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di Paolo Russo
La Direzione della Reggia di Caserta ha disposto l’annullamento del concerto sinfonico diretto da Valery Gergiev, previsto nell’ambito della rassegna Un’Estate da Re per il prossimo 27 luglio nel cortile del Complesso vanvitelliano.
Una decisione presa, almeno sulla carta, dalla direttrice della Reggia, Tiziana Maffei ufficialmente per ragioni di ordine pubblico.
Il governatore della Regione Campania, l’ente che finanzia la rassegna. Vincenzo De Luca, a più riprese si era speso a favore dell’esibizione del direttore d’orchestra russo, in nome del “dialogo che favorisce la pace”.
Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, invece si era detto contrario sostenendo che "l'arte è libera e non può essere censurata. La propaganda però è un'altra cosa. Per questo il concerto dell'amico di Putin Gergiev voluto, promosso e pagato dalla Regione Campania, rischia di far passare un messaggio sbagliato" non accorgendosi probabilmente che la sua è stata una censura all'arte in quanto non era previsto nessun tipo di comizio o di esigenza di esprimere opinioni da parte del massimo protagonista del panorama sinfonico mondiale!
A fare eco alle parole del ministro hanno contribuito molti esponenti del PD e Calenda chiedendo di cancellare l'esibizione "del propagandista dello zar".
Ad opporsi a questa retorica non sono mancate le parole del governatore della Campania deciso a  "non accettare logiche di preclusione o di interruzione del dialogo, perché questo non aiuta la pace" e la  Lega attraverso Sardone: "impedire a un direttore d'orchestra di portare la sua arte nel nostro Paese ci renderebbe identici a quelli che a parole vogliamo combattere", aveva dello la vicesegretaria della Lega.
La recente decisione della Direzione della Reggia di Caserta di annullare il concerto del celebre direttore d'orchestra Valery Gergiev, previsto per il 27 luglio, rappresenta un caso emblematico di come la cosiddetta "cancel culture" e l'ostracismo possano colpire il mondo dell'arte e della cultura, specialmente in un contesto di tensioni geopolitiche. Sebbene le motivazioni ufficiali parlino di "motivi di ordine pubblico" dovuti alle proteste annunciate, la vicenda solleva interrogativi profondi sulla libertà artistica e sulla gestione delle posizioni personali degli artisti in relazione al loro operato.
Valery Gergiev, indubbiamente uno dei massimi esponenti della musica sinfonica a livello mondiale, è noto da tempo per le sue posizioni ritenute vicine al Presidente russo Vladimir Putin. Questa vicinanza ha suscitato polemiche sin dall'inizio del conflitto in Ucraina, portando a cancellazioni di suoi concerti in diverse città europee e persino alla rimozione da incarichi prestigiosi. Il caso della Reggia di Caserta si inserisce in questo filone, ma con alcune specificità che lo rendono un chiaro esempio di ostracismo e "cancel culture" all'italiana.
La motivazione ufficiale addotta dalla Reggia di Caserta, ovvero i "motivi di ordine pubblico" per evitare manifestazioni di protesta da parte di associazioni ucraine e altri gruppi, seppur legittima sulla carta per prevenire disordini, appare debole e riduttiva. È un cliché spesso usato per giustificare decisioni scomode. La realtà è che l'annullamento è avvenuto in seguito a una campagna di pressione significativa che ha visto coinvolti esponenti politici, intellettuali, associazioni e la stessa vedova di Navalny, Yulia Navalnaya. Migliaia di firme sono state raccolte online e vi sono stati appelli diretti alle istituzioni per bloccare l'evento.
Questa mobilitazione, per quanto comprensibile dal punto di vista di chi condanna la Russia, ha di fatto impedito a un artista di esibirsi per le sue presunte affinità politiche, non per la qualità della sua arte o per atti direttamente condannabili compiuti durante l'esibizione stessa. Si è creato un clima in cui la sfera artistica è stata subordinata a quella politica, con la conseguenza di precludere al pubblico l'opportunità di assistere a una performance di alto livello.
L'Italia, in questo contesto, ha mostrato una peculiare forma di ostracismo. Se da un lato l'indignazione per le posizioni di Gergiev è legittima, dall'altro la facilità con cui si è arrivati all'annullamento del concerto solleva interrogativi sulla tenuta dei principi di libertà di espressione e di non politicizzazione dell'arte. La "cancel culture", nel suo senso più ampio, mira a silenziare voci ritenute problematiche o offensive, spesso basandosi su un giudizio morale che trascende il merito artistico.
Nel caso di Gergiev, si è assistito a un'applicazione di questa logica: il suo legame con Putin lo ha reso un "impresentabile" in un contesto culturale italiano sensibile al tema del conflitto ucraino. Non si è discusso della sua maestria direttoriale, ma delle sue posizioni extra-artistiche. Questo approccio rischia di creare un pericoloso precedente, dove la valutazione di un artista non si basa più sulla sua opera, ma sulla sua adesione a determinate linee di pensiero o sulla sua provenienza.
Inoltre, emerge un sospetto di opportunismo politico. L'attenzione mediatica e le pressioni esercitate hanno probabilmente spinto la Reggia di Caserta a optare per la via più "sicura", quella dell'annullamento, per evitare ulteriori polemiche e possibili disagi, piuttosto che difendere il principio della libertà artistica o cercare un compromesso. Il danno, come sottolineato dall'Ambasciata russa in Italia, non è solo per l'artista ma per l'immagine dell'Italia stessa, che rischia di apparire meno aperta e tollerante.
Il caso Gergiev alla Reggia di Caserta non è un episodio isolato, ma si inserisce in un trend più ampio di politicizzazione della cultura e di crescente intolleranza verso le "voci" non allineate. Impedire a un artista di esprimersi per le sue opinioni politiche, per quanto discutibili possano essere, mina le fondamenta della libertà creativa e del dialogo culturale.
L'arte, in tutte le sue forme, dovrebbe essere tutelata e i "luoghi della cultura" diventare opportunità di incontro e di riflessione, non un tribunale per le convinzioni personali. Quando la paura delle proteste o la pressione di gruppi organizzati portano all'annullamento di eventi culturali, si crea un precedente pericoloso che impoverisce il panorama artistico e limita la possibilità di un confronto aperto e costruttivo. Il caso Gergiev, in questo senso, è un monito per l'Italia e per l'Europa a riflettere sui confini della "cancel culture" e sull'importanza di difendere la libertà dell'arte anche di fronte alle complessità del presente.
 
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