di Massimo Reina
Ci dicono — con la faccia seria da chi ha appena letto il Vangelo secondo Greta Thunberg — che dobbiamo salvare il pianeta. E allora via con le tasse ambientali, i bonus solo se rottami la Panda del ‘98, le multe se non differenzi il vetro dal vetro satinato, e il senso di colpa incorporato in ogni busta di plastica. L’obiettivo? Un futuro più verde. Ma evidentemente non si riferivano al verde dei prati, bensì a quello delle mimetiche militari.
Sì, perché mentre a noi ci spiegano che bisogna spegnere le luci alle 22 e andare a piedi in ufficio “per non surriscaldare il pianeta”, loro — gli stessi che firmano i trattati sul clima con la penna d’oro — corrono al riarmo. E mica con la bici elettrica. L’Unione Europea, la stessa che ha imposto a forza i regolamenti sulle cannucce biodegradabili e i piatti di crusca, stanzia miliardi per produrre armi. E non cucchiaini in bambù, ma munizioni, missili, carri armati, fucili d’assalto, blindati, droni, jet da guerra e via armando.
Una domanda ingenua: quanto inquina una guerra?
La risposta è facile: molto più di te e della tua vecchia lavastoviglie messe insieme. La sola produzione di armi ha un'impronta ecologica che farebbe impallidire qualunque centrale a carbone. L’acciaio dei carri armati non cresce sugli alberi. Le polveri da sparo, le cariche esplosive, i missili a lunga gittata: tutto ciò richiede energia, estrazione mineraria, combustibili fossili e tonnellate di CO₂. Le fabbriche belliche non funzionano a pannelli solari, strano vero?
E poi c'è l’effetto sul campo, letteralmente. Quando un missile “intelligente” colpisce un edificio (e spesso sbaglia pure bersaglio), non solo uccide. Sprigiona diossine, metalli pesanti, amianto, fibre tossiche. Le esplosioni rilasciano sostanze cancerogene nell’aria, nel suolo, nelle falde acquifere. Le città rase al suolo non si biodegradano. Le automobili civili in fiamme non rispettano la normativa Euro 7. Gli aerei che solcano i cieli per “missioni di pace” consumano più carburante di quindici milioni di vecchie Uno diesel in colonna sulla Salerno-Reggio.
E a chi obietta che sono costi inevitabili per difendere la democrazia, potremmo rispondere: e l’ambiente, allora? È compatibile con la libertà, o lo buttiamo via come un sacchetto non compostabile?
Il bello è che nessuno ha ancora calcolato davvero l'impronta ecologica della guerra moderna, forse perché è più conveniente parlare di quanto inquina la brace della salsiccia nei picnic. Nessuno chiede il bollino verde ai carri armati Leopard, né un pass per la ZTL ai caccia F-35. Non c'è alcuna raccolta differenziata tra schegge di bomba e pezzi di cranio. Nessuno misura le polveri sottili dopo un bombardamento. E nemmeno le emissioni di monossido del Ministro della Difesa quando ci spiega che “non è il momento di disarmare”.
Le scoregge delle mucche
Siamo il continente che si scandalizza per le flatulenze delle mucche, ma investe miliardi in proiettili all’uranio impoverito, perché quelli sì che aiutano la transizione ecologica. Come? Be’, impoveriscono il territorio, lo rendono inabitabile per qualche secolo: nessuna emissione, nessuna crescita demografica. La guerra, in fondo, è la forma più radicale di decrescita felice. Morti non ne inquinano più.
D’altronde, cos’è più green di un missile che distrugge dieci palazzi? Tolto il problema degli affitti, dei riscaldamenti, delle caldaie fuori norma… tutto sommato, una guerra ben fatta aiuta anche l’ambiente. Se poi ci scappa una testata nucleare, ancora meglio: l’umanità si estingue e il pianeta si rigenera da solo. Viva l’ecologia! L’ipocrisia, si sa, è come la plastica: si modella facilmente, è difficile da smaltire, e galleggia ovunque. Ma in questo caso è peggio: è radioattiva.
E allora ricordiamolo, la prossima volta che ci verrà chiesto di pagare l’ennesima tassa per salvare il mondo: la guerra è la più grande discarica mai creata dall’uomo. Solo che ha il patrocinio delle Nazioni Unite.