Una tredicenne, sola nel cuore e nell’anima, che chiede consiglio a una macchina. Il suo ultimo dialogo prima del vuoto
di Fiore Sansalone
Se non avesse avuto ChatGPT, forse Aurora non avrebbe parlato con nessuno. Non con la madre, non con un’amica, non con un insegnante. E non è un dettaglio, è la fotografia nitida della solitudine di tanti adolescenti di oggi. Solitudine travestita da normalità, che si consuma in silenzio davanti a uno schermo.
Aurora Tila aveva solo 13 anni. È morta il 25 ottobre scorso, a Piacenza, spinta giù da un balcone al settimo piano. Per quell’omicidio è accusato l’ex fidanzato, un ragazzo di appena 15 anni. Secondo le ricostruzioni della Procura dei Minori di Bologna, dopo una lite il giovane l’avrebbe colpita alle mani mentre lei cercava di aggrapparsi alla ringhiera. In aula è già iniziato il processo. Ma tra gli atti c’è un elemento che ha colpito tutti: i dialoghi di Aurora con ChatGPT. “Secondo te dovrei lasciarlo?”, “Come faccio a capire se è amore o solo dipendenza?”. Nessuna risposta dagli adulti, ma solo dalle risposte automatiche di un’intelligenza artificiale.
A commentare questo aspetto inquietante è la criminologa Flavia Munafò, direttrice dello sportello Socio Donna di Roma e presidente di SIA, l’associazione dei Sociologi italiani. “Il primo dato allarmante – spiega – è che nessuno in famiglia si sia accorto di quelle conversazioni. Un’esperienza vissuta in totale isolamento. Ma ancora più grave è che una ragazzina così giovane abbia cercato conforto in una macchina e non nelle relazioni reali che dovrebbero circondarla”.
Il dato non è isolato, anzi. Secondo l’avvocata Anna Ferraris, legale della madre di Aurora, “è un’abitudine sempre più diffusa tra gli adolescenti, soprattutto dopo la pandemia”. In assenza di un dialogo autentico con il mondo degli adulti, l’intelligenza artificiale si trasforma in una sorta di confidente silenzioso e sempre disponibile. Ma può bastare?
Giovedì scorso, il pubblico ministero ha chiesto che all’imputato venga contestata anche l’aggravante dello stalking, poiché i messaggi inviati da lui a Aurora nelle settimane precedenti la tragedia lasciano intravedere una spirale persecutoria culminata in un gesto estremo. “Il mio piano di vendetta inizia da ora”, aveva scritto il 15enne in uno dei messaggi acquisiti dalla Procura. Aurora, intanto, si stava allontanando. Aveva deciso di interrompere la relazione, forse guidata anche da quelle risposte virtuali.
La madre di Aurora, Morena Corbellini, oggi chiede giustizia. Ma chiede anche che la morte di sua figlia non venga dimenticata in fretta. In aula, racconta, il ragazzo appariva “sicuro di sé, con le spalle larghe”, come se nulla lo sfiorasse. E invece qualcosa dovrebbe toccare tutti noi, collettivamente.
Una riflessione amara, ma necessaria
La tragedia di Aurora ci lascia domande scomode. Non tanto sull’uso dell’intelligenza artificiale, che non va demonizzata, quanto sulla fragilità relazionale che affligge le nuove generazioni. In fondo, se è stata una fortuna che Aurora avesse almeno ChatGPT per confidarsi, significa che il vero fallimento è altrove. Nel silenzio che l’ha circondata. Nella distanza che l’ha isolata. E in un’idea di progresso che corre, senza guardarsi indietro.