di Fiore Sansalone
È il classico volo intercontinentale. Solo che stavolta, invece di sette ore chiusi in cabina, ne bastano tre. Forse anche due. Sembra uno slogan pubblicitario, e invece è il progetto — concreto — su cui stanno lavorando più di una compagnia aeronautica. E i primi prototipi hanno già lasciato il suolo.
Uno di questi ha sorvolato il deserto del Mojave superando la barriera del suono. Non è solo un test da laboratorio: si parla di un jet pensato davvero per il trasporto passeggeri, con una capienza che sfiora gli 80 posti e l’idea di collegare New York e Londra in circa tre ore e mezza. L’ingresso in servizio? Si vocifera per il 2029, ma i tempi potrebbero accorciarsi.
E c’è anche chi mira ancora più in alto — anzi, più veloce. Un altro team lavora su un velivolo che potrebbe completare la stessa tratta in appena due ore, il tutto con materiali leggerissimi, motori ultraefficienti e una forma affusolata che richiama un’icona del passato: il Concorde. Ma questa volta, niente nostalgia. Solo futuro.
Questi nuovi aerei voleranno molto più in alto rispetto ai voli di linea: 18.000 metri, per evitare traffico e sfruttare al meglio l’aerodinamica. Il risultato? Meno attrito, più velocità, meno tempo perso. Non si tratta solo di correre: l’obiettivo è anche quello di farlo in modo più pulito.
Già, perché questi aerei saranno alimentati da SAF, un carburante sostenibile studiato apposta per l’aviazione. Promette di abbattere le emissioni fino all’80%, e questo li rende molto più “verdi” rispetto a quelli in uso oggi. È una delle chiavi per rendere questi progetti più accettabili anche a livello ambientale e normativo.
I primi voli commerciali? Se tutto va secondo i piani, potrebbero iniziare tra il 2026 e il 2029. Una finestra ampia, certo, ma già molto più vicina di quanto si pensi. E quando accadrà, l’idea stessa di distanza — e forse anche di tempo — sarà da ripensare.
È una corsa contro l’orologio, ma anche una sfida di visione. Volare più in fretta non è solo questione di arrivare prima: è riprendersi il tempo. Quello speso nei cieli, certo, ma anche quello sprecato nell’attesa. Forse non cambierà tutto. Ma cambierà il modo in cui guardiamo la mappa del mondo.