di Monica Vendrame
Dopo anni di clamore mediatico, pellegrinaggi, messaggi apocalittici e apparizioni annunciate con precisione quasi disarmante — sempre il 3 del mese, sempre alle 15 — l’inchiesta sulla cosiddetta “Madonna di Trevignano” si avvicina alla conclusione. Il punto di svolta è arrivato grazie alla perizia firmata dal genetista forense Emiliano Giardina, noto al pubblico per il suo contributo in casi complessi, come quello della giovane Yara Gambirasio.
La sua relazione, lunga ben 135 pagine, ha lasciato poco spazio ai dubbi: il sangue apparso sul volto della statuina della Vergine — e quello rinvenuto su un’effigie del Cristo — è riconducibile esclusivamente a Gisella Cardia (nata Maria Giuseppa Scarpulla).
Non è stata rilevata alcuna traccia mista, nessun DNA maschile, nessun meccanismo nascosto che potesse simulare fenomeni soprannaturali. Una TAC condotta su entrambi gli oggetti — una statua in gesso e un quadro a olio — ha escluso la presenza di cavità o ingranaggi che giustificherebbero la fuoriuscita artificiale di liquidi. Tutte le tracce ematiche analizzate, provenienti da volto, vesti, cotone e altri oggetti religiosi, risultano geneticamente compatibili soltanto con Cardia. Il marito, Gianni Cardia — anche lui indagato per truffa — è stato escluso grazie all’analisi molecolare, in particolare attraverso l’esame del cromosoma Y.
Il pubblico ministero aveva richiesto una proroga, ma il giudice per le indagini preliminari l’ha negata: secondo il gip, il materiale raccolto è già più che sufficiente per una decisione sull’eventuale rinvio a giudizio. La Procura di Civitavecchia sembra dunque pronta a chiudere il caso con l’ipotesi di truffa aggravata ai danni dei fedeli.
Intanto è stata archiviata la querela per diffamazione presentata dallo stesso Gianni Cardia contro Luigi Avella, uno dei primi seguaci a prendere le distanze. Secondo il giudice, Avella ha esercitato il legittimo diritto di critica — anche tramite media e social — contribuendo a sollevare interrogativi su una vicenda diventata, nel tempo, sempre più controversa.
Ma chi è Gisella Cardia? Originaria di Patti, in Sicilia, gestiva un’impresa di ceramiche poi finita in fallimento. Dopo una condanna per bancarotta (pena sospesa), si è trasferita con il marito a Trevignano Romano. È lì che, nel 2016, dopo un pellegrinaggio a Medjugorje, avrebbe acquistato la statua protagonista delle presunte lacrimazioni. Secondo il suo racconto, da quel momento iniziano le apparizioni mariane, sempre alla stessa ora, sempre lo stesso giorno del mese, accompagnate da messaggi spirituali e ammonitori.
Il fervore che ne è scaturito ha portato migliaia di persone a radunarsi nel piccolo centro affacciato sul lago di Bracciano. Alcuni devoti, altri fortemente scettici. La Chiesa, attraverso una commissione della diocesi di Civita Castellana, ha scelto finora la via della prudenza, avviando un’indagine teologica e spirituale. Ma oggi, almeno sul piano della giustizia laica, la parola “fine” sembra già scritta.
Questa storia della Madonna di Trevignano somiglia sempre più allo specchio di un’epoca fragile, dove il bisogno di credere si intreccia spesso con la vulnerabilità. Non è soltanto il racconto di un presunto miracolo smascherato, ma anche — e forse soprattutto — la cronaca amara di una fiducia tradita. Di preghiere sincere, finite nel vortice dell’inganno.
La fede, certo, si muove su un piano diverso rispetto a quello della scienza. Ma proprio per questo, chi si propone come tramite del divino ha il dovere etico — anzi, morale — di custodire con rispetto quel legame profondo, anziché manipolarlo. Al di là delle responsabilità penali, che spetta al tribunale accertare, resta l’eco di una ferita aperta: quella di chi ha creduto, sperato, donato.
Forse, in fondo, non servivano lacrime di sangue per percepire una presenza. Sarebbe bastato guardare negli occhi chi cercava conforto — non un’illusione.