1984 di George Orwell
C' è qualcuno che non conosce il Grande Fratello?
C' è qualcuno che non conosce il Grande Fratello?
Ci sono immagini che restano impresse nella memoria, che segnano un'epoca.
Nòsside nacque alla fine del IV secolo a. C. a Locri Epizefiri (Reggio Calabria). Nessuno sa chi sia stata realmente Nòsside, questa donna colta che ci ha lasciato bellissimi versi, ma essa è uno dei simboli della trascorsa grandezza della Magna Graecia, di cui, senza dubbio, fu la più grande poetessa.
Sono poche, dunque, le notizie che ci sono giunte su di lei.
Sappiamo che fece parte di una confraternita femminile consacrata al culto di Afrodite (Venere per i Romani), dea della bellezza e dell'amore e che era di nobile famiglia. Forse Nòsside ci affascina anche perché è avvolta nel mistero del tempo: troppi sono i secoli trascorsi. Eppure, anche se è bello immaginarla, conoscerne il vero aspetto fisico non è importante: di un poeta fondamentale è la sua poesia,i versi in cui il nostro essere s'immerge alla ricerca di una perfezione interiore che plachi il nostro inquieto desiderio d'assoluto.
Di Nòsside ci sono giunti solo 12 epigrammi (brevi componimenti) tutti di 4 versi, per un totale di 48.
La sua lirica si pone come un canto alla vita, all'amore, alla bellezza nelle sue varie componenti. Rimane un tratto costante della sua tensione poetica, che si avvale di raffinate allusioni,una personalità prorompente e passionale, tipicamente magno greca.
E' famoso un suo celebre epigramma: "Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori,/per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo,/di' che fui cara alle Muse e la terra locrese/mi generò. Il mio nome, ricordalo è Nòsside. Ora va'".
In altri componimenti, con l'acutezza di un solo verso, descrive la ricchezza interiore delle figure che tratteggia, molte delle quali sono care amiche sue, di cui mette in risalto le doti più belle: di Callò la soavità e la grazia, di Taumareta la delicata e giovane allegria, di Melinna la dolcezza, di Sabetide la maestà e bellezza.
Infine, in un altro epigramma, è intenta a tessere, insieme alla madre Teofili, una tunica di bisso (lino) da offrire alla dea Hera Lacinia, il cui tempio si trovava a Crotone e di cui oggi è rimasta in piedi una sola colonna: "Hera venerata, che spesso dal cielo venendo/l'odoroso Lacinio scendi a guardare/accogli la veste di bisso che assieme a Nosside figlia/spendida tessè Teofili di Cleoca".
E' proprio questo epigramma sembra smentire le congetture fatte su di lei,lasciando spazio a una sola possibilità: Nòsside apparteneva a una famiglia aristocratica, perché tessere a quel tempo una tunica di lino, tessuto elegante che veniva in genere usato per vesti lussuose, e possedere la cultura necessaria a scrivere così bellissimi versi, erano prerogative della classe nobiliare.
di PIER GIUSEPPE ACCORNERO
«Amico degli orfani, delle persone devote, delle vedove, fervente nello spirito, amante del bene». Così i Padri della Chiesa nei primi secoli definiscono il diacono. «Anello di congiunzione o ponte di collegamento tra il vescovo, i presbiteri e i laici» lo chiama un padre della Chiesa del XX secolo, padre Michele Pellegrino, cardinale arcivescovo di Torino.
Nella storia di questa istituzione si inserisce Benito Cutellè, un calabrese che negli anni del «miracolo economico» approda a Torino dove, insieme alla carriera professionale e alla vita familiare, si dedica agli altri e al diaconato.
I diaconi, come Benito, si lasciano «prendere per mano da Dio»; si impegnano a elargire la sua Parola e a diffondere il suo Regno tra quanti non lo conoscono o se ne sono allontanati; aiutano gli uomini e le donne di oggi a riprendere il dialogo con il Signore. Tra le sue numerose esperienze diaconali primeggiano l’evangelizzazione dei pescatori a Mergellina (Napoli) e la «Mensa del povero» in una parrocchia torinese.
Questo volume vuole rendere testimonianza dell’enorme bene che i diaconi permanenti fanno alla Chiesa, alla società, alla città.
Che cos’è l’arte in tutte le sue molteplici forme? Per cercare di dare un’interpretazione personale al mondo dell’arte prendo in considerazione il termine sanscrito ar – te dove la radice ar significa “andare verso”.