di Monica Vendrame
Lauriano (TO) – Non avevano un nome per lo Stato italiano. Nessun certificato di nascita, nessun codice fiscale, nessuna tessera sanitaria. Niente scuola, niente pediatra. Vivevano ai margini estremi della società, nascosti in un vecchio cascinale tra i boschi di Lauriano, due fratellini di 9 e 6 anni cresciuti nel silenzio e nell’isolamento, ancora col pannolino e incapaci di leggere o scrivere. Esistenze sospese, mai registrate. A portarle alla luce non è stata una segnalazione scolastica o medica, ma un’alluvione.
La pioggia battente dei giorni scorsi ha reso inagibile parte del territorio collinare attorno a Lauriano. È in questo contesto che i carabinieri si sono presentati in un rustico isolato per notificare un’ordinanza di sgombero firmata dalla sindaca Mara Baccolla. Quello che hanno trovato ha lasciato senza fiato: due bambini in condizioni igienico-sanitarie precarie, entrambi ancora con il pannolino, che vivevano in uno stato di totale isolamento, lontani da ogni relazione e da ogni diritto.
A loro fianco, i genitori. Lui, 54 anni, è uno scultore olandese che lavora il metallo, residente a Lauriano da tre anni. Lei, 38, connazionale, risulta priva di occupazione. Il padre ha dichiarato di aver vissuto in Germania prima di trasferirsi in Italia e di aver acquistato il cascinale per una vita più ritirata. Ha sostenuto che i figli fossero arrivati solo due settimane prima, che seguissero lezioni online e avessero strumenti musicali, sci, cavalli, giochi. Ma nulla di tutto questo è stato confermato.
Mentre il padre risulta residente da anni, i bambini non risultano nemmeno registrati in Italia: nessun documento, nessun medico, nessuna vaccinazione. Di fatto, non esistono. Secondo il Tribunale dei Minori di Torino, la famiglia ha tenuto i piccoli in uno stato di grave abbandono materiale ed educativo. Non erano solo senza documenti, ma senza stimoli cognitivi, sociali, affettivi. Nessun contatto con altri bambini. Nessuna vita, se non quella chiusa tra quattro mura e un sentiero nel bosco.
Il Consorzio Intercomunale dei Servizi Sociali (Ciss) di Chivasso è intervenuto subito dopo la scoperta, disponendo il collocamento dei bambini in due comunità protette separate. Il Tribunale ha valutato che non sussistano le condizioni per un ritorno in famiglia: troppo gravi le carenze riscontrate. I minori potranno incontrare i genitori solo in ambienti sorvegliati, “neutri”, e sempre sotto la supervisione degli operatori.
Nella relazione del collegio giudicante si legge che i bambini risultano “privi di idonea assistenza da parte dei genitori o parenti tenuti a provvedervi”. Una formulazione che cela la realtà di due infanzie negate, cresciute nel silenzio più assoluto, dove non ci si è mai preoccupati di educarli, proteggerli, renderli parte della società.
Non basta amare per essere genitori. Non basta avere una casa per offrire un’infanzia. E non basta evocare l’educazione “alternativa” per giustificare l’abbandono.
Quella di Rayan e Noha non è solo una storia di invisibilità, è il fallimento di una società che, pur avendo strumenti, lascia che due bambini crescano come ombre nella foresta. È anche il riflesso di un’ideologia che, in nome della libertà individuale, arriva a negare i bisogni fondamentali di un essere umano in crescita. Isolamento, ignoranza, incoscienza: tre elementi che insieme possono diventare devastanti.
Il sistema ha reagito, ma troppo tardi. Non possiamo permettere che il prossimo allarme debba arrivare con una piena d’acqua. Bisogna ascoltare prima. Guardare meglio. E soprattutto: ricordare che i bambini sono cittadini, non proprietà.