

Quel 26 giugno del 1996, Giovannino aveva già scritto in mente il suo “testamento” di identità, al suo ritorno in Argentina, ma dieci anni fa, mi scrive la sua lettera di ringraziamento per averlo aiutato ad avere la sua carta d’identità italiana e lametina; in quella lettera così conclude:

Oggi, a 79 anni, ho l’obbligo di dire alla mia Patria, PERDONO. Volli ma non potei. In tanti anni ho formulato nella mia mente il significato di emigrante. Essere un emigrante, per me, significa non avere patria, è crescersi senza poter pronunciare  le dolci parole nonna, nonno, zia, zio, cugino … è come dire SOLITUDINE. Può essere che molti non saranno d’accordo con me, ma non mi interesse io l’ho vissuto così . So, questo sì, di essere figlio della Magna Grecia, di esser nato nello stesso luogo dove visse Pitagora, sono paesano dei Bronzi di Riace. Dico senza dubbio: ESSERE ITALIANO E’ UN ORGOGLIO, ESSERE CALABRESE E’ UN ONORE”.

 

La vita professionale di Giovannino, si conclude a 73 anni con un importante incarico di consulente di una delle più grandi imprese argentine, la TECHINT S.A. .

Nella sua vita Giovannino ha anche sviluppato una significativa partecipazione alla politica. Subito dopo il disastro delle Malvines/Falkland, dopo la sconfitta della Dittatura, egli entra a far parte della squadra tecnica del Partido Justicialista peronista e ne presiede la Commissione nazionale Energia.

In quel periodo Giovannino tracciò la linea politica petrolifera del partito che si sarebbe candidato alle elezioni nazionali con Presidente Italo Argentino Luder, ed il partito, nel formare la squadra dei Ministri, indicò Giovannino come il futuro Ministro nazionale dell’Energia; le cose, per Giovannino e per i peronisti andarono male, quelle elezioni furono vinte dal candidato dell’opposto schieramento, il radicale Raoul Alfonsin.

Con il ritorno alla vittoria del justicialismo peronista del Presidente Carlos Menem, Giovannino fu chiamato alla Segreteria nazionale di Scienza e tecnica, ma fu una meteora perché sentendosi tradito nei suoi ideali si dimise dalla carica.

 

Giovannino Pansino da Sambiase, Ingegnere Petrolifero e Sanitario, “Hombre del Petroleo” in America latina, ha sempre avuto l’intelligenza viva che nasce dal bisogno,  la scorza ed il carattere del calabrese ostinato, ha sempre  sofferto questo suo modo di vivere l’emigrazione come “straniero del mondo” … un uomo inquieto, un uomo del sano dubbio, con la certezza delle sue radici calabresi le cui storie ho ascoltato tante volte nei miei viaggi argentini nei quali, ogni volta, sento l’obbligo ed il piacere di fargli visita per riceverne tanti buoni e saggi consigli.

 La storia straordinaria di quest’uomo, il suo carisma, la perseveranza nel perseguire i suoi obiettivi, la sua capacità di rialzarsi tante volte, ne hanno fatto per me, un Maestro di Vita.

 Sambiase 2006

 GIOVANNI PANSINO MUORE A LA PLATA NEL GIUGNO 2019, LE SUE CENERI SONO DISPERSE NELL’OCEANO ATLANTICO LE CUI ACQUE LO SEPARARONO PER QUASI TUTTA LA VITA DALLA SUA AMATA SAMBIASE, CON LA SPERANZA CHE LE CORRENTI MARINE, UN GIORNO, RIPORTINO ALMENO UN GRANELLO DEI SUOI RESTI MORTALI NELL’AMATO GOLFO DI S.EUFEMIA, AL CENTRO DEL MEDITERRANEO.